Festeggiare il
primo maggio, per molti giovani disoccupati non ha
alcun senso. Ed è un peccato, poiché la
giornata del lavoro è una delle poche
feste 'laiche' contemplate dal nostro
'santo calendario gregoriano'. Ai tempi del
Pci, i nostri genitori pensavano che la
'conventio ad excludendum' che pesava sul Partito guidato da
Enrico Berlinguer impedendo qualsiasi alternanza democratica anche semplicemente periodica, derivasse da una sorta di
timore anti-ideologico: il
Pci veniva percepito come una forza politica legata strettamente a
Mosca, dunque a una potenza straniera. E la sua eventuale partecipazione al governo del Paese poteva irretire i nostri potenti alleati americani. Intorno a tale
pregiudizio, se ne sovrapponeva addirittura
un secondo: il
comunismo, anche nella sua versione
'annacquata' all'italiana, poteva generare problemi e sollevare rivendicazioni
'massime', di vero e proprio rivolgimento sociale, stravolgendo lo schema della
borghesia italiana, che qui da noi è sempre stata molto attenta a non cedere di un millimetro i propri
privilegi di classe. Al massimo, si poteva concepire il contrario, come sospettava
Pier Paolo Pasolini. Ovvero, che tutti gli italiani, anche quelli provenienti dai ceti meno abbienti, diventassero
borghesi, assumendone
la mentalità e
l'opportunismo di fondo. All'interno di una simile logica, il
classismo dei
ceti moderati italiani finiva col giustificare la stessa
lotta di classe. Al massimo, si poteva concedere che
un esponente 'laico', un repubblicano o un socialista, guidassero la compagine esecutiva,
'mimetizzando' attraverso complicatissimi compromessi anche le posizioni e gli interessi più
cinici e
parassitari. Ma proprio gli anni dello
'scontro' tra
Craxi e De Mita hanno dimostrato come la borghesia italiana possa benissimo concedere
qualcosa, ma di certo non deve risultare
emarginata a lungo dal potere e dal suo
modo, clientelare e oligarchico, di
concepirlo ed
esercitarlo. E qui giungiamo al
terzo pregiudizio contro le forze progressiste italiane, massimaliste o riformiste che siano: quello di una mentalità ipocrita, mediata da una concezione utilitaristica che tende a far proprio qualsiasi tipo di
contenuto, anche trasgressivo o rivoluzionario, purché la
'forma' esteriore di contesto non venga minimamente
'intaccata' dalle innovazioni di un
laicismo realmente
'sanzionatorio', che scelga, selezioni ed emargini coloro che
sbagliano, o che
non meritano di mantenere la propria posizione economica e sociale. L'impostazione
confessionalista italiana prevede - lo dice la parola stessa -
la confessione e il pentimento per i propri
errori, senza necessariamente aver bisogno di recarsi in chiesa per essere assolti da un sacerdote. E qui si nasconde il vero
'cancro italiano', un errore di mentalità che continua, ancora oggi, a condannare migliaia di giovani: in molti ambienti e settori sociali di questo Paese,
chi sbaglia non è disposto a pagare. Almeno fino a quando non viene colto
in flagrante con le mani nel vaso della
'marmellata'. O a meno che a
'volare' non siano gli
'stracci' più
'piccoli': il
'parafulmine' o il
'capro espiatorio' della situazione. Paga sempre
uno per tutti, in Italia. E tutti gli altri possono mettersi
'in salvo'. Il vero
'peccato' degli italiani è quello di voler continuare a vivere al di sopra dei propri mezzi, di pretendere di poter sempre fare
il 'passo' più lungo della gamba. Ogni tanto si porta alla luce qualche
esempio 'sporadico': un
imprenditore, quasi sempre
medio-piccolo, che ha saputo allearsi con i propri tecnici e operai, poiché dotato di un piano industriale, con relativi sbocchi di mercato ben studiati e individuati. Si tratta di
eccezioni: in realtà, il
'grosso' delle riorganizzazioni industriali e delle pianificazioni di mercato avvengono, qui da noi, attraverso
complessi rapporti di pubbliche relazioni, finalizzati a trovare nuova
liquidità. Ed è proprio quest'impostazione a rendere il capitalismo italiano, soprattutto ai livelli più alti,
arrogante e quasi sempre
ingiusto. Ora, tutto questo, negli ultimi decenni ha finito con lo scontrarsi con l'avvento delle
nuove tecnologie, le quali hanno introdotto piccole ma costanti
innovazioni, tramite
un'idea di 'gratuità dei servizi' che ha distrutto ogni
equilibrio di prezzo, soprattutto sui vari mercati professionali o più genericamente di lavoro. Chi ha condotto quest'offensiva
post capitalista non poteva far altro che andare a
'tagliare l'erba sotto ai piedi' a
lobbies e
gruppi di interesse che mantenevano interi Paesi, in particolar modo l'Italia, all'interno di una mentalità
ipocrita e falsa. Nessuna logica econometrica, di nessun posto del mondo, prevede
'scalate' a grandi aziende attraverso un sistema di
debiti da
'piazzare' sui mercati borsistici di tutto il mondo. Ecco da dove parte quel delirante
'piano inclinato' che continua a
'tamponare' e a
'zavorrare' una nuova fase di
sviluppo economico. Se
'conta' di più un
nome, un
logo e una
sigla, nonostante dietro a quel nome, a quel logo e a quella sigla siano stati accumulati
centinaia di miliardi di debiti, come può essere possibile riuscire a invertire una tendenza macroeconomica così contaminata e malata? Pur senza condannare ideologicamente le
lobbies, se quelle che ci sono sui nostri mercati interni
non valgono niente, poiché incapaci di innovare e guardare al futuro, com'è possibile pretendere di rigenerare una nuova
offerta di lavoro in grado di rispondere a una domanda occupazionale divenuta gigantesca? Nessuno, per lunghi decenni, ha saputo fornire una risposta a tale questione. Ci si è semplicemente limitati a giustificare un
assistenzialismo 'privatista' in quanto economicamente più conveniente del vecchio
assistenzialismo di Stato, quello di derivazione
'marxiana'. Conveniente per chi? A chi è convenuto mantenere un sistema redistributivo ingiusto, poiché
limitato a pochi soggetti? A chi è tornato comodo continuare a sostenere un sistema di mercato sostanzialmente basato su una serie continua di
truffe legalizzate? A questo punto, meglio utilizzare la rete e
azzerare i prezzi di ogni prestazione professionale:
tutti giù per terra! Se un modello economico, anche di natura sostanzialmente
'fordista', non intende proprio
formare nuove competenze o rischiare nuovi investimenti produttivi, al fine di offrire
nuova occupazione e non è nemmeno disposto a uscire dal mercato allorquando un determinato
'rischio' imprenditoriale non ha ottenuto i
'frutti' sperati, per quale motivo deve rimanere
in 'campo' per forza d'inerzia? Tanto vale, a questo punto, azzerare i guadagni di tutti. E fare in modo che sia sempre più
visibile la responsabilità di coloro che preservano
l'ultimo dei pregiudizi che, da sempre, colpisce le forze progressiste italiane, a prescindere da come esse si chiamino:
la borghesia italiana rifiuta per principio ogni genere e tipo di analisi sociale. La rifiuta poiché
teme la società stessa e cerca di
'scansarla', con cinismo e ignoranza, in base a una mentalità
fintamente selettiva, capace solamente di favorire
razzismi e sfornare nuove
discriminazioni. E' molto più facile cercare mano d'opera a basso costo in ogni angolo del mondo o liberarsi dei propri debiti accollandoli alla collettività, piuttosto che cercare di formare e assumere dei giovani calabresi o campani.
"Qui da noi ci sono le mafie": un altro dei tanti
'alibi' che vengono sventolati quando non si sa più a quale
'diavolo' votarsi. Perché tutto torna comodo, alla fine:
persino le mafie. E invece di risolvere i problemi, si preferisce
cronicizzarli, al fine di poter continuare a mantenere ben viva una
mentalità 'atomista' tanto
servile, quanto
'rapace'. La mentalità dei
furfanti.