Negli ultimi decenni della vita del nostro Paese si è creata una
nuova geografia religiosa nei confronti della quale la legislazione relativa è
“in ritardo”. Si è moltiplicata
la presenza delle diverse religioni senza che ci sia stato un adeguato progresso da parte del legislatore. Per di più vengono messe in questione le tradizionali norme createsi nel passato assetto giuridico del nostro Paese. Se è stato laborioso il cammino delle “intese” già raggiunte (a volte ha richiesto tempi incredibilmente e ingiustificatamente lunghi) non può essere semplificato il rapporto giuridico da stabilire con i nuovi movimenti religiosi e con le religioni di più antica tradizione che hanno ormai una consistente presenza nel Paese. C’è, tuttavia, un’attitudine di fondo da avere nell’affrontare tale fenomeno che, a mio avviso, deve in qualche modo
presiedere anche la mens del legislatore. Si tratta del
giudizio storico circa l’attuale condizione di
multietnicità e di multireligiosità del nostro Paese e dell’intero occidente. E’ sufficiente scorrere l’abbondante letteratura sul fenomeno delle migrazioni per convincersi che si tratta di un evento epocale. Va, quindi, affrontato con attenzione e intelligenza e, per parte mia, aggiungerei anche con
generosità. E’ storicamente perdente sia una sciocca chiusura che un insipiente lassismo. E’, di fatto, il futuro del nostro Paese, il futuro dell’Europa e del mondo. E’ quindi saggio affrontare la situazione della multireligiosità come
una chance per il Paese, piuttosto che come una disgrazia. Ebbene, penso che il legislatore debba mettersi in questa prospettiva per legiferare. Lasciarsi sorprendere dalla paura significa cadere in errori pericolosi. E, in ogni caso, solo una intelligente legislazione permette di governare il fenomeno. Tanto più che il futuro che si deve immaginare e costruire è rendere possibile
la convivenza tra diversi, tra diverse culture, tra diverse fedi e diverse tradizioni. E lo dico
soprattutto dopo l’11 settembre 2001. L’indispensabile lotta al terrorismo è la
pars destruens che deve vedere “tutti” concordi (ma qui il discorso si fa troppo ampio per poter essere affrontato), richiede altresì l’impegno, altrettanto importante, per
aiutare le culture e le civiltà a porsi in dialogo costruttivo tra loro. E’ la
pars costruens, se così posso dire. Ossia aiutare i diversi a convivere in modo pacifico. La legislazione sulla libertà religiosa è uno dei
tasselli centrali per aiutare questa convivenza tra religioni diverse all’interno di una stessa area.
So bene che si tratta di un cammino
stretto tra la conservazione della propria identità e il rischio della dissoluzione. Ma l’identità, proprio perché è
dentro la Storia non può essere conservata in astratto, come fosse
in “provetta”. Essa, per conservarsi, deve mettersi necessariamente in dialogo con la Storia in cui è immersa, ovviamente
senza abbandonare quei principi supremi di uguaglianza e di libertà sanciti dalla Costituzione. Se si ripercorre la Storia del nostro Paese, si vede con chiarezza questo cammino di
integrazione di culture nell’alveo di una identità che, pur restando tale, si è via via
arricchita e riqualificata.
In ogni caso, in Italia la pluralità delle religioni è un fatto ormai
consolidato e irreversibile. Non mancano ovviamente i problemi. Per quanto concerne la Chiesa Cattolica, il cammino del dialogo con le altre fedi è assolutamente obbligato. Ma va inteso
con intelligenza. Non si tratta, infatti, né di cedimento né di annacquamento del proprio credo. La non breve esperienza che ho di incontri con le altre religioni mi porta a dire che
solamente chi vive con serietà la propria fede può attuare un efficace dialogo con l’altro. Non c’è dialogo con una incerta identità. In tale contesto,
ritenere vera la propria religione, non vuol dire che l’altra è tutta falsa, e meno ancora che sia da abbattere: il Concilio Vaticano II ha dato indicazioni chiare in questo senso per i cattolici.
Per quel concerne i rapporti con le altre religioni, il cammino è complesso. Forse, le questioni più
ardue sono quelle relative alla religione
islamica. Non è questa la sede per trattarle, ma visto che il relatore del disegno di legge,
On. Bondi, ha affrontato la questione della reciprocità,
credo che lo Stato italiano ha tutto il diritto di chiederlo agli Stati islamici. E sono anche convinto che, qualora questa legge venisse approvata dentro il semestre di presidenza italiana all’Europa, il governo italiano potrebbe far valere un’autorevolezza ancora maggiore nell’eventuale intervento con i governi dei Paesi islamici. Così pure è da considerare con attenzione il rapporto con un Islam che, grazie anche a questa legge, potrebbe acquisire
caratteri “italiani”, quindi un
Islam compatibile con le leggi e i valori del nostro Paese. Al di là della questione dell’integrazione, sempre molto difficile, la legislazione deve comunque
aiutare la convivenza tra tutti nel rispetto del quadro giuridico del Paese.
Non mi dilungo su questo, ma credo che ci siano tutti i motivi perché l’attuale disegno di legge venga approvato con sollecitudine. Questo significa che è necessaria una attenzione vigile nell’esame dei diversi articoli e delle relative osservazioni, come già chi mi ha preceduto ha fatto, ma nello stesso tempo è altrettanto importante una sollecitudine nell’approvazione.
La legge è opportuna
Il presente disegno di legge – A. C. n. 2531 - recante “Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi” è pertanto
più che opportuno. Accennavo prima alle mutate condizioni che richiedono
un nuovo assetto legislativo rispetto a quello del 1929-30 sui cosiddetti “culti ammessi”. Tale legislazione, seppure emendata negli aspetti più negativi dagli interventi della Corte Costituzionale, esprime un’impostazione ispirata più a una
concessione sospettosa e avara che al pieno riconoscimento dei diritti delle persone e delle comunità religiose. Inoltre, come sottolineato di recente anche da Mons. Betori, la stessa nozione di
“culto ammesso” risulta stridente sia con i principi costituzionali, sia con gli stessi indirizzi prescritti e, per quanto riguarda la Chiesa Cattolica, con la dichiarazione conciliare “Dignitatis humanae” e col successivo insegnamento magisteriale della Chiesa Cattolica. Non ci si può più limitare alla
mera tolleranza, si deve procedere a un
pieno riconoscimento della libertà religiosa in tutte le sue dimensioni. Com’è noto, in occidente si è passati
dall’intolleranza alla tolleranza religiosa; dalla tolleranza alla libertà religiosa; da una libertà religiosa intesa come immunità da coercizioni esterne in materia religiosa, a una concezione della stessa in positivo, ossia come pretesa di dimensionare tutta la vita della persona, nei diversi ambiti e nelle differenti relazioni sociali, sul credo religioso di appartenenza e di vedere riconosciuta la rilevanza pubblica della religione.
Questa prospettiva mi pare in pieno accordo con l’interpretazione data dalla
Corte Costituzionale italiana a proposito della cosiddetta
“laicità”. Sappiamo bene il dibattito che c’è stato attorno a tale prospettiva, anche per quanto riguarda la
Costituzione europea. Nel caso italiano, l’interpretazione del testo costituzionale, marca una sostanziale
differenza con la legislazione
francese che, a mio avviso, presenta toni fortemente
ideologici. C’è stato un percorso negli ordinamenti giuridici in tale materia: lo Stato in Italia è passato progressivamente da un atteggiamento di mera neutralità a un atteggiamento neutrale sì, ma “collaborativo”. E la nota sentenza dell’11-12 aprile 1989 lo manifesta con chiarezza. Il testo, infatti, afferma che
il principio di laicità dello Stato, che si esprime in un atteggiamento neutrale rispetto alle diverse opzioni in materia religiosa, «implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale». Nella stessa sentenza la Corte Costituzionale ha precisato
l’attitudine laica dello Stato-comunità «che risponde non a postulati ideologizzati e astratti di estraneità, ostilità o confessione dello Stato - persona o dei suoi gruppi dirigenti, rispetto alla religione o a un particolare credo, ma si pone al servizio di concrete istanze della coscienza civile e religiosa dei cittadini».
Volendo ora fare qualche cenno al disegno di legge, mi pare che da parte della Chiesa Cattolica ci sia una valutazione sostanzialmente
positiva. E credo che possa contribuire non poco a realizzare più compiutamente il sistema costituzionale che disciplina il fenomeno religioso. Ci sono certamente da rispettare alcuni principi ed esigenze. Ne cito solo qualcuno a titolo esemplificativo. L’esigenza di attuare la disposizione del
primo comma dell’art. 8 della Costituzione, da cui discende per lo Stato democratico la necessità di
garantire a tutte le confessioni una effettiva parità nel godimento dei diritti di libertà. C’è, inoltre, da mantenere chiara la
garanzia, complementare ma distinta, offerta, rispettivamente per la
Chiesa Cattolica e per le confessioni diverse dalla cattolica, dagli
articoli 7 e 8 della Costituzione. E, come terzo, il fatto che la garanzia della
“uguaglianza nella libertà” per tutte le confessioni non può tradursi immediatamente nella rivendicazione della
“uguaglianza nel trattamento” e conseguentemente, fra l’altro, di un presunto
“diritto all’intesa”. Tale rivendicazione, da un lato non trova fondamento nel nostro sistema costituzionale e, dall’altro, potrebbe comportare una
proliferazione delle intese e uno snaturamento della loro stessa specificità e funzione quale prevista dal
terzo comma dell’art. 8 della Costituzione.
Valutazione generale del disegno di legge
Il testo del progetto di legge riprende
sia quello del 1990 che quello del 1997 (A.C. 3947) e presenta un’impostazione sufficientemente completa e
organica. Una prima osservazione, breve eppure di grande conto, è che questa legge, così com’è concepita,
armonizza finalmente la legge italiana con la normativa internazionale sui temi più generali dei diritti umani. Tale collegamento risulta evidente nella stessa terminologia, che talora
riporta alla lettera disposizioni internazionali. E’ un punto che va sottolineato, visto l’analogo processo che si sta avendo per l’Europa.
Un altro aspetto positivo che mi pare di debba sottolineare sta nel fatto che il disegno di legge affonda le radici nella
sapiente tradizione giuridica del nostro Paese. Ed è per questo che, a ragione, la legge
lascia alla sensibilità culturale e all’interpretazione giurisprudenziale taluni ulteriori possibili sviluppi, ovviamente sempre nel quadro dei principi costituzionali. Mi pare saggio, pertanto, che la giurisprudenza esamini di volta in volta le
eventuali “patologie” che possono insorgere in tale materia, che è in continua evoluzione, senza stabilire in anticipo i limiti, come ad esempio è avvenuto in Francia, i quali peraltro sono già previsti nel Codice penale e quindi applicabili a tutte le fattispecie.
Anche la questione delle
intese mi pare ben ordita. Correttamente non si prevede una sorta di
“diritto all’intesa”, poiché
l’intesa è cosa diversa dalla piena eguaglianza nella libertà e non può ritenersi
necessitata da quest’ultima, come risulta chiaramente da una corretta lettura dei commi primo e terzo del richiamato art. 8 della Costituzione.
Se la piena libertà è dovuta a tutti, l’intesa, invece, è frutto di una valutazione discrezionale dello Stato, il quale può decidere di stipularla o meno (salva sempre, poi, la decisione del Parlamento di approvare o non approvare con legge l’intesa così stipulata).
Ovviamente, perché
la discrezionalità non divenga
arbitraria occorre che lo Stato di attenga parametri oggettivi e ragionevoli, come ad esempio
il non contrasto degli statuti del gruppo che chiede l’intesa con l’ordinamento giuridico italiano; il rispetto dei diritti fondamentali della persona garantiti dalla Costituzione repubblicana e, più in generale, la non contrarietà del messaggio dei cui la confessione è portatrice ad alcuni valori che esprimono l’identità profonda della nazione e ispirano il suo quadro costituzionale. E’ ovvio che si deve inoltre
verificare la relazione della confessione richiedente con la tradizione storica del Paese, come pure la sua consistenza numerica, e altre indicazioni ancora.
Osservazioni e proposte
Per quanto concerne qualche ulteriore osservazione, credo siano da accogliere quelle proposte dal prof. Giuseppe Ferrari. Si possono poi considerare, come già altri più autorevolmente di me hanno notato, alcune altre osservazioni. Ad esempio, mentre
si accoglier pienamente l’art. 3, sarebbe però opportuno ricordare che
il divieto di atti di discriminazione non potrà esser letto nel senso di
mettere in discussione il diritto fondamentale delle cosiddette organizzazioni di tendenza di esigere che coloro che in esse liberamente operano esprimano indirizzi e atteggiamenti pienamente coerenti con il rispettivo orientamento ideale.
Mi pare, poi, saggia l’individuazione del
Consiglio di Stato quale
organo chiamato ad
esprimere parere circa la riconoscibilità della personalità civile alla confessione religiosa o al rispettivo ente esponenziale: rispetto alla
Commissione governativa, di cui
all’art. 32 del disegno di legge,
il Consiglio di Stato presenta infatti un più sicuro carattere di garanzia, può contare su una
valida tradizione giurisprudenziale e costituisce
un’alta istanza di imparzialità. Ciò è importante, poiché gli aspetti tecnici sono da raccogliere e illustrare nell’istruttoria, mentre
il parere deve investire soprattutto i profili giuridicamente qualificanti la natura e l’attività dell’ente richiedente.
Infine, alcune disposizioni del disegno di legge (ad esempio quella dell’art. 22, comma primo, circa le “intese” tra le confessioni interessate e le autorità competenti per la definizione concreta di interventi relativi a edifici religiosi) porranno il problema della loro
estensibilità – onde evitare diversità di trattamento “in peius” – alle confessioni religiose che operano in regime di Concordato o di Intesa. Ben a ragione il disegno di legge intende far salve tali espressioni della
bilateralità pattizia (cfr. art. 41, comma primo); e però lo Stato dovrà disporsi a
rivisitare, in dialogo con le confessioni interessate, alcuni degli aspetti richiamati, proprio per evitare conseguenze improprie e certamente non volute.
In conclusione, mi pare che tale disegno possa entrare nella sua fase di conclusione: mentre considera
libere e uguali tutte le religioni davanti alla legge, nello stesso tempo
garantisce la singolare storia delle varie religioni che, in diverso modo, hanno contribuito a
costruire l’identità di questo nostro Paese: è un passaggio legislativo che garantisce la Storia e il futuro del Paese.
Vescovo di Terni, Narni e Amelia