Come si trasformerebbe il nostro Paese se tutti gli extracomunitari scomparissero dai suoi confini? Sembra la trama di
'Cose dell'altro mondo', un film italiano del
2011 diretto da
Francesco Patierno: nella pellicola, infatti, un industriale veneto razzista sogna che tutti gli extracomunitari facciano ritorno nelle loro terre d'origine, agognando
'uno tsunami purificatore', verificatosi la sera stessa della sua pubblica dichiarazione in tv attraverso un violento temporale notturno. Ma la realtà, a volte, supera la finzione. E non di rado ci troviamo ad affrontare atteggiamenti di scetticismo
razzista e xenofobo nei confronti degli
stranieri. Modi di fare simili a quelli tratteggiati dal film di
Patierno, fortemente contestato dai deputati
leghisti per aver evidenziato criticamente (e sarcasticamente) alcuni delicati aspetti del
fenomeno migratorio e delle sua
percezione in Italia. Un fenomeno la cui corretta gestione costituisce, chiaramente, una delle più grandi
sfide che
l'Europa è chiamata a raccogliere, come dimostra anche l'ultima indagine
'Eurobarometro standar'. Quest'ultima, in particolare, rivela come la questione sia ampiamente presente nei pensieri dei cittadini europei, i quali ritengono prioritario un intervento dei propri esecutivi sull'immigrazione, che sembra angosciare più dell'economia e dell'occupazione. Anche gli italiani, allarmati dalla
stampa nazionale e internazionale e da
dichiarazioni non molto precise di alcuni
politici, temono fortemente il fenomeno migratorio, che le recenti statistiche confermano essere in costante crescita. A questo proposito, raccogliendo la provocazione del film di
Patierno, potremmo domandarci: come si trasformerebbe il nostro Paese
se non ci fossero gli immigrati? Il modello 'molecolare' italianoHa cercato di rispondere al quesito uno studio del
'Censis', effettuato in occasione dei quattro incontri dell'appuntamento di riflessione
'Un mese di sociale', dedicato quest'anno al tema:
'Ritrovare la via dello sviluppo secondo il modello italiano'. L'analisi si è focalizzata sull'argomento dell'integrazione in una società
'molecolare' e ha rilevato come quello degli
'sbarchi' e dei
'flussi non programmati' sia solo l'ultimo passaggio, certamente traumatico, di un percorso di immigrazione verso il nostro Paese che ha preso consistenza
nei primi anni '90 del secolo scorso, vivendo il suo
'boom' tra il
2000 e il
2010, che ha portato, in trent'anni, oltre
5 milioni di stranieri a vivere e a risiedere stabilmente nella nostra penisola. Gli stranieri ormai rappresentano
l'8,2% della popolazione italiana e, in base agli studi effettuati, essi vivono secondo un modello di integrazione meno
'intenzionale' rispetto a quello di altri Paesi, ma che ha finora mostrato di
funzionare discretamente e di non suscitare quei fenomeni di
'involuzione patologica' che si sono invece verificati altrove, per esempio in
Francia. Il
'successo' del modello italiano, definito appunto
'molecolare', risiede nelle
attività 'inclusive' messe in atto nelle
scuole, dalle
aziende, dalla
sanità, dai
'vicinati' e da altri luoghi pubblici ritenuti
'microcontesti quotidiani' di una integrazione silenziosa, ma efficace. Una insospettabile
'potenzialità italiana', misconosciuta dai nostri
organi di informazione - in larga parte assai superficiali, a parte pochissime eccezioni - che invece andrebbe divulgata proprio per contrastare alcuni atteggiamenti di
xenofobia e di
chiusura nei confronti degli stranieri. Tale
'sistema molecolare' è direttamente collegato alla
distribuzione delle popolazioni migranti lungo il territorio italiano: la meta privilegiata è, ovviamente, il
nord, in particolare
Milano e
Brescia, dove esistono maggiori possibilità occupazionali. Ma a guardar meglio, gli stranieri si sono distribuiti senza creare
territori ad 'alta concentrazione', evitando così quelle
'ghettizzazioni' e quei fenomeni di
'disagio etnico' che, invece, si sono regolarmente presentati in altre realtà europee. Lo stesso criterio è stato utilizzato per la gestione dell'emergenza, per la quale si è puntato su un modello
territoriale, evitando la concentrazione di stranieri in poche regioni del Paese, nonché ricercando la collaborazione tra tutte tutti gli enti locali, dalla
Valle d'Aosta fino alla
Sicilia. Ancora una volta, al primo posto, per numero di accolti, si trova la
Lombardia; seguono la
Sicilia, il
Veneto, la
Campania e poi tutte le altre regioni, con la
Valle d'Aosta che chiude il
'ranking'. Unico
'neo': il numero relativamente basso dei posti di seconda accoglienza rispetto alle richieste. Un fenomeno che determina una
permanenza eccessiva degli stranieri nelle strutture di
emergenza, per la maggior parte dislocate nelle regioni del
centro-nord, con conseguenti problemi per le strutture stesse, gli ospiti e le popolazioni locali.
Un'Italia senza immigratiSecondo l'analisi, senza la presenza di immigrati, l'Italia si trasformerebbe in un
Paese più 'piccolo', con molti
anziani e pochi
giovani. E sarebbe anche meno
'vitale', con meno
'welfare', minori prospettive per il futuro e, a ben vedere, anche
meno posti di lavoro per gli italiani. La
scuola, secondo il
Censis, è il luogo in cui l'integrazione dal basso si sta realizzando più efficacemente. L'analisi, in particolare, fa notare come l'assenza di immigrati nella scuola pubblica porterebbe a una
massiva riduzione delle classi, provocando il licenziamento di un cospicuo numero di insegnanti e una diminuzione più che sensibile dei posti di lavoro per gli italiani. Il tema dell'occupazione è particolarmente
'scottante' quando si parla di
immigrazione, in quanto gli stranieri, secondo i troppi
'luoghi comuni' diffusi irresponsabilmente nella percezione collettiva, vengono spesso ritenuti dei pericolosi
'competitors' sul mercato del lavoro. Ma le cose stanno proprio così? Secondo lo studio in questione, dei
22 milioni e mezzo di occupati assorbiti dal nostro mercato,
poco più di 2 milioni sarebbero stranieri. Di questi, il
36% circa risulta impegnato in attività e mansioni molto
umili, non qualificate, che molti italiani non sono più disposti a svolgere. Non solo: la presenza di stranieri in Italia giova particolarmente al nostro
'welfare famigliare', il quale, proprio grazie a loro, riesce a integrare, con servizi a basso costo e di buona qualità, le carenze del sistema pubblico. Pensiamo ai lavoratori stranieri occupati nei servizi di
assistenza e
cura della persona (le famose
'badanti', per esempio), o nella collaborazione domestica: essi, secondo l'indagine, costituiscono circa il
77,1% del totale degli occupati in questo settore. E la loro perdita significherebbe dover rinunciare a un alleggerimento del carico del lavoro domestico di molte donne italiane, impedendo loro di poter lavorare fuori casa. Altro dato interessante riguarda la propensione degli stranieri
all'impresa, soprattutto
'piccola' o a conduzione famigliare: una possibilità lavorativa futura anche per gli stessi italiani. Inoltre, analizzando i
trattamenti previdenziali degli immigrati, è emerso come questi lavorino e contribuiscano attivamente a sostentare il nostro sistema pensionistico senza, al momento, beneficiarne. Lo studio del
Censis, in conclusione, fa rilevare come gli stranieri stabilmente presenti e attivi nel nostro Paese costituiscano
una risorsa sia per le famiglie, sia per le imprese, che richiedono manodopera flessibile e a bassa qualificazione. Grazie a loro e a fronte del progressivo venir meno delle reti pubbliche di assistenza e protezione e alla trasformazione dei bisogni sociali, si è costituita una sorta di
rete privata e alternativa di welfare, assistenza e cura delle persone. D'altro canto, la capacità degli immigrati nell'omologarsi ai nostri comportamenti socioeconomici si è dimostrata
straordinaria. A cominciare dalla propensione alla
'microimpresa' e alle loro capacità nei settori delle costruzioni edili, nel commercio di prossimità e nella ristorazione.
L'importanza delle seconde generazioniInfine, un discorso a parte andrebbe fatto per
i minori nati in Italia. Secondo le stime riportate sempre dal
rapporto Censis, nel nostro Paese
un nato su cinque avrebbe almeno un genitore straniero e l'Italia, per la prima volta nella sua Storia, sta conoscendo la formazione di un gruppo di
giovani stranieri di seconda generazione. Fenomeno, quest'ultimo, destinato ad
aumentare, dal momento che, mediamente, gli immigrati tendono a concepire un maggior numero di figli. Per via del loro
'capitale interculturale', le seconde generazioni di stranieri sono riconosciute dagli esperti come una
risorsa importantissima per la crescita futura del Paese, ammesso che si garantiscano loro le stesse opportunità dei coetanei nati da cittadini italiani. Per ottenere ciò, diviene necessaria la tutela dei loro genitori, gli immigrati di prima generazione stabilmente insediati in Italia, attraverso una
'policy' che proponga
un'integrazione reale, da affiancare al già collaudato
'sistema molecolare', basata su normative più aggiornate, soprattutto riguardo alla cittadinanza.