Carla De LeoDa troppo tempo, ormai, l'indicazione geografica 'Mediterraneo' è divenuta sinonimo d'instabilità e di guerre. Il perdurare della crisi in Siria e in Libia, così come l'espandersi del Daesh, ne sono il più chiaro e drammatico esempio. Il Mediterraneo, oggi, si trascina dietro il problema della sicurezza, degli aiuti umanitari, dell'immigrazione, dei rifugiati e dei dilaganti atti terroristici, obbligando pertanto i 'big player' internazionali non solo a prendere atto degli errori e delle 'leggerezze' commesse in passato con i loro interventi nell'area, ma anche e soprattutto ad accelerare il dialogo tra le parti, per favorire la risoluzione dei problemi. Non c'è più tempo per interessi o contrasti personali: bisogna giungere a soluzioni veloci ed efficaci, che siano al contempo conformi alle volontà dei popoli. Uno sforzo in più deve quindi provenire dal mondo della diplomazia, affinché riesca a mediare e a trovare un punto d'incontro nel confronto tra i diversi attori. Sforzo che, volenti o nolenti, 'tocca' proprio al nostro Paese, perché l'Italia è 'fisicamente' al centro di questo 'scacchiere': una vicinanza geografica e quindi, inevitabilmente, un'affinità storica e culturale, che la rende un tramite tra l'oriente e l'occidente, obbligandola all'assunzione di una qualche leadership nelle diverse battaglie da affrontare nell'area. Una consapevolezza che la nostra diplomazia ha pienamente assunto e che l'ha infatti portata alla promozione di una serie di eventi, che hanno impegnato gran parte delle scorse settimane. Partendo dal presupposto che un Mediterraneo stabile, prospero e sicuro significhi più prosperità e sicurezza per tutti (non dimentichiamo gli interessi economici dell'Italia, soprattutto in Libia) e tenendo conto della comune volontà dei principali attori internazionali di sconfiggere il terrorismo, giungere a un definitivo 'cessate il fuoco' in Siria e alla stabilizzazione di un nuovo Governo di unità nazionale in Libia, quel che resta da fare è mettere tutti d'accordo sull'adozione di un piano d'azione condiviso all'unanimità. "La diplomazia deve essere più forte del Daesh e di qualsiasi altra minaccia o di interessi personali", ha sottolineato il nostro ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. Ed ecco che, nell'arco di una sola settimana, Roma è stata protagonista di una prima serie di incontri bilaterali: il 7 dicembre scorso, il ministro Gentiloni ha incontrato l'inviato speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan de Mistura e, cinque giorni dopo, il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov. Hanno poi fatto seguito a tali vertici alcuni importanti incontri trilaterali: la Conferenza sulla Libia, tenutasi il 13 dicembre scorso, alla quale sono intervenuti, insieme a Gentiloni, il Segretario di Stato Usa, John Kerry e l'inviato Onu per la Libia, Martin Kobler. Infine, si è tenuto il Forum internazionale 'Med - Mediterranean Dialogues', a cui hanno aderito Capi di stato, ministri, i Capi esecutivi di Palestina e Israele, il re di Giordania e numerosi altri vertici del mondo della politica e dell'economia, i quali hanno avuto il Mediterraneo come epicentro di analisi, dibattito e proposta. Una settimana intensa, dunque, durante la quale l'Italia ha raccolto tutti sotto un unico 'tetto', nel tentativo di giungere a soluzioni concrete per il superamento delle crisi, per sconfiggere il Daesh e per riportare il Mediterraneo alle sue antiche origini di teatro di opportunità e non di violenza e instabilità. Le diverse proposte sulle modalità appaiono ancora un po' troppo distanti per riuscire realmente a mettere tutti d'accordo. E anche le posizioni da assumere non sono sempre chiare. Di fatto, quindi, la strada sembra ancora lunga. Proviamo a tracciare qualche somma: a) la coalizione 'anti-Isis' a guida americana è concorde verso un impegno che miri a una soluzione politica la quale possa evitare interventi militari, ma allo stesso tempo considererà legittime eventuali azioni di forza, poiché il Daesh "fa lo stesso contro di noi", ha espressamente chiarito John Kerry; b) anche la Russia ha volontà di annientamento del terrorismo e opta per soluzioni politiche pacifiche, ma per quanto riguarda il 'Dossier sulla Siria' è dell'opinione che non solo si dovrebbe consultare il Governo siriano di Assad, ma bisognerebbe portare addirittura la questione alle Nazioni Unite. Quindi, al momento la Russia valuta soltanto azioni "per coordinarsi ed evitare incidenti", ha detto Sergej Lavrov, ma non per entrare in una coalizione guidata dagli Stati Uniti, "poiché", ha spiegato il ministro degli Esteri russo, "la Russia collabora in campo internazionale partendo dal presupposto che qualsiasi cooperazione debba basarsi sul diritto paritario e non sul principio di obbedienza"; c) durante la Conferenza sulla Libia, il consenso da parte della popolazione a porre fine alle divisioni e a non soccombere alla minaccia terroristica ha finalmente aperto uno spiraglio positivo verso la creazione di un Governo di unità nazionale. Un processo per troppi lunghissimi mesi alquanto tormentato, che finalmente si è concluso con un pieno appoggio da parte della comunità internazionale al processo di riconciliazione tra le fazioni libiche, già favorito dalle Nazioni Unite. Un appoggio sottoscritto da ministri ed emissari di 17 Paesi e 4 organizzazioni internazionali, che ha invitato tutte le fazioni ad accettare un immediato 'cessate il fuoco' in tutta la Libia e a sottoscrivere l'accordo per un Governo di Unità nazionale da crearsi entro 40 giorni dalla firma, siglata lo scorso 16 dicembre. Si tratta di un'intesa destinata a 'reggere'? Speriamo vivamente di sì, dal momento che sia alla Conferenza, sia in occasione della firma erano presenti alcuni delegati libici (e non tutte le parti, quindi) rappresentanti soltanto una 'fetta' dei due parlamenti rivali, insieme ad alcune comunità. Resta quindi da capire in che modo sarà accolta e messa in pratica l'intesa sul territorio nella restante parte di Tripoli e Tobruk; d) infine, non risulta del tutto chiaro il compito che spetterà all'Italia, considerato che nel processo di pacificazione le si riconosce un ruolo di leadership, ma contemporaneamente sarà sempre subalterna alle decisioni dell'Onu. L'Italia, peraltro, proprio attraverso le parole del primo ministro, Matteo Renzi, ha ricordato "a quell'Europa che ci 'bacchetta' che non può chiedere al nostro Paese di rinunciare a valori come l'accoglienza e la solidarietà, che sono peculiarità dell'Italia e del suo popolo, ma anche dei popoli che si affacciano sulla zona calda del Mediterraneo: sarebbe come chiedere loro di rinunciare alla propria identità. Sono valori", ha aggiunto il premier, "attraverso i quali è possibile favorire le condizioni per un dialogo più aperto e disteso con le popolazioni oggi alle prese con guerre, crisi e terrorismo. La creazione di una 'agenda positiva' potrebbe dunque rappresentare la base di partenza per un rilancio economico dell'area del Mediterraneo. E, di conseguenza, un'arma alternativa alle crisi, all'instabilità politica, sociale e al proselitismo nelle fila dei terroristi. Poiché là dove si amplia l'orizzonte delle possibilità, della crescita e dello sviluppo, diminuiscono frustrazione e intolleranza". L'Italia, insomma, si trova al centro del 'problema'. E l'auspicio del nostro Paese è che i partner europei, che negli ultimi decenni si sono dimenticati del Mediterraneo, cessino di considerare la zona soltanto come una questione piuttosto 'scomoda'.


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