Chiara ScattoneIl 10 febbraio scorso è stata stabilita la prima sentenza dal Tribunale di Bologna in merito a uno dei 'filoni' dell'inchiesta 'Varano', che ha visto coinvolti gli amministratori e circa 800 dipendenti del Gruppo Delta di Bologna, insieme agli amministratori della Cassa di risparmio di San Marino. Dopo quasi otto anni, ovvero da quell'estate del 2008 in cui il magistrato di Forlì, Fabio Di Vizio, aveva dato avvio all'indagine contro il gruppo bancario bolognese reo, a suo dire, di essere il tramite italiano della banca sammarinese per effettuare operazioni di riciclaggio di denaro illecito, un giudice italiano ha espresso, finalmente, una decisione. L'indagine era scaturita dopo il sequestro di un furgone portavalori 'sospetto', che dalla filiale della Banca d'Italia di Forlì viaggiava alla volta della Repubblica di San Marino. Il carico del furgone portavalori era, secondo quanto ipotizzato dal Pm forlivese, frutto del riciclaggio e dell'evasione fiscale di cittadini italiani detentori di conti correnti nella Repubblica del Titano. Non solo: sempre secondo l'inchiesta del magistrato, quel furgone portavalori viaggiava senza le dovute autorizzazioni al trasporto valori e in violazione degli accordi internazionali. Insomma, secondo il dottor Di Vizio, quel furgone andava fermato e sequestrato e i suoi mandanti dovevano finire in galera. E in galera, infatti, alcuni degli amministratori della Cassa di risparmio di San Marino e i vertici di Delta, di cui la banca sammarinese era socia, ci sono effettivamente andati, su richiesta del Pm forlivese, nel maggio del 2009. Non prima, tuttavia, di una sentenza della Cassazione che smentiva le ipotesi addebitate a quel presunto trasporto illecito di denaro tra Italia e San Marino, ribadendo come tra i due Paesi vigesse un accordo bilaterale internazionale sottoscritto nell'ambito dell'unione monetaria, secondo il quale San Marino, non potendo emettere carta moneta e utilizzando quale valuta l'euro, deve necessariamente rifornirsi di contante dal primo Paese confinante. Essendo San Marino un'enclave italiana, il Paese confinante più vicino non poteva essere che l'Italia. Quindi, si trattava di normale amministrazione. E come tale era apparso a tutti, dal momento che dopo una prima interruzione dei transiti di portavalori tra Italia e San Marino, la stessa Banca d'Italia aveva sollecitato la magistratura affinché il regolare traffico proseguisse. Strano, inoltre, era apparso fin dall'inizio l'accanimento con il quale il magistrato di Forlì giudicasse illecito solo quel furgone portavalori e non tutti quegli altri che, quotidianamente e costantemente, percorrevano lo stesso identico percorso con il medesimo carico di denaro contante e con le medesime autorizzazioni. Il Pm, dunque, partiva dal sequestro di un furgone per ipotizzare un piano accusatorio molto più ampio e decisamente più corposo, date le decine di migliaia di pagine da lui scritte, trascritte, raccolte e fotocopiate. Nel suo impianto accusatorio, il magistrato individuava diversi reati penali, tra i quali l'associazione a delinquere finalizzata all'abusivismo bancario, il riciclaggio, l'evasione fiscale e l'ostacolo all'Attività di Vigilanza. Il Gruppo Delta venne pertanto coinvolto quasi subito nelle indagini, poiché ritenuto il "braccio italiano" della Cassa di risparmio di San Marino per mettere in pratica l'attività di riciclaggio del denaro frutto di evasione fiscale. Il gruppo bolognese si ritrovò così, nel maggio 2009, decapitato dei suoi amministratori e dei suoi soci di maggioranza contro cui la Banca d'Italia, dopo un'ispezione, emise anch'essa un provvedimento di sospensione delle autorizzazioni a detenere le partecipazioni. In tal modo, il gruppo passava, informalmente, nelle mani dei suoi soci di minoranza, la Sopaf, in quel momento in causa con gli altri soci per questioni di politiche interne. E la Banca d'Italia dispose immediatamente anche il commissariamento del Gruppo, con la nomina di tre commissari straordinari: Bruni Inzitari, Enzo Ortolan e Antonio Taverna. Il gruppo Delta, da quel momento in poi, iniziò il suo veloce declino verso un destino di liquidazione volontaria, licenziamenti collettivi e dismissione di tutte le sue attività e delle sue molteplici società. Non ci addentreremo oltre nel raccontare cosa sia successo al gruppo bolognese dal commissariamento a oggi e quali siano state le responsabilità e il coinvolgimento della Banca d'Italia nell'inchiesta della magistratura forlivese, perché non è quello che al momento ci preme ricordare. Tuttavia, ciò che è necessario constatare è come una 'scellerata' inchiesta della magistratura forlivese, protrattasi per quasi sei anni con danni economici, morali, personali ed erariali ingentissimi, non solo nei confronti degli amministratori ingiustamente arrestati e scarcerati dopo una sentenza a loro favorevole della Cassazione, ma anche contro tutti quei dipendenti e le loro famiglie che hanno perso il lavoro, si sia dimostrata una 'topica' clamorosa. Anche l'Italia ha perso moltissimo, sotto diversi aspetti. E infatti, la sentenza del Tribunale di Bologna, la prima mai emessa a tutt'oggi da un giudice sulla vicenda, ha dimostrato come l'impianto accusatorio del magistrato di Forlì non fosse affatto solido. Ma facciamo un passo indietro: il 12 febbraio 2015, il Tribunale di Forlì ha decretato, su richiesta degli avvocati difensori degli amministratori di Delta e della Cassa di risparmio di San Marino, la propria incompetenza territoriale a giudicare la questione e ha suddiviso i capi di accusa in due tronconi: uno legato ai soli reati attribuiti ai vertici della banca sammarinese, che è stato inviato al Tribunale di Rimini, per competenza territoriale; l'altro troncone, quello concernente i reati connessi direttamente al gruppo bancario Delta, è stato trasmesso al Tribunale di Bologna. Ed è proprio su una delle presunte irregolarità inviate a Bologna da Forlì, che il giudice Resta ha sancito per primo l'assoluzione per i reati ascritti, tra gli altri, a Paola Stanzani (amministratore delegato di Delta), Gilberto Ghiotti (presidente della Cassa di risparmio di San Marino), Andrea Magri (amministratore delegato di River Holding), Arnaldo Furlotti (amministratore delegato di Plusvalore) e Fabrizio Nannotti (amministratore delegato di Carifin). Il giudice bolognese ha dunque assolto tutti gli imputati per il reato di evasione fiscale, derivante dall'accusa di associazione a delinquere finalizzata all'abusivismo bancario. Difatti, secondo quanto si deduce dalla decisione disposta "il fatto non costituisce reato". L'impianto accusatorio contestava a Delta e ai suoi amministratori di aver costituito un'associazione a delinquere finalizzata all'attività abusiva del credito e, di conseguenza, di aver violato le norme tributarie legate agli sgravi fiscali previsti per i gruppi bancari. Probabilmente, il giudice bolognese, di cui conosceremo solo a maggio prossimo le motivazioni della sentenza da lui emessa, non ha ravvisato alcun reato di abusivismo bancario, dato che il gruppo Delta era regolarmente iscritto all'Albo dei gruppi bancari presso la Banca d'Italia, che ne aveva concesso l'autorizzazione. Delta, in sostanza, esercitava l'attività bancaria nel rispetto delle regole previste dalle norme e rispettava il pagamento delle imposte e delle aliquote previste dal suo status giuridico. Il giudice bolognese non solo non ha rinvenuto alcun illecito in questa pratica, assolvendo tutti gli imputati per non aver commesso nessun tipo di irregolarità, ma addirittura ha chiarito che il fatto contestato dall'accusa non costituisce reato. Attendiamo, ora, se mai ve ne saranno, le prossime sentenze del Tribunale di Bologna e di quello di Rimini. Anche se, da quanto è emerso in aula anche a Rimini, nel corso dell'udienza preliminare, tutto fa presupporre un nuovo trasferimento dell'indagine e una probabile prescrizione, ormai alle porte.


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Chiara Scattone - Ravenna - Mail - martedi 8 marzo 2016 10.37
Grazie Stefano per il tuo commento. In realtà l'ordinamento non prevede alcuna sanzione, anche perché per ora nessun giudice ha mai decretato l'incongruità e l'inconsistenza dell'inchiesta. Anzi, il GIP (stessa categoria di magistrati del PM inquirente) ha sempre sostenuto le tesi del Pm e quindi mandato avanti l'inchiesta con gli arresti, i rinvii a giudizio ecc. L'unica volta che il Tribunale di Forlì si è espresso, è stato quando il giudice (non il GIP) ha accolto le richieste di incompetenza territoriale. Non pagherà nessuno, se non le persone che sono state arrestate, a cui è stato tolto tutto (perfino la difesa da parte della propria azienda, ma è altra questione), i dipendenti e le loro famiglie. Il magistrato è stato trasferito in altra sede e continua la sua battaglia contro le banche usurarie ed è stato ammesso nel Board nazionale degli esperti di antiriciclaggio. Alla domanda posta da Paola Stanzani durante l'interrogatorio, in cui si chiedeva al magistrato cosa ne sarebbe stato dell'azienda e di tutti i suoi dipendenti, il Pm ha risposto di non possedere niente. Ecco. Fino a quando non si avrà una vera riforma della Giustizia, avremo sempre un magistrato inquirente che sarà giudicato dal GIP, ovvero da un collega, e che non potrà mai essere sottoposto a una vera "responsabilità civile" (come avviene per esempio per i medici). Un saluto
Stefano - Italia - Mail - lunedi 7 marzo 2016 11.55
Domanda: a che tipo di sanzione o provvedimento disciplinare da parte della magistratura è stato o verrà presumibilmente adottato nei confronti del magistrato (Di Vizio) che sembrerebbe abbia inopinatamente avviato un caso così manifestamente arbitrario e mirato, che ha poi generato la disgrazia di tali danni a tanti cittadini italiani? Almeno è stata avviata una azione di risarcimento per i soggetti colpiti da tale incapacità?


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