Era il
21 agosto 1940, quando
Lev Davidovic Bronstejn venne assassinato con un colpo alla testa da un agente segreto della
polizia 'staliniana'. Maggiormente noto con lo pseudonimo di
Lev Trotsky, egli fu uno dei protagonisti della
Rivoluzione russa o
Rivoluzione d'ottobre: un evento cruciale della Storia contemporanea, paragonabile alla
Rivoluzione francese. Se quest'ultima fu il viatico attraverso cui i
diritti civili hanno iniziato a diffondersi velocemente in larga parte
d'Europa, nella rivoluzone esplosa in
Russia nel
1917, il
Partito comunista sovietico ha sovvertito l'ordine su cui si fondava lo
Stato di diritto attraverso
l'abolizione della proprietà privata dei
mezzi di produzione. L'adesione di
Lev Trotsky alle
istanze bolsceviche risaliva a pochi mesi prima della presa del
Palazzo d'Inverno. Dal momento che fu un
'convertito dell'ultima ora' non gli fu facile guadagnarsi la fiducia dei compagni. Fondò
l'Armata Rossa e mise a disposizione della
causa bolscevica tutta la sua sapienza strategica durante la guerra civile che dilaniò la
Russia post rivoluzionaria. Tuttavia, le dinamiche interne al
Pcus lo relegarono, quasi subito, in minoranza, non appena la leadership di
Vladimir Il'ic Ul'janov (passato alla storia con lo pseudonimo
Lenin, ndr) si incrinò a causa dei suoi gravi problemi di salute. Il principale dirigente della
Terza Internazionale, dopo la morte dell'autore delle
'14 tesi di aprile' fu appellato come
"controrivoluzionario, terrorista, agente al servizio dell'imperialismo straniero". L'ultima, gravissima, accusa fu addirittura quella di
"fascismo". Nonostante gli orrori compiuti dal
socialismo reale di
Stalin, impossibili da comprendere dietro l'esigenza di inculcare le istanze del
marxismo nel tessuto sociale, la figura di
Trotsky sembra non riuscire a godere di una meritata
'riabilitazione'. Neanche il ritrovamento del poscritto al
testamento di Lenin fece maturare la volontà di riconsiderare le accuse nei confronti
dell'ex-menscevico. Così scriveva
Vladimir Il'ic Ul'janov: "Stalin è troppo brutale. E questo difetto, perfettamente sopportabile nelle relazioni tra comunisti, è incompatibile con le funzioni di segretario generale. Invito i compagni a riflettere sul modo di revocare Stalin da tale carica per sostituirlo con un uomo che gli sia superiore sotto ogni aspetto: più tollerante, più leale, più cortese, più riguardoso verso i compagni, meno capriccioso". Una raccomandazione firmata in data
4 gennaio 1923, cioè quindici anni prima dei famigerati
'Processi di Mosca', meglio noti come
'purghe staliniane'. Stando alla
vulgata 'marxista-leninista', sarebbero stati procedimenti giudiziari seguiti da
esecuzioni sommarie in tutta la loro durata (dal
1936 al
1938), eccezion fatta per i capi d'imputazione che investirono
Lev Trotsky: una coincidenza strabiliante. La persecuzione fisica da parte dei quadri dirigenti del
Partito comunista sovietico, culminata con l'omicidio
dell'agosto 1940, era stata preceduta proprio da quella
politica di terrore. Il
'trotskismo' venne giudicata una delle tante
'eresie' montanti, allo scopo di eliminare tutte le opposizioni. Il mito di una linea politica alternativa
all'ortodossia marxista-leninista, incarnata da
Stalin e dai suoi fedeli, venne in seguito sfatato da un esponente della sinistra bolscevica,
Zinoviev, cioè proprio da colui il quale aveva contribuito in prima persona alla strutturazione delle critiche politiche e ideologiche rivolte a
Trotsky. Il quale aveva replicato, in un suo lungo monologo intitolato
'I crimini di Stalin' (recentemente ristampato,
in Italia, da
Res Gestae, 2016), denunciando la rapida soppressione di ogni forma di
democrazia interna al Partito e
l'abolizione dei sindacati come corpi intermedi tra i
soviet e i
commissari del popolo. Un monito che aveva il ruolo fondamentale di svelare il
'tallone d'Achille' preso di mira dal blocco delle democrazie occidentali: la nascita e lo sviluppo di una
'casta' di burocrati sempre più abbienti nel sistema sovietico, maleodorante di ipocrisia. Una retorica antenata di quella
'sovranista', che oggi etichetta come
'radical-chic' tutto l'arco della
'sinistra istituzionale', dai
'liberal' ai
riformisti, fino agli attivisti dei
centri sociali. Lungi dall'essere una spaccatura sulle sfumature di una stessa cornice, quella tra
Stalin e
Trotsky furono due impostazioni politiche incompatibili. Quello che il
dittatore 'georgiano' instaurò in
Unione Sovietica fu un vero e proprio
capitalismo di Stato, che sommava le disuguaglianze di casta alla tirannica repressione di ogni libertà civile e politica in nome della socializzazione dei mezzi di produzione. Già negli
anni '30, durante l'esilio in
Kazakistan, il rinnegato
Trotsky era divenuto uno strenuo sostenitore della tesi che
"la rivoluzione era stata tradita" e che non fosse più, in alcun modo,
"recuperabile". Le
'migliorìe di facciata' dei governi di
Kruscev e
Gorbacev, negli
anni '60 e
'80 del secolo scorso, non hanno fatto altro che ritardare la capitolazione di uno dei più grandi esperimenti della Storia. La sua teoria della
'Rivoluzione mondiale' venne tacciata di utopia, l'antitesi di ogni
materialismo dialettico. Accuse respinte dall'autore de
'I crimini di Stalin' attraverso il ricorso a
Marx e alla profonda conoscenza della relazioni tra le potenze:
"Da un assedio si esce davvero vincitori solo nel momento in cui altre forze esterne condividono la tua causa". Allora viene da chiedersi quale sia stata la vera
utopia ideologica: quella del
'socialismo in un solo Paese', oppure quella della
'Rivoluzione permanente'? La
'chiusura staliniana' ha significato la stabilizzazione del potere di una
casta burocratica. C'è chi dice non si sia trattato di
'socialismo in un solo Paese', per il semplice fatto che le
Repubbliche sovietiche erano tante, ben
15: limpida e cristallina come un ruscello di montagna sotto il sole di giugno è la malafede degli assertori di una simile tesi. Ben diverso il peso dell'obiezione di
Antonio Gramsci alla metafora della
'guerra di movimento', quella tattica bellica agile e veloce adattissima per la
Russia pre-rivoluzionaria, ma molto meno per le stabili democrazie del blocco occidentale. Accogliendo l'obiezione del fondatore del
Pci, non si può non notare come la linea teorica di
Trotsky, nella
Terza e nella
Quarta Internazionale, sia stata, nei fatti, quella di formare una
coscienza di classe operaia negli altri Paesi prima di
"fare la rivoluzione". Un politico lucido e lungimirante, insomma. Non un teorico originale, bensì un acuto esegeta di
Marx, per non appiattire mai sulla logica discorsiva la
dialettica reale tra le forze sociali. Eletto a soli
26 anni, nel
1905, presidente del
Soviet di Pietrogrado, egli non fu semplicemente lo
"stratega dell'Armata Rossa", ma un uomo che combatté in
prima linea. Attraverso una sincera dialettica interna risolse i suoi
dissidi iniziali con
Lenin, per poi abbracciare la
causa bolscevica. Un sognatore assai più concreto di quanto non fosse l'avanguardia degli
apparati burocratici 'staliniani'.