Due recenti fatti, l'approvazione lo scorso 4 febbraio scorso alla Camera, con
374 'sì' e
75 'no' in prima lettura, della legge sul
'Dopo di noi' (che ora passerà al Senato per l'approvazione definitiva) e
l'aggiornamento per il 2016 delle
agevolazioni fiscali, redatto
dall'Agenzia delle entrate a favore delle persone con handicap e dei loro familiari, riaccende un
'focus' sul tema della
disabilità e
dell'inclusione sociale. E, inevitabilmente, induce a tracciare una panoramica sui risultati e gli eventuali traguardi raggiunti insieme a quelli ancora da raggiungere in materia, a partire soprattutto da quei principi sanciti dalla
Convenzione Onu sulla disabilità del 2006. Partiamo dai fatti: attualmente, oltre un miliardo di persone, pari al
15% circa della popolazione mondiale, convive con una qualche forma di
disabilità; almeno un quinto di queste (110-190 milioni di individui) sono in forma grave, costringendoli ad affrontare difficoltà molto significative nella vita di tutti i giorni. Le percentuali, considerato l'aumento globale delle malattie croniche e dell'invecchiamento della popolazione mondiale, sono destinate ad
aumentare. La
disabilità è più frequente nei Paesi con un redditi
bassi e colpisce maggiormente donne, anziani, bambini e adulti in condizioni di povertà. Questa rapida fotografia conferma, anno dopo anno, un
'trend' in continua crescita. Una tendenza la quale, a sua volta, diviene causa di numerosi rischi collaterali, come già
'avvertivano' la stessa
Convenzione Onu e, nel
2011, il primo
'Rapporto mondiale sulla disabilità', messo a punto
dall'Organizzazione mondiale della Sanità e dalla
World Bank. Tra i problemi più in evidenza: la
discriminazione sociale come conseguenza dell'aumento degli individui disabili, unitamente all'inadeguatezza delle misure preposte alla tutela, all'agevolazione e al miglioramento delle loro condizioni di vita e delle
'pratiche' quotidiane. E' chiaro che si tratta di un argomento che tocca la questione dei
diritti umani. Ed è stata proprio questa consapevolezza a ispirare la
'Convenzione' approvata
dall'Assemblea delle Nazioni Unite nel dicembre del
2006, che aveva stabilito i seguenti obiettivi: sensibilizzare, sollecitare e impegnare i Governi di tutto il mondo, offrendo uno strumento concreto, che consentisse di combattere le discriminazioni e le violazioni dei diritti umani.
LA CONVENZIONE ONU DEL 2006La
Convenzione del
2006 è composta da
50 articoli, in cui si indica la strada che gli Stati devono percorrere per garantire i diritti di uguaglianza e di inclusione sociale di tutti i cittadini con disabilità. Gli Stati firmatari si sono impegnati a
"promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali delle persone con disabilità. E a promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità" (come si può leggere all'articolo
1). Ciò significa creare le condizioni per favorire l'autonomia individuale; la libertà di compiere le proprie scelte autonomamente; la non discriminazione, la piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società; il rispetto per la differenza e l'accettazione delle persone con disabilità come parte della diversità umana; l'accessibilità; la parità tra uomini e donne e via dicendo. Il perseguimento di tali diritti è stato individuato in diversi
'obblighi' (articolo
4), tra i quali ricordiamo, in questa sede, come gli Stati firmatari siano
'obbligati' ad adottare tutte le misure legislative e amministrative appropriate, compresa la modifica o l'abrogazione di qualsiasi legge o pratica esistente che costituisca discriminazione nei confronti di persone con disabilità, sviluppate da consultazioni con le stesse persone disabili e con le loro organizzazioni rappresentative. Iniziative a cui devono affiancarsi sostegni economici, sociali e culturali, che favoriscano l'inclusione e la partecipazione sociale. Ogni Paese firmatario si è inoltre impegnato a garantire l'attuazione e l'implementazione di queste politiche attraverso l'istituzione di propri
'focal point'. Ora, a distanza di quasi dieci anni dalla
Convenzione, quali sono i Paesi che l'hanno ratificata? E, soprattutto, a che punto siamo arrivati nella lotta contro la discriminazione e l'esclusione sociale dei disabili?
L'Italia si è subito dimostrata particolarmente sensibile e attenta al tema, ratificando la
Convenzione nel
2009 (il 24 febbraio del 2009, il parlamento italiano ha approvato la Convenzione, diventando a tutti gli effetti legge dello Stato), con largo anticipo rispetto alla ratifica
dell'Unione europea, per la quale si è dovuto attendere il 23 dicembre
2010. E stiamo ancora attendendo la firma della
Finlandia, unico tra i Paesi dell'Unione a non aver ancora ratificato la
Convenzione. Per quanto riguarda
l'Italia, due recenti provvedimenti fanno intuire come il nostro Paese sia attivamente coinvolto sul tema disabilità, pur non raccogliendo la piena soddisfazione di tutti.
LE AGEVOLAZIONI FISCALICome si accennava in apertura,
l'Agenzia delle entrate ha recentemente aggiornato la guida che raccoglie le principali agevolazioni fiscali a favore delle persone con disabilità e dei loro familiari, che riguardano principalmente il settore delle auto (Iva al
4% per l'acquisto della vettura e per adattamenti realizzati sulle auto di persone disabili; detrazione Irpef del
19% su una spesa non superiore ai 18 mila euro circa, utilizzabile per un solo veicolo e valida anche per le spese di riparazione), i sussidi tecnici e informatici (detrazione Irpef del
19% e Iva agevolata al
4% per sussidi che favoriscano l'autosufficienza come computer, telefoni, modem, fax e così via) e l'abbattimento delle barriere architettoniche (detrazione Irpef del
50% se gli interventi di ristrutturazione edilizia non superino i 96 mila euro e siano effettuati entro il 31 dicembre 2016; detrazione del
36% su una spesa di 48 mila euro per lavori effettuati dal 1° gennaio 2017. Rientrano negli interventi di abbattimento delle barriere architettoniche anche l'installazione di ascensori o montacarichi.
IL 'DOPO DI NOI'Per quanto riguarda la legge approvata alla
Camera per il
'Dopo di noi', che si pone come risposta a tutte quelle persone che in famiglia hanno un disabile grave e che intendono assicurargli un futuro certo anche quando non ci saranno più genitori o congiunti a occuparsi di lui, essa stabilisce come gestire il
Fondo pubblico di
150 milioni di euro in 3 anni, con i primi
90 milioni da sbloccare per il
2016. E non sono mancati vivaci dibattiti. Il
presidente nazionale di
Anffas Onlus (Associazione nazionale Famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale),
Roberto Spaziale, dopo il voto parlamentare del 4 febbraio scorso ha espresso soddisfazione per quello che ha definito
"un primo passo in avanti verso la tutela del diritto all'autonomia e alla vita indipendente delle persone con disabilità, che tuttavia non risolve totalmente le problematiche del 'Durante' e 'Dopo di noi', della de-istituzionalizzazione delle persone con disabilità e delle migliaia di famiglie che ogni giorno vedono quotidianamente non applicate e finanziate adeguatamente le tante leggi esistenti, troppo spesso causa di emarginazione ed esclusione sociale, nonché angoscia per un presente ed un futuro pieno di incertezze e paure". La solitudine di molte famiglie è un'evidente emergenza, che si palesa sin dalle soluzioni abitative, spesso segreganti e non
'a dimensione-famiglia', ma la norma, come ha sottolineato
Vincenzo Flabella, presidente di
Fish (Federazione italiana per il superamento dell'handicap)
"non contrasta in modo deciso l'istituzionalizzazione delle persone con disabilità. Anche il linguaggio adottato sin dal titolo è inadeguato, poiché le persone non sono 'affette' da disabilità (dal momento che essa non è una patologia): la disabilità deriva soprattutto da politiche omissive, da servizi carenti, da una società non a misura di tutti". Dai dati raccolti dalle associazioni (così come
dall'Oms e dalla
Banca mondiale) si evince, purtroppo, che i buoni propositi sono ancora molto distanti dalla loro realizzazione. Molte sono le latenze, come si riscontra dalla mancata assistenza sanitaria; dalla frequente inadeguatezza dei servizi di riabilitazione; dal permanere di troppe barriere architettoniche in moltissimi luoghi (che di fatto inibiscono l'accesso ai disabili); dai trasporti pubblici non sempre dotati di rampe per l'accesso delle sedie a rotelle. Questi sono soltanto alcuni esempi di come il mondo non sappia ancora
rispondere in maniera opportuna e soddisfacente a questo problema, contribuendo ad amplificare il senso di solitudine, di esclusione e di abbandono di molte persone. E non solo: tutte queste difficoltà sono connesse anche a una salute maggiormente precaria dei disabili rispetto alla media e a una più limitata possibilità formativa (i bambini più svantaggiati hanno maggiori difficoltà sia a frequentare la scuola, sia a portare a termine gli studi). Una fragilità che si riflette soprattutto nella sfera
professionale-lavorativa: le percentuali di lavoro di uomini e donne normodotati sono più alte rispetto a quelle dei disabili, raggiungendo anche sproporzioni notevoli. Anche se, a dire il vero, tale squilibrio è rilevabile anche nella
'media' dei
Paesi Ocse, dove la percentuale è di
44% per i disabili, contro il
75% di occupati normodotati). Anche i dati sulla riabilitazione non fanno sorridere, mettendo in evidenza l'inadeguatezza dei servizi, così come il difficile ottenimento dei presidi sanitari necessari (sedie a rotelle, protesi, apparecchi acustici). Problemi che, ad alto o a basso reddito, anche in questo caso investono tutti i Paesi, sebbene in misura differente.
CONCLUSIONICombattere le discriminazioni e favorire i diritti di tutti significa anche sensibilizzare ed educare le persone al rispetto, combattendo pregiudizi e
'cattive abitudini'. Prima ancora di chiamare in causa le istituzioni dovremmo ricordare che ognuno di noi, nel suo piccolo, costituisce un tassello e contribuisce, in maniera positiva o non, all'eliminazione delle differenze e al miglioramento delle condizioni di vita dei più deboli. Se in molte società la disabilità è ancora considerata inammissibile e se, ancora oggi, riceviamo notizie di
finte tessere di invalidità e relative concessioni di
parcheggi riservati a persone con
handicap indebitamente occupati, così come di scandali relativi ai
maltrattamenti nei confronti dei
disabili, vuol dire che siamo ancora agli albori della civiltà e della garanzia di quei diritti di dignità, rispetto ed eguaglianza
osannati solamente a parole.