Carla De LeoIl XXI secolo sarà il 'secolo indiano'? È da questa domanda che Emanuela Scridel, affermata analista politico-economica, porta avanti un'attenta e accurata osservazione dei fenomeni socio-politico-economici che hanno, fino a oggi, contraddistinto questo secolo. Un'epoca la cui connotazione principale è  la velocità dei cambiamenti, che naturalmente 'impongono' nuove sfide e l'emergere di nuove realtà economiche e, quindi, nuovi scenari 'macroregionali'. L'esperta, che ha recentemente presentato il suo ultimo lavoro, dal titolo 'I Brics e la nuova governance globale: il XXI secolo sarà il secolo indiano?' (Rspi), presso l'Ambasciata dell'India a Roma, si è focalizzata sull'evoluzione dei Brics - i cosiddetti Paesi emergenti: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica - e sull'India in particolare, per dimostrare come questo secolo sia realmente: 'il secolo indiano'. Come? Partiamo innanzitutto da un'osservazione: siamo di fronte a un contesto internazionale completamente mutato e 'rinnovato', rispetto al passato, poiché oggi le dinamiche economiche prevalgono nettamente su quelle politiche. Anzi, attualmente il potere politico viene 'dettato' dalle potenze economiche. Ciò significa che il potere economico esercita un peso notevole nell'assetto della 'governance globale'. Quindi, al mutare dell'ago della bilancia economica, corrisponde, simultaneamente, uno spostamento degli equilibri mondiali e degli organismi internazionali, che devono trovare un nuovo 'assetto'. E i Brics, per quanto summa di realtà tra loro molto dissimili in termini storici, politici e culturali, esprimono, nel loro insieme, il consolidamento di 'legami-chiave' per il processo di riconfigurazione del potere a livello globale. Tant'è che, a giudicare dai loro trend di crescita, risulta obsoleta e inadeguata la definizione di Paesi 'emergenti', considerato che negli ultimi anni sono riusciti a determinare lo spostamento del baricentro economico del mondo, risultando come delle realtà ormai del tutto 'emerse'.

I motivi dell'avanzata dei 'Paesi-Brics'
Quando il termine 'Bric' fu coniato, nel 2001 (il Sudafrica si è aggiunto in seguito), la crisi statunitense stava iniziando a propagarsi tra le economie mature, ma Brasile, Russia, India e Cina sembravano esserne quasi immuni. L'elevato potenziale di crescita economica dei Brics (dislocati nei 5 continenti) ha avuto e ha dalla sua 'parte' tre fattori determinanti: 1) basso costo del lavoro associato a una elevata produttività; 2) abbondanza e disponibilità di materie prime; 3) un mercato 'domestico' in crescita. Tutto ciò ha permesso a questi grandi Stati di raggiungere, già nel 2012, una crescita media del 5%, che 'cozzava' duramente contro il 'misero' 0,5% dell'Unione europea. Una situazione di cui si deve prendere atto e che non solo significava (e in molte realtà ancora significa) che c'era un mondo in cambiamento contro la staticità della Ue, ma che durante la crisi finanziaria, i Brics hanno di fatto colmato il 'gap' delle economie in crisi e le hanno anche finanziate e 'salvate'. Inoltre, in questa analisi, si deve tenere in considerazione anche la revisione delle 'quote' del Fmi del gennaio 2016, in cui quelle dei 'Brics' sono salite del 6% e, con esse, anche il diritto di voto (il loro 'peso' si sta dunque istituzionalizzando): a oggi, quindi, Brasile, Cina, India e Russia rientrano tra i 10 Paesi più importanti del fondo, insieme a Usa e Giappone e a scapito della gran parte dei Paesi europei. 'Players globali', dunque. E non osservatori passivi. Specie l'India, che negli ultimi 20 anni si è trasformata da Paese in via di sviluppo a reale potenza economica, facendo leva sullo strumento della diplomazia economica e sui suoi tratti distintivi.

Il 'bicipite possente' dell'economia indiana
Con un afflusso di investimenti dall'estero pari a 34 miliardi di dollari nel 2014 - quando solo nel 1990 erano, a malapena 74 milioni di dollari - e una crescita prevista, per il 2016, dell'8% (dati: Imf), l'India 'sbaraglia' anche gli altri 'Paesi-Brics', oltre alle economie 'mature' o avanzate. Secondo le stime del Fmi (Fondo monetario internazionale, ndr), il tasso di crescita dell'India era del 7,5% nel 2015, contro il 6% della Cina (sia nel 2015 che per il 2016), il -1,5% del Brasile nel 2015 (e dello 0,7% stimato per il 2016), il -3,4% della Russia nel 2015 (e dello 0,2% del 2016), infine del 2% sia nel 2015, sia nel 2016, del Sudafrica. Mentre l'India cresceva del 5% nel 2013, del 5,6% nel 2014 e del 7,5% nel 2015, i tassi di crescita dell'Unione europea, nello stesso periodo, erano rispettivamente dello 0,5%, dello 0,8% e dell'1,1%. Quelli dell'Italia, tanto per avere un quadro ancor più ravvicinato, erano del -1,4%, del -0,5% e dello 0,6%. Un Paese che conta 1,25 miliardi di persone, il 24% delle quali al di sotto dei 15 anni (contro i 500 milioni dell'Unione europea, di cui solo il 15% under 15), significa un Paese giovane, dotato di un'elevata 'spinta' verso il cambiamento e l'innovazione. Tra i suoi punti di forza, inoltre: l'inglese come lingua ufficiale; la democrazia (al momento la più grande del mondo); una classe media crescente (più di 300 milioni di persone); investimenti sulle nuove generazioni e nel capitale intellettuale.

La 'scelta vincente'
Il settore più rilevante dell'impetuosa avanzata indiana è proprio quello dell'information technology. Il distretto di Bangalore, designato dal World Economic Forum come 'distretto mondiale dell'innovazione', fa oggi concorrenza alla Silicon Valley. Questa zona di ricerca avanzata conta 103 centri di ricerca; 135 facoltà di ingegneria; 186 politecnici; 600 scuole industriali e 114 facoltà di medicina. Un'industria che è cresciuta a un tasso medio annuo di circa il 50% dal 1993, producendo un giro d'affari pari a 29,6 miliardi di dollari. A dimostrazione del fatto che, dopo la gravissima crisi finanziaria del 1991 e le pesanti crisi asiatiche del 1997, l'India ha voluto a tutti i costi 'reagire', intraprendendo un percorso di mutamento nelle tesi ideologiche alla base delle passate scelte di politica economica, che le ha permesso di 'guardare oltre' e incentrare un 'progresso effettivo' nell'economia della conoscenza, che è il tratto distintivo del XXI secolo, comprendendo il capitale umano e intellettuale in quanto 'strumento-chiave' su cui puntare il suo concreto rinnovamento. In poche parole: è stata una scelta decisamente vincente.

Conclusioni
Per tutti questi fattori, nel 2012 il premier indiano 'lamentava' l'inadeguatezza degli organismi internazionali, non aggiornati rispetto alle politiche del mondo. L'accusa era - ed è tuttora - rivolta principalmente all'Onu, all'interno del quale è necessaria una riforma del Consiglio di sicurezza, se davvero l'organismo vuol essere rilevante nel XXI secolo per affrontare le grandi sfide sociali ed economiche che attendono il mondo. In particolare, l'India intende diventare promotrice di una nuova visione strategica: al crescere del peso economico di un Paese, deve corrispondere una maggior partecipazione, responsabilità e influenza sugli scenari internazionali e nelle scelte relative, soprattutto nei 'teatri di crisi'. I 'nani politici' come l'Ue (l'India non percepisce l'Unione europea come un 'unicum' e la considera un 'gigante in declino') non sono adeguati ad affrontare le nuove sfide. E, infatti, non è un caso se tra le priorità stabilite nella sua presidenza a Brics 2016, in cima alla lista compaiono la lotta al terrorismo e al radicalismo di matrice religiosa, a testimonianza della volontà di entrare nello scenario globale per far sentire la propria voce, ma anche per costituire un tramite, un 'ponte', tra oriente e occidente, teso a ristabilire un dialogo con l'Europa.


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