Il nostro modo di vivere e i nostri attuali
valori sono l'espressione della società in cui viviamo. Ma dovremmo tornare a essere felici con poco, come avvenne nel cuore, nella mente e nello spirito dei nostri
nonni e dei nostri
padri dopo il
disastro della
seconda guerra mondiale. Dovremmo tornare lì, razionalmente e spiritualmente, per poter ricominciare: o comprendiamo che la
felicità è
dentro di noi, oppure non approderemo a nulla. Non si tratta di elaborare una sorta di esaltazione apologetica della
frugalità popolare, bensì di tornare a essere
persone serie, sobrie, responsabili verso se stessi e verso gli altri. Abbiamo messo in piedi una società dei consumi in una continua e affannosa ricerca della
crescita. Perché in un sistema economico del genere, senza una
continua crescita ogni cosa diviene una
tragedia. Proprio perché sottoposti al
'ricatto' della crescita abbiamo inventato una montagna di
consumi superflui. Ma così facendo non sperperiamo solamente del denaro, bensì sprechiamo il
tempo della nostra vita, poiché quando compriamo qualcosa, non la paghiamo, in realtà, in moneta, bensì con il tempo che abbiamo impiegato per riuscire a guadagnare quei soldi. Con la differenza che l'unica cosa che non si può
comprare è la nostra
vita. E la vita
'passa', gli anni passano, così come il tempo che utilizziamo nella convinzione di essere
felici. E' terribile sprecare una vita in una
distorsione epicurea del
'carpe diem' latino.
Cogliere l'attimo per succhiare la vita fino al
'midollo' non significa affatto sottostare al
pensiero unico delle mode e
dell'estetismo astratto. La vita passa, così come passa la
bellezza, insieme alla nostra
gioventù. E' solo
un'altra tonalità di dolore, che ci conduce verso una
società vuota, completamente priva di
valori.