La
genitorialità è un aspetto molto serio della vita delle donne. Ed è curioso come, all'interno del
calendario 'gregoriano', sia stato intuitivamente semplice individuare il giorno della
'Festa del papà'. Immediato e coerente il legame della ricorrenza con
San Giuseppe. Non c'è univocità, invece, per la venerazione di
Maria. Ella, infatti, sembra dotata di
ipostasi: c'è una
Madonna per ogni luogo o bisogno. Anche se, per certi aspetti, tali
tradizioni sembrano rispecchiare la
capacità delle mamme di avere sempre
più di un rimedio per ogni piccolo dramma quotidiano.
L'8 maggio, o la seconda domenica di maggio in altri Paesi, così come
l'8 marzo o il giorno
dell'equinozio di primavera, vengono utilizzati, almeno dal secondo dopoguerra, per regalare una rosa alle figure materne di riferimento. È facile
malignare sulla
radice consumistica della festività.
Marzo o
maggio che sia, i
fiorai, in queste ricorrenze, smerciano
mimose o
fiori di ogni genere. Tuttavia, rispetto alla
'Festa della donna', la ricorrenza di
maggio suscita polemiche meno virulente. Forse, perché i
'tradizionalisti' la festeggiano nel modo in cui ritengono più opportuno, mentre le donne
'progressiste' lo lasciano passare chiudendo gli occhi, stringendo i denti e
'mordendosi la lingua'. Soprattutto, perché una
riflessione sulla maternità che prescinda da quella sulle
donne significa privare la
famiglia delle sue fondamenta. Sono parole
adamantine e
preziose, quelle con cui le donne si propongono di trasformare una società loro
avversa. In quel testo preziosissimo che è il
'Manifesto di rivolta femminista', la maternità viene scontornata di quella
dolcezza stucchevole con cui la società propina l'esperienza del
concepimento. Oggi, ogni partoriente può persino richiedere che la prole abbia anche il suo
cognome. Dunque, almeno quel punto del
'Manifesto', secondo il quale
"chi genera non ha la facoltà di attribuire ai figli il proprio nome: il diritto della donna è stato ambito da altri, di cui è diventato il privilegio" lo abbiamo finalmente realizzato. Le
rivoluzioni, tuttavia, non si fanno col
linguaggio. A distanza di un quarantennio dall'abolizione del
matrimonio riparatore, siamo estremamente lontani dall'aver emancipato la
peculiarità dell'essere donna dalla
maternità. Un uomo che non ha voluto far figli non è
'mancato' perché si è guardato bene dall'essere padre. Ma una
donna che si autodetermina non includendo la genitorialità come progetto di vita, riceve come risposte:
"Cambierai idea"; "E se lo vorrai quando sarà troppo tardi"? "I figli sono una benedizione". Nel sedicesimo punto del
'Manifesto di rivolta femminista' del
1970, le autrici esposero la necessità di riappropriarsi del
monopolio della narrazione dell'esperienza della
maternità. Come non viverla senza
rancore nel momento in cui la società le obbliga a scegliere tra i
figli e la
carriera? In questi giorni di
'fine-quarantena', sono tantissime le testimonianze, in ambito accademico, che segnalano una rinuncia da parte di ricercatrici alla partecipazione ai
seminari, per adempiere al
dovere di madre. Qualora ci sia un
marito in casa, ancora oggi questi non sempre consente alla moglie di
sviluppare a pieno le sue
potenzialità, dal momento che il
luogo di lavoro sta cominciando a coincidere con quello
domestico. Diventa facile unirsi alle affermazioni:
"La donna è stufa di allevare un figlio che le diventerà un cattivo amante". Ma anche:
"Noi identifichiamo nel lavoro domestico non retribuito la prestazione che permette al capitalismo, privato o di Stato, di sussistere". Col tempismo di sempre, il
'Corriere della Sera' ha pubblicato un sondaggio
Ipsos, dal quale emerge come
l'Italia continui a essere il
'fanalino di coda' per quanto riguarda la percezione degli
stereotipi di genere. Nello specifico,
63 donne su
100 pensano che le prime vogliano stare a casa con i figli piccoli, nonostante il lavoro sia una parte importante della loro vita. Di converso,
71 uomini su
100 concordano. Inoltre, solo
18 donne su
100 si fiderebbero a lasciare il compagno a
fare il padre. Chissà se, dietro la bassa
autostima maschile al riguardo, non ci sia anche un
'lavaggio di mani' di
'evangelica memoria'. Ovviamente, la relazione tra
madre e figlio viene sicuramente
danneggiata dal
lavoro per almeno
86 donne su
100 e per
71 uomini su
100. L'indiscutibile
serietà del
ruolo di madre pesa
sull'identità femminile molto più di quanto il
ruolo di padre su quella maschile. La
filosofia ha per secoli cristallizzato in differenze di natura quelle che sono
abitudini e
consuetudini culturali, incancrenite in almeno
4 millenni di patriarcato, rendendo indistinguibili le
differenze di sesso da quelle di
genere. Persino la
Rivoluzione francese, il primo evento storico che minò seriamente le fragili basi teoriche della
differenza castale tra
nobiltà e
plebe, si porta dietro la
'macchia' di aver deliberatamente ignorata la
voce delle parigine, che pubblicarono le loro rivendicazioni nella
'Dichiarazione dei diritti delle donne'. La
filosofia fu dunque
quell'arma che impedì alle
donne di
salire sul palco, invece di lavorare esclusivamente
'dietro le quinte'. Tra sacro e animale, il
miracolo della vita che si realizza attraverso il
corpo femminile è un
alibi perfetto per tenere le mamme
inchiodate a casa, guardando la
Storia fuori dalla finestra prendere direzioni che non si è mai contribuito a
influenzare davvero, se non da custodi dell'educazione della
futura genìa. Per dirla con
Banotti, Lonzi e
Accardi, le autrici del
'Manifesto' del
1970, solo qualora si realizzino le condizioni sociali affinché
l'autodeterminazione femminile alla maternità si compirà come
"una libertà che si sente di affrontare", allora
"la donna libererà anche il figlio. E il figlio è l'umanità".