La famiglia, il teatro, il cinema, la religione e la società visti con gli occhi di un attore-poeta cristallino e puro che da fervido credente e cristiano coerente ha deciso di confidarsi proprio con noi di Laici.it Parlare di sé non è facile.
Donato Placido, attore, scrittore, poeta, ha scelto di intraprendere un cammino letterario condiviso con
Antonio Gerardo D'Errico, lo scrittore specializzato in biografie di personalità della cultura, della politica, dello spettacolo e dell'arte. Per citarne alcuni:
Marco Pannella; Eugenio Finardi; Pino Daniele. Ha già scritto diversi libri con
Donato Placido, riuscendo a raccontare le esistenze altrui con uno stile originale e coinvolgente. Dalla loro intesa è scaturita una collaborazione divenuta, nel tempo, una grande amicizia, che ha portato alla realizzazione del libro
'Dio e il cinema: una vita maledetta tra cielo e terra', pubblicato da
Ferrari Editore. Donato si confida al lettore con una sincerità e una chiarezza estrema: parte dal rapporto con i genitori e i fratelli, per passare alla sua professione e proseguire in concetti universali e profondi, come l'amore, la religione, l'amicizia, la solitudine, la meditazione, la fede. Ci ritroviamo a conoscere la storia di un uomo cresciuto in una famiglia numerosa, fratello d'arte di uno degli attori più amati del cinema italiano:
Michele Placido. In questo libro, c'è la voglia di ricordare e recuperare i momenti del passato, senza dimenticare le difficoltà.
Donato, come
Michele, entra nel mondo dello spettacolo e diventa attore. Ripercorre le tappe della sua carriera: dalla sua formazione all'esordio e al successo, fino al momento più difficile, quando lontano dalla mondanità si ritrova a dover fare i conti con una realtà ben diversa, in cui è costretto a confrontarsi con la propria interiorità. La fede, la spiritualità e la poesia, che tanto ama, lo aiutano a superare le criticità familiari e quelle dell'esistenza. Con notevole profondità di pensiero,
Donato Placido ci accompagna a conoscere le fragilità umane e ci consegna la parte più intima di sé, senza nascondere i dubbi, le paure, gli errori e i rimpianti. Conosciamo fino in fondo l'anima di un uomo che non si piega innanzi agli ostacoli della vita, ma resiste con coraggio, pregando e credendo in Dio. Un viaggio emozionante di riflessione e crescita nella verità.
Donato Placido, è in uscita 'Dio e il cinema: una vita maledetta tra cielo e terra', la tua biografia firmata insieme ad Antonio Gerardo D'Errico: come nasce questo progetto a quattro mani?"Veramente, l'idea è nata da Antonio, partendo dai ricordi familiari e trattando le vicende degli ultimi anni della mia vita. A me è piaciuto il progetto. D'Errico mi ha chiamato varie volte e mi ha intervistato per telefono, ovviamente registrando. Abbiamo conversato a lungo ed è nato questo libro".
Hai scelto di fare l'attore: ci racconti come hai iniziato?"Questa passione è nata per una scommessa: potevo riuscire, volendo, anche a fare l'attore. Non che avessi innata in me una vocazione quanto quella di comporre poesie, o di scrivere brani. Mi è andata abbastanza bene, all'inizio, finché ho fatto il 'bel tenebroso' in sceneggiati come 'Il fauno di marmo', diretto da Silverio Blasi, con Orso Maria Guerrini e Marina Malfatti: mi scelsero subito come protagonista al provino. Nello stesso periodo ho partecipato anche al Caligola. Facevo tre lavori contemporaneamente: nel Caligola di Tinto Brass ho vissuto un set grandioso. Ho fatto tantissime cose, tra cui '7 minuti', con Fiorella Mannoia, Ambra Angiolini, Cristiana Capotondi, Violante Placido e 'Romanzo criminale', con la regia di mio fratello Michele. Poi, 'L'ultimo padrino' in cui Michele interpreta Provenzano, con la regia di Marco Risi. Nel film, io sono un famoso boss, che era un massacratore".
Nel libro racconti anche la tua famiglia: quanto è importante per te? E cos'è per te l'amore?"Alla mia età ho capito che l'amore è la cosa fondamentale proprio in tutto, a parte la famiglia. Poi, oggi, nel mondo occidentale ci si occupa dei cosiddetti 'affari', che poi io dico: a che serve? Per un piatto di maccheroni e un'amoreggiata con una ragazza? L'amore è un'altra cosa. Ci sono 3 tipi di amore: l'amore evangelico, l'amore tra uomo e donna, l'amore anche familiare. La mia famiglia mi ha lasciato camminare un po' da solo, quando sono uscito fuori dal lavoro. Così, mi sono dedicato molto alla scrittura e al pensiero di Dio. Nel libro scrivo proprio questo: 'O Dio o niente'. Io voglio essere sincero: tutto questo andirivieni, correre e fare. Io vedo un Dio che sta su in cielo e se la ride. Di questi tempi, la parola amore è quasi una parola da favola vicino al camino a Natale, ma in realtà non è così. Alla fine, questo tipo di atteggiamento, un po' cattivo, della società occidentale, secondo me crollerà, perché l'uomo è un animale sociale: prima o poi, si deve arrendere di fronte a tutti questi 'affari', all'economia come elemento centrale di ogni questione. O basi tutto sull'amore o nulla. Come diceva San Francesco: "Tutto questo non mi serve".
Che cos'è per te la poesia?"La poesia è un dono particolare, che proviene dal Padre Eterno: li sceglie e, a un certo punto, li fa poeti. Come diceva Platone non dovrebbero governare i politici, ma i filosofi. Io credo molto nei poeti, hanno un'onestà di base. La poesia è tutto, a livello spirituale: è una catarsi, è come crocifiggersi da sé, ma non in senso masochista, bensì di 'innalzamento'. Porto sempre un esempio che può sembrare semplice e banale: se tu metti un 'pezzo' di carne e un 'pezzo' di spirito o di anima e li fai stare una settimana fuori dal frigorifero, la carne va in putrefazione, lo spirito non può che innalzarsi. Io vedo nei poeti dei grandi, dei geni, delle persone particolari che, purtroppo, come sai, al tempo di oggi non hanno seguito. Per me, la poesia è vita: se si basasse il mondo su questa pratica della poetica, ci sarebbero meno falsità".
Cosa pensi della situazione complessiva del nostro Paese? Qual è la tua visione?"Siamo in un momento molto pericoloso: qui crolla tutto. E non è più una questione di prima o poi, ma più di prima che poi. Già cinque o sei anni fa scrivevo che siamo messi male. Poi, nel libro 'Spalle al muro', ho cominciato a invitare la gente a pregare. Servono la preghiera e i fatti: viviamo un momento di crisi potente, in cui la fede, secondo me, si è persa".
Com'è Donato Placido nella quotidianità?"Voglio essere un po' 'junghiano': sono un uomo vero. Nella vita amo la trasparenza, perché sono sicuro che è quella vincente, alla fine del percorso, anche se qualche bugia ogni tanto serve. Mi rimproverano. Anche Michele mi dice: 'Finiscila di fare la parte di Gesù Cristo'. E' vero: ho dovuto imparare a dire qualche piccola bugia. Questo fatto mi rende affascinante, me ne sono accorto. Ma la figura dell'uomo autentico può anche risultare antipatica, poiché certe volte rasenta la presunzione. Per me, un'amicizia è un'amicizia vera; un amore è un amore vero; una madre, guai a chi la tocca".
Nel libro emerge, infatti, la figura materna: un riferimento importante, vero?"Sì. Ho scritto tante poesie sulla madre. Ci sono dei versi che voglio citare: 'Lasciati accarezzare teneramente i capelli impomatati, sanno di ogni terra'. Uno che dice: 'Sanno di ogni terra' ha già detto tutto. Non voglio fare il 'mistico', ma dire 'Ella parve'? No: "Ella apparve". Un gioco di parole che ha un significato immenso. Io sono sicuro che il mistero della madre è così importante che supera l'esistenza stessa dell'universo. Ed è per questo che Dio ha voluto una madre: non solo per dare un ruolo o importanza anche alla donna".