Chiara ScattoneLa magistratura, con le sue ultime 'inchieste-shock', sta finendo quasi tutti giorni sui quotidiani e sulla bocca dei cittadini. È proprio di pochi giorni fa la polemica tra il membro laico del Csm, in quota Pd, Giuseppe Fanfani e i togati dell'Area e Anm sulle presunte "ingiustificate e comunque eccessive" misure cautelari decise dal Gip di Lodi per gli arresti del sindaco lodigiano Simone Uggetti, accusato di turbativa d'asta per l'appalto delle piscine comunali. Il tema, infatti, è centrale e 'bruciante', perché spesso le vere 'vittime' inconsapevoli di certe inchieste della magistratura non sono i presunti colpevoli, sottoposti alle misure cautelari, quanto i cittadini e i lavoratori, totalmente estranei ai reati contestati. Di esempi ve ne sono molti. Peccato, tuttavia, che sui giornali si tenda a non darne rilievo. Tra gli ultimi casi che la cronaca giudiziaria ci ricorda vi è quello del 'Centro Oli Eni' della Val d'Agri, coinvolto nella vicenda che ha portato alle dimissioni del ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi. Il tribunale di Potenza, in questo caso, ha deciso per il sequestro del centro con la facoltà di uso a regime ridotto, "a condizione che i reflui liquidi prodotti e miscelati dal Cova siano caratterizzati da codici rifiuto appropriati" (pag. 869 dell'ordinanza). L'ordinanza di sequestro, inoltre, chiude così: "La facoltà d'uso viene pertanto concessa a condizione che vengano rispettate tutte le prescrizioni sopra esplicitate, ovvero a condizione che vengano eseguiti gli interventi diretti all'esclusivo fine dell'eliminazione della situazione di pericolo, sotto il controllo dei Cc Noe e delle autorità amministrative competenti in materia". Condizioni, queste, imposte dal magistrato di Potenza e che l'Eni, titolare della struttura, ha dichiarato impossibili da mantenere, poiché prevedrebbero la modifica sostanziale di tutto l'impianto, nonché l'invio dei rifiuti da smaltire a centinaia di chilometri didistanza, attarverso un uso massiccio di autobotti su strade (e relativo inquinamento ambientale e disagi per la viabilità), oltre alla violazione di alcune norme regionali. Insomma, il magistrato, credendo di far bene, ha creato un danno economico e, soprattutto, sociale non indifferente, con la sospensione totale delle attività dell'impianto e la cassa integrazione di tutti i suoi 300 dipendenti. Ci si domanda: era necessario? Era così indispensabile porre sottosequestro un impianto, prima ancora di chiudere un'inchiesta e prima ancora di avere un consolidato e univoco parere tecnico sulla pericolosità e sulla colpevolezza di quell'impresa? La magistratura, ovviamente, non può farsi carico anche delle questioni lavorative che sottostanno alle proprie scelte inquisitorie. Soprattutto, quando è ormai chiaro che, nel nostro Paese, la giustizia e l'economia viaggiano a velocità differenti. E se un'inchiesta può trovare 'luce' con un'attesa, per la prima sentenza, di almeno 8 anni, le medesime 'tempistiche' non si possono di certo pretendere dall'economia e dal mondo del lavoro. Sospendere le attività per anni, commissariare aziende per decenni o determinare la chiusura preventiva di imprese non può certo giovare alla traballante crisi economica italiana e ai suoi tormentati lavoratori. Come si può chiedere a un operaio d'interrompere la sua attività - troppo spesso senza tutele economiche alternative - perché un magistrato concluda la sua inchiesta sui vertici aziendali e si giunga almeno a un giudizio di primo grado? Certamente, esiste la buona pratica del commissariamento, delle amministrazioni straordinarie. Ma sono pochi i casi in cui esse si concludono a buon fine. Quello più famoso è senza dubbio il caso della Parmalat, ma esso appare già molto lontano nel tempo perché qualcuno se ne ricordi. Forse, gli stessi magistrati si sono dimenticati del buon lavoro inquisitorio seguito, tanto da preferire, oggi, una prassi inaugurata nel 2009 con il 'Gruppo Delta', quando un oscuro magistrato di provincia ha deciso d'interrompere l'attività di un intero gruppo bancario che contava più di 800 dipendenti, arrestandone i vertici - le cui misure cautelari sono state in seguito giudicate eccessive e inadeguate da una sentenza della Corte di Cassazione - decretandone altresì la chiusura definitiva, per un'inchiesta che, a distanza di più di sette anni, non trova 'pace', se non rinvii in Cassazione per la scelta della competenza territoriale. L'azienda, nel frattempo, dopo un commissariamento guidato dalla sola volontà di liquidare e dismettere tutte le attività, ha chiuso i suoi battenti e licenziato, liquidato, posto nel fondo di solidarietà - una sorta di cassa integrazione per la categoria degli impiegati di banca - più di 800 persone e altrettante famiglie. E cosa succede quando questo accade, cioè quando un'azienda e, soprattutto, i suoi dipendenti perdono il lavoro a causa di un'inchiesta della magistratura che emette preventive misure cautelari e induce il pubblico a condannarne gli indagati sin dall'inizio? Quando un'inchiesta della magistratura, che prima sequestra stabilimenti, fa sospendere le attività, arresta i vertici di un'impresa e poi, dopo anni, conclude l'indagine e, magari, si scopre, già in primo grado, che il fatto non costituiva reato? Gli esseri umani sono fallibili. E i magistrati, forse, lo sono più di tutti gli altri, perché nelle loro mani detengono il potere di decidere questioni di estrema complessità. Quindi, una persona può giuridicamente 'morire' o meno. E, con essa, l'azienda che ha creato e gestito, insieme ai suoi dipendenti inconsapevoli. Le inchieste debbono essere condotte, i colpevoli debbono essere affidati alla mano equa della giustizia, ma non si possono privilegiare a cuor leggero i soli interessi giudiziari senza aver adeguatamente considerato altri 'valori', quali quelli costituzionali rappresentati dal diritto e dalla tutela del lavoro. I magistrati non possono prescindere da tutto questo in nome di una giustizia che, troppo spesso, non trova pace, affogata in inchieste troppo lunghe, macchinose e forzate, che condanna pubblicamente l'indagato prima ancora di aver raccolto le prove. A oggi, forse è auspicabile una riforma della giustizia che abbia il coraggio di portare a compimento i propri intenti, che non resti più incastrata tra la negligenza della classe politica e una magistratura ostile. Alcune azioni sono oramai necessarie, come la separazione delle carriere tra magistrato inquirente e giudicante e l'introduzione di una concreta responsabilità civile dei magistrati, che se anche già esiste, il nostro ordinamento di fatto non la sanziona. Winston Churchill diceva che "il livello di civiltà di un Paese lo si giudica dai tribunali e dalle scuole". Allora, in Italia, forse abbiamo un problema serio di civiltà.



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