Emanuela ColatostiSi può ascoltare la radio e lasciarsi cullare dalle suadenti voci dell'intrattenimento. Oppure, ci si predispone all'indignazione per le violenze simboliche, che strutturano i contenuti linguistici degli inserti pubblicitari. È infatti inaccettabile che il vecchio adagio 'Donne e motori, gioie e dolori' riesca ancora oggi a fornire spunti per la promozione di un autoveicolo. La scelta della macchina non è un episodio secondario nella storia dell'individuo, soprattutto per chi non la considera un semplice mezzo di trasporto, bensì un naturale prolungamento rafforzativo della propria libertà di circolazione. Ma secondo il messaggio del marketing, è ancora e solo l'uomo a decidere con quale veicolo una famiglia debba effettuare i suoi spostamenti. E per la stessa ragione, è sempre un maschio eterosessuale a 'scarrozzare' una donna. Si ascolta dalle reclame: "Con la mia nuova automobile, risulta tollerabile persino andare a pranzo da mia suocera, o accompagnare la propria partner in estenuanti sedute di shopping". La 'vanteria' è un atteggiamento tipicamente maschile, che emana dal 'sesso forte' di fronte a una camicia divenuta troppo stretta sui pettorali leggermente inflacciditi, oppure sui pantaloni troppo corti, che lasciano il calzino colorato in vista. Di conseguenza, c'è il piacere dell'autoveicolo a rendere loro sostenibile la quotidianità di coppia. Ma la vettura non è un semplice mezzo di trasporto: è più simile alla 'lampada dei desideri'. Proprio come Siri, Cortana e Alexa (non è un caso se gli assistenti di dispositivi hanno tutti nomi femminili, ndr), l'automobile esaudisce ogni desiderio verbalmente espresso dal suo padrone. Persino l'atto di aumentare la temperatura dal lato del passeggero, affinché la ragazza con cui si consuma il primo appuntamento sia portata a togliersi il cappotto, decisamente troppo ingombrante e coprente. Potremmo articolare la classica domanda, che in genere formula chi sta dall'altra parte: quale reazione avrebbero le donne se si presentasse un contenuto mediatico a parti invertite? Ma la questione, posta in questi termini, risulta controproducente. La proposta non è di polarizzare i generi in due schieramenti, dividendoli e rendendoli nemici. Perché il maschilismo fa male anche a chi lo esercita. Accade ogni volta che un ragazzo, a maggior ragione se non attratto da individui dello stesso sesso, si senta tagliato fuori dal 'branco' dei suoi coetanei, perché non ama il calcio, né le automobili, bensì dipingere o cantare. Il problema è la reiterata necessità di 'strizzare l'occhio' a strutture di pensiero già così difficili da scalzare. La pubblicità può nutrirsi dell'intrattenimento, per trovare strategie di comunicazione più efficaci. Ma il fatto che se ne parli, non significa che si ottenga automaticamente il risultato sperato: non identificare le case automobilistiche il cui reparto marketing continua a nutrirsi di 'sessismo' è il primo passo per concentrarsi sulla Luna, anziché limitarsi a osservare il dito che la indica.


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