Dal
30° rapporto dell'Eurispes emergono dati sconfortanti: le tendenze politiche, culturali, economiche e sociali mostrano una caduta del senso di responsabilità, che non aiuta a sviluppare le potenzialità del nostro territorio. Cresce il
Pil, si è ridotta leggermente la pressione fiscale, aumenta l'occupazione. Detta così, sembra che la crisi sia ormai alle spalle, ma è ancora presto per
'cantare vittoria': esistono ancora dei profondi problemi strutturali nel Paese, che frenano lo sviluppo. E' quanto è emerso dal rapporto annuale dell'Istituto di studi politici, economici e sociali fondato da
Gian Maria Fara. Presentato il
30 gennaio 2018 scorso alla
Biblioteca nazionale centrale di
Roma e giunto alla sua
trentesima edizione, il rapporto fotografa in modo chiaro la situazione generale
dell'Italia, che ha grandi difficoltà a trasformare la propria potenza in energia. All'evento sono intervenuti:
Marco Ricceri, segretario generale di Eurispes;
Paolo De Nardis, professore ordinario di sociologia presso l'università 'La Sapienza' di Roma;
Alberto Mattiacci, direttore scientifico dell'Eurispes; e il presidente,
Gian Maria Fara. La prima cosa che balza agli occhi è che non è più possibile continuare a parlare di
'Sistema-Paese': ormai sono due cose distinte, come due
'separati in casa' che faticano a convivere sotto lo stesso tetto. Il sistema è l'insieme delle reti e dei servizi pubblici e privati; il Paese, invece, è composto dai cittadini. In passato, l'uno era il completamento dell'altro. Ma ormai, questo matrimonio, durato più di cinquant'anni, si è sciolto. Il Paese si sente
deluso e
tradito da un sistema che non riesce più a garantire crescita, stabilità, sicurezza economica, prospettive per il futuro. Lo accusa di essere diventato
autoreferenziale, di aver perso di vista la sua
storica funzione, ovvero di guidarlo e accudirlo. Lo accusa di
egoismo e
avidità, di vivere nel lusso a discapito di chi combatte per mettere insieme il pranzo con la cena. I capi d'imputazione che muove il sistema non sono meno forti: il Paese purtroppo non riesce a rendersi conto dei
cambiamenti epocali che sono avvenuti e sono attualmente in corso; pretende il mantenimento di un
welfare che non può più permettersi; resta legato all'idea del
posto fisso, piuttosto che del
lavoro. Così, il sistema diviene
fragile, prigioniero di se stesso e delle norme, spesso in contrasto tra di loro, che cercano di regolarlo. Fragile non significa, comunque, debole:
l'Italia ha enormi potenzialità, ma per colpa di una
classe dirigente che non ha mai fatto sforzi comuni per migliorare se stessa, è chiusa in una morsa. E' in ritardo il processo di ammodernamento dei
trasporti; quello del
sistema scolastico; delle
infrastrutture; della
banda larga; dell'informatizzazione e di tanto altro. Il crescente debito pubblico condiziona e limita la possibilità di destinare risorse per colmare ulteriori falle. Non è un caso che la
'parola-chiave' di quest'anno sia
responsabilità. E' proprio il presidente di Eurispes,
Gian Maria Fara, a sottolinearlo nella sua analisi:
"La mancanza di responsabilità è diventata un elemento distintivo del vivere quotidiano e il principale comune denominatore di una serie di vicende che hanno caratterizzato la vita pubblica italiana su diversi fronti". Nessuno si sente più
responsabile di niente. E questo provoca un allontanamento dalle decisioni e dalle scelte, a partire dai piani alti fino ai singoli individui. C'è un forte bisogno di recuperare i
valori che sono la base per la tenuta dei rapporti sociali. Se la ripresa c'è, essa avviene solo per la spinta di alcuni settori, come
l'agroalimentare, l'industria dell'auto, la moda e i
beni di lusso, non tanto per uno
slancio collettivo. Siamo considerati
un'eccellenza a livello internazionale in materia di
sicurezza e lo dimostrano anche i dati sul livello di fiducia dei cittadini verso le istituzioni: dal
7,7% del
2017 all'attuale
13%. Positivo il giudizio sul contrasto al
terrorismo e alla
criminalità. E il
sistema sanitario è tra i più avanzati al mondo, anche se è evidente il dislivello nella capacità di gestione tra le varie regioni. Fa pensare il fatto che, dal
2005 al
2015, più di
10 mila medici italiani siano andati a lavorare
all'estero: è sicuramente un danno economico per il nostro Paese, che li ha formati e poi persi insieme a tanti altri
'cervelli in fuga'. Allarmante la situazione economica degli italiani: il
23,2% ha difficoltà ad affrontare
spese mediche; il
38% a pagare
l'affitto; il
25,4% il
mutuo; solo il
30,5% riesce a far
'quadrare i conti'. Ci si sente sempre più
poveri e sommersi dalle
tasse. Sul fronte del lavoro, i giovani si devono accontentare di
occupazioni precarie, con contratti spesso
a termine, mentre quelli a tempo
indeterminato sono scesi dal
38,4% del
2015 al
24% del
2017. Tanti ragazzi vedono così sfumare qualsiasi progetto di vita autonoma. Anche se la disoccupazione media è in calo, quella giovanile è pari al
34,5% del totale: un tasso doppio rispetto
all'Eurozona, che si assesta al
18,6%. Alto anche il livello degli
inattivi, che non lavorano e non cercano un'occupazione. Un quadro
infelice, insomma, che non fa altro che aumentare le diseguaglianze e l'incertezza nelle nuove generazioni, con la conseguente perdita di responsabilità. Manca l'idea di un
progetto al quale affidarsi: un Paese senza progetti è un Paese senza futuro. Spetta alla politica il compito di guidare la società verso il cambiamento, ponendo rimedio al vuoto del presente. Ma la
politica sembra in attesa di riscoprire se stessa.