E siamo ancora a parlar di laici, per riassumere in una parola
il poco laico rosario delle definizioni che ci appartengono. Lo avevamo fatto con lo sguardo rivolto alle elezioni europee, alla fine affrontate nel peggiore dei modi possibili. Torniamo a farlo perché
si può e si deve. Perché è un nostro dovere. La nostra critica al falso maggioritario ed al falso bipolarismo origina fin dal debutto di quest’irragionevole sistema. Un polo di governo
trascinato dall’estremismo leghista ed il cui leader è impossibilitato a mantenere gli impegni che egli stesso ribadisce; un polo d’opposizione
gettato in piazza dietro bandiere tipiche dell’antagonismo, non certo della cultura di governo, capitanato da non si sa chi, e probabilmente dall’unico uomo che non si sottopone al giudizio degli elettori; ecco il risultato del primo maggioritario al mondo che
consegna il potere alle ali, punendo ed umiliando il centro dello schieramento politico. Il quale centro, quando rialza la testa, lo fa per affermare
il diritto all’esistenza dei democristiani, da una parte e dall’altra.
Democristiani che, oramai privi di forza e di programmi,
si gettano su quell’identità religiosa che la vecchia
Democrazia cristiana aveva giustamente
sfumato. Così nascono leggi, appoggiate e votate
trasversalmente, che il fu partito di maggioranza relativa non avrebbe neanche
preso in considerazione. E nel mentre quella che gli sventurati chiamarono seconda Repubblica mostra tutte le sue rughe e crepe precoci,
le famiglie laiche sembrano dedicarsi alla salvezza di blasoni che hanno smarrito la politica, metà nostalgici di se stessi, metà lanciati all’inseguimento di una politica spettacolo che trasformerà il blasone in tatuaggio per bulli. Ciechi innanzi
allo spazio che si apre loro, incapaci di vederlo perché,
dilaniati fra il passato ed il futuro, hanno smarrito il presente.
Quello spazio si chiama
politica. E la politica è fatta
di idee e di passione, di inventiva, innovazione, dialogo, aggregazione, ed anche scontro, sì, certo, ma non su schieramenti che non appartengono né ai laici che si trovano nella destra né a quelli che si trovano nella sinistra. La tornata elettorale europea non deve alimentare illusioni: al proporzionale puro non si torna. Dico di più: non vale la pena tornarci. La vitalità del nostro mondo (e dico vitalità, non sopravvivenza) non è affidata alla bandiera del punto percentuale, ma alla forza di
dare idee e politica ad un’Italia non rappresentata. E di farle pesare su un mondo politico che continua a riscuotere la maggioranza dei voti, ma che è
in visibile affanno d’idee e di classe dirigente.
Se di questo saremo capaci, il nostro orizzonte elettorale è quello di ridare rappresentanza al 20-25 per cento dell’elettorato. Dicono alcuni: ma quei voti erano raccolti da partiti diversi, con identità proprie, e non è proponibile
un’aggregazione multicolore. Penso, però: quei diversi partiti sapevano poi trovare il modo di contare, assieme,
dal centro-sinistra allo schieramento degli euromissili, dalla scala mobile alla laicità dello Stato. Noi, oggi, sembriamo
incapaci proprio di questo. Quindi, senza volersi imbarcare in processi lunghi e difficili, destinati ad infrangersi anche
su piccoli egoismi e piccole persone, rimettiamo mano alla politica come l’abbiamo voluta intendere, fatta
d’intelligenza, di passione, di volontà.
Ripartiamo dai
temi specifici per ridare voce ad un mondo che
merita una nuova generazione, un nuovo inizio, una nuova convergenza di sforzi. Il partito unico dei piccoli partiti non serve, e non è credibile, ma la palestra ed il contenitore comune delle idee e delle battaglie non solo servono, ma avrebbero
uno spazio ed un peso oggi inimmaginabili.