Michela ZanarellaDal 30° rapporto dell'Eurispes emergono dati sconfortanti: le tendenze politiche, culturali, economiche e sociali mostrano una caduta del senso di responsabilità, che non aiuta a sviluppare le potenzialità del nostro territorio. Cresce il Pil, si è ridotta leggermente la pressione fiscale, aumenta l'occupazione. Detta così, sembra che la crisi sia ormai alle spalle, ma è ancora presto per 'cantare vittoria': esistono ancora dei profondi problemi strutturali nel Paese, che frenano lo sviluppo. E' quanto è emerso dal rapporto annuale dell'Istituto di studi politici, economici e sociali fondato da Gian Maria Fara. Presentato il 30 gennaio 2018 scorso alla Biblioteca nazionale centrale di Roma e giunto alla sua trentesima edizione, il rapporto fotografa in modo chiaro la situazione generale dell'Italia, che ha grandi difficoltà a trasformare la propria potenza in energia. All'evento sono intervenuti: Marco Ricceri, segretario generale di Eurispes; Paolo De Nardis, professore ordinario di sociologia presso l'università 'La Sapienza' di Roma; Alberto Mattiacci, direttore scientifico dell'Eurispes; e il presidente, Gian Maria Fara. La prima cosa che balza agli occhi è che non è più possibile continuare a parlare di 'Sistema-Paese': ormai sono due cose distinte, come due 'separati in casa' che faticano a convivere sotto lo stesso tetto. Il sistema è l'insieme delle reti e dei servizi pubblici e privati; il Paese, invece, è composto dai cittadini. In passato, l'uno era il completamento dell'altro. Ma ormai, questo matrimonio, durato più di cinquant'anni, si è sciolto. Il Paese si sente deluso e tradito da un sistema che non riesce più a garantire crescita, stabilità, sicurezza economica, prospettive per il futuro. Lo accusa di essere diventato autoreferenziale, di aver perso di vista la sua storica funzione, ovvero di guidarlo e accudirlo. Lo accusa di egoismo e avidità, di vivere nel lusso a discapito di chi combatte per mettere insieme il pranzo con la cena. I capi d'imputazione che muove il sistema non sono meno forti: il Paese purtroppo non riesce a rendersi conto dei cambiamenti epocali che sono avvenuti e sono attualmente in corso; pretende il mantenimento di un welfare che non può più permettersi; resta legato all'idea del posto fisso, piuttosto che del lavoro. Così, il sistema diviene fragile, prigioniero di se stesso e delle norme, spesso in contrasto tra di loro, che cercano di regolarlo. Fragile non significa, comunque, debole: l'Italia ha enormi potenzialità, ma per colpa di una classe dirigente che non ha mai fatto sforzi comuni per migliorare se stessa, è chiusa in una morsa. E' in ritardo il processo di ammodernamento dei trasporti; quello del sistema scolastico; delle infrastrutture; della banda larga; dell'informatizzazione e di tanto altro. Il crescente debito pubblico condiziona e limita la possibilità di destinare risorse per colmare ulteriori falle. Non è un caso che la 'parola-chiave' di quest'anno sia responsabilità. E' proprio il presidente di Eurispes, Gian Maria Fara, a sottolinearlo nella sua analisi: "La mancanza di responsabilità è diventata un elemento distintivo del vivere quotidiano e il principale comune denominatore di una serie di vicende che hanno caratterizzato la vita pubblica italiana su diversi fronti". Nessuno si sente più responsabile di niente. E questo provoca un allontanamento dalle decisioni e dalle scelte, a partire dai piani alti fino ai singoli individui. C'è un forte bisogno di recuperare i valori che sono la base per la tenuta dei rapporti sociali. Se la ripresa c'è, essa avviene solo per la spinta di alcuni settori, come l'agroalimentare, l'industria dell'auto, la moda e i beni di lusso, non tanto per uno slancio collettivo. Siamo considerati un'eccellenza a livello internazionale in materia di sicurezza e lo dimostrano anche i dati sul livello di fiducia dei cittadini verso le istituzioni: dal 7,7% del 2017 all'attuale 13%. Positivo il giudizio sul contrasto al terrorismo e alla criminalità. E il sistema sanitario è tra i più avanzati al mondo, anche se è evidente il dislivello nella capacità di gestione tra le varie regioni. Fa pensare il fatto che, dal 2005 al 2015, più di 10 mila medici italiani siano andati a lavorare all'estero: è sicuramente un danno economico per il nostro Paese, che li ha formati e poi persi insieme a tanti altri 'cervelli in fuga'. Allarmante la situazione economica degli italiani: il 23,2% ha difficoltà ad affrontare spese mediche; il 38% a pagare l'affitto; il 25,4% il mutuo; solo il 30,5% riesce a far 'quadrare i conti'. Ci si sente sempre più poveri e sommersi dalle tasse. Sul fronte del lavoro, i giovani si devono accontentare di occupazioni precarie, con contratti spesso a termine, mentre quelli a tempo indeterminato sono scesi dal 38,4% del 2015 al 24% del 2017. Tanti ragazzi vedono così sfumare qualsiasi progetto di vita autonoma. Anche se la disoccupazione media è in calo, quella giovanile è pari al 34,5% del totale: un tasso doppio rispetto all'Eurozona, che si assesta al 18,6%. Alto anche il livello degli inattivi, che non lavorano e non cercano un'occupazione. Un quadro infelice, insomma, che non fa altro che aumentare le diseguaglianze e l'incertezza nelle nuove generazioni, con la conseguente perdita di responsabilità. Manca l'idea di un progetto al quale affidarsi: un Paese senza progetti è un Paese senza futuro. Spetta alla politica il compito di guidare la società verso il cambiamento, ponendo rimedio al vuoto del presente. Ma la politica sembra in attesa di riscoprire se stessa.


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