
Non tutti sono chiamati a essere
artisti. Una cosa è la disposizione grazie alla quale l'essere umano è
l'autore dei propri atti ed è responsabile del loro
valore artistico; ben altra cosa è la
qualità per cui egli è
artista, cioè che sappia agire secondo le
esigenze dell'arte, accogliendone con fedeltà gli specifici dettami. Per questo motivo, l'artista è capace di produrre
armonia, poesia, bellezza e
qualità. Ma ciò, di per sé, non dice ancora nulla. Non si tratta di plasmare se stessi o di formare la propria
personalità, ma di mettere a frutto le proprie
capacità, dando
forma estetica alle idee, alle passioni, ai sentimenti. Nel creare un
brano o una
canzone, l'artista esprime, di fatto,
se stesso. A tal punto che la sua produzione musicale costituisce un riflesso singolare del proprio essere, di ciò che egli è. Ciò trova innumerevoli conferme nell'intera
Storia dell'arte: quando plasma un
capolavoro, non soltanto l'artista chiama in vita la sua
opera, ma per mezzo di essa rivela anche la sua
personalità. Nell'arte, egli trova una
dimensione nuova: uno straordinario
canale d'espressione per la crescita spirituale di se stesso e degli altri. Attraverso le sue creazioni, l'artista parla e comunica con il pubblico. In termini strettamente morali, con il
prossimo. La Storia stessa della musica non è soltanto una
'storia di sinfonie', ma anche di
persone, di
musicisti. La musica parla dei suoi autori, introducendoci alla conoscenza del loro intimo e rivelando l'originale contributo da essi offerto alla nostra
cultura. L'arte insomma, in tutti i settori, in questi anni ci sta sostanzialmente dicendo che
essa non giustifica se stessa. E che
l'atto estetico non è
fine a se stesso, bensi una
vocazione al servizio del bello. Il tema della
bellezza è perciò divenuto qualificante per un qualsiasi
critico artistico, cinematografico, teatrale o musicale. E il rapporto tra
buono e
bello suscita
riflessioni stimolanti. La
bellezza, in un certo senso, è espressione visibile del
bene. Così come il
bene è condizione metafisica della
bellezza. Lo avevano ben capito i
Greci antichi, che fondendo insieme i due concetti, coniarono una locuzione che li abbraccia entrambi:
'kalokagathía'. Ovvero,
'bellezza-bontà'. La potenza del bene si rifugia nella natura del bello. Il musicista e, più in generale, l'artista vivono una peculiare relazione con la
bellezza. In un senso molto vero, si potrebbe dire che la
bellezza è la vocazione del suo effettivo
talento artistico. E certamente, si tratta di un talento da far fruttare. E qui si tocca un punto essenziale: chi avverte in sé questa sorta di
'strana scintilla' che è la vocazione artistica di poeta, scrittore, pittore, scultore, attore, musicista, al contempo avverte anche l'obbligo di non sprecare questo talento, ma di
svilupparlo, per metterlo al servizio del prossimo e della società. Quest'ultima, infatti, ha bisogno di artisti esattamente come ha bisogno di scienziati, tecnici, professionisti, lavoratori specializzati. Tutte
vocazioni che possono garantire la crescita della persona e lo sviluppo della comunità, che di certo non vive solamente di impieghi amministrativi o burocratici, i quali rischiano di
pietrificare una società, soprattutto quando essi si rivelano, come accade in
Italia, inefficienti e ripetitivi. Insomma, gli artisti hanno conquistato un ruolo specifico nella società, perché mentre obbediscono al loro estro nella realizzazione di opere valide e belle, non solo hanno arricchito il
patrimonio culturale della nazione e dell'intera umanità, ma hanno anche svolto un
servizio sociale qualificato in favore del
bene comune. La differente vocazione di ogni artista, pur determinando gli ambiti specifici del suo servizio, indica, al contempo, quali siano i
compiti che l'arte deve assumersi, il duro lavoro a cui l'artista si sottopone, la responsabilità che deve affrontare. Un
musicista consapevole sa di dover operare senza lasciarsi dominare dalla ricerca della
'gloria fatua' di un
festival o dalla smania di una
facile popolarità. E, ancor meno, dal calcolo di un possibile
profitto personale. C'è, dunque,
un'etica, uno
'spirito', nel servizio artistico, in particolar modo in quello
musicale. Il quale, a suo modo, è un settore che
contribuisce alla vita di un popolo, perché la
bellezza serve per entusiasmare il
lavoro. E il
lavoro è ciò che ci rende possibile
risorgere.