Io so. Quell'attacco così essenziale, mirato e potente, che
Pier Paolo Pasolini scrisse sul
'Corriere della sera' il
14 novembre 1974, è un'eco che rimbalza di generazioni in generazioni, per chiedere quella trasparenza che una nazione democratica e libera dovrebbe assolutamente dimostrare. Perché la morte di uno degli
intellettuali 'civili' più importanti del nostro tempo è un mistero che ha segnato quarant'anni di attesa di una verità, ancora oggi nascosta.
"Io so", ripete quasi ossessivamente
Claudio Pierantoni, durante lo spettacolo
'Pasolini: la verità'. Una rappresentazione che ha scritto, interpretato e diretto, portandola in scena al
Teatro Vittoria di
Roma il
31 gennaio scorso, in collaborazione con le associazioni
'La quarta parete' e
'Cittadinanzattiva'. Una frase ripetuta con la voce strozzata dal pianto e dall'angoscia, con tutta la rabbia e il dolore per la perdita di un artista, un poeta e un uomo di rara intelligenza. Si inizia con la proiezione su un
maxi-schermo del cadavere dell'intellettuale friulano. Una foto che esprime tutta la crudeltà e la vigliaccheria di chi lo ha ridotto in quello stato: un corpo completamente lacerato e tumefatto. Si susseguono parole, frasi,
nomi scritti in un bianco che vanno a sovrastare la foto post mortem:
Andreotti; Cefis; Cia; inquinamento dell'aria; progresso; mafia, tanto per citarne alcune. Poi, tutto si cancella come un reset. E prendono forma altre immagini di
Pier Paolo: scatti di repertorio che lo ritraggono sorridente al mare tra le dune di
Sabaudia, con gli occhi limpidi, pieni di vita e i capelli al vento. Dai momenti audiovisivi si passa alla recitazione. Ed è un alternarsi efficace, che funziona. Ai lati del palco, due leggii come mute presenze. Arriva
Pierantoni ed è un dialogo aperto e confidenziale con il poeta: un monologo in forma di lettera, come se l'anima del poeta fosse in ascolto in questa supplica straziante, in questo grido di denuncia rivolto al mondo. Un gioco di luci in equilibrio lascia intuire le intensità espressive, il dramma, lo sfogo di liberazione. Tanti sono i
punti oscuri, per questa morte. Ma sono le stesse parole di
Pier Paolo a consegnarci
l'identikit degli assassini. Ogni verso, ogni pagina, ogni inquadratura, ogni battuta ne danno traccia: sono
"i presidenti; i borghesi; i dirigenti; gli onorevoli eccellenti; i fascisti; i monsignori; i moderati". Sono proprio loro che, oscenamente,
divorano il Paese con infinite bugie e false sentenze. Passano alcune scene dure e spietate del film
'Le 120 giornate di Sodoma', dove ragazzi e ragazze, completamente nudi, si fanno portare
al guinzaglio dallo Stato, che li comanda come bestie da addomesticare. Immagini che non possono non generare sdegno, o una qualsiasi altra reazione in chi le guarda. Qualcuno lascia la sala, forse
non ha voglia di capire. "E' uno schifo", ripete
Pierantoni, "uno schifo, quello che hanno fatto a un uomo che sapeva troppo: perché"? Questa è la domanda ricorrente. E la risposta si fa più concreta. L'attore elenca
nomi e cognomi, addentrandosi con precisione e piena conoscenza nei casi di
Enrico Mattei e
Mauro De Mauro, strettamente legati a Pasolini e alla sua fine.
Enrico Mattei, presidente
dell'Eni e
Mauro De Mauro, il giornalista rapito da
'cosa nostra' perché stava indagando proprio sulle ultime giornate di vita in
Sicilia dell'uomo che ha indistrializzato
l'Italia settentrionale. Una parola diviene la
'chiave' di collegamento più evidente tra i tre delitti:
"Petrolio". Come una piovra che tutto avvolge e annienta, il logo
dell'Eni viene analizzato. Ne emerge un disegno che racchiude realtà mostruose e terrificanti. E il pensiero torna a
Pier Paolo, che stava scoprendo cose che non avrebbe dovuto conoscere. Mancano la sua
voce autorevole, i suoi occhi, quel pensiero così profondo e profetico, a cui tutti siamo debitori. Con la sua perdita, il vuoto è stato pesante, enorme, incolmabile. Se ne è andata
una parte di noi, della nostra Storia e del nostro passato.
Pino Pelosi, all'epoca condannato per il delitto, ormai si sa,
non era solo in quella
notte infame: è stato una
'pedina' nelle mani astute di qualcuno.
Pasolini aveva colpito le
connivenze politiche con la
malavita, quel sistema corrotto e complice di situazioni torbide, che sconfinano oltre il territorio nazionale e spostano
interessi di mafia da
sud a
nord, percorrendo in un brivido la colonna vertebrale di questa nostra povera Italia.
Pierantoni si aggrappa, anima e voce, all'urlo interrotto di
Pasolini. Compie un'azione di risveglio delle coscienze e delle responsabilità, affidando allo spettatore il compito di parlarne, di agire, di fare. Il teatro diventa, così, uno
strumento d'impegno e di consapevolezza, nel tentativo di arrivare all'autentica verità. Insistere a più voci, forse, può servire.
Pasolini: la verità
Testo e regia: Claudio Pierantoni
Aiuto regia: Ilaria Parisella
con: Claudio Pierantoni
Light designer: Luigi Ascione
Realizzazione audiovisiva: Atra Visio