Da troppo tempo, ormai, l'indicazione geografica
'Mediterraneo' è divenuta sinonimo d'instabilità e di guerre. Il perdurare della crisi in
Siria e in
Libia, così come l'espandersi del
Daesh, ne sono il più chiaro e drammatico esempio. Il
Mediterraneo, oggi, si trascina dietro il problema della sicurezza, degli aiuti umanitari, dell'immigrazione, dei rifugiati e dei dilaganti atti terroristici, obbligando pertanto i
'big player' internazionali non solo a prendere atto degli errori e delle 'leggerezze' commesse in passato con i loro interventi nell'area, ma anche e soprattutto ad accelerare il dialogo tra le parti, per favorire la risoluzione dei problemi. Non c'è più tempo per interessi o contrasti personali: bisogna giungere a soluzioni veloci ed efficaci, che siano al contempo conformi alle volontà dei popoli. Uno sforzo in più deve quindi provenire dal mondo della
diplomazia, affinché riesca a mediare e a trovare un punto d'incontro nel confronto tra i diversi attori. Sforzo che, volenti o nolenti,
'tocca' proprio al nostro Paese, perché l'Italia è
'fisicamente' al centro di questo
'scacchiere': una vicinanza geografica e quindi, inevitabilmente, un'affinità storica e culturale, che la rende
un tramite tra l'oriente e l'occidente, obbligandola all'assunzione di una qualche
leadership nelle diverse battaglie da affrontare nell'area. Una consapevolezza che la nostra diplomazia ha pienamente assunto e che l'ha infatti portata alla promozione di una serie di
eventi, che hanno impegnato gran parte delle scorse settimane. Partendo dal presupposto che
un Mediterraneo stabile, prospero e sicuro significhi più prosperità e sicurezza per tutti (non dimentichiamo gli interessi economici dell'Italia, soprattutto in
Libia) e tenendo conto della comune volontà dei principali attori internazionali di sconfiggere il terrorismo, giungere a un definitivo
'cessate il fuoco' in
Siria e alla stabilizzazione di un nuovo
Governo di unità nazionale in Libia, quel che resta da fare è mettere tutti d'accordo sull'adozione di un piano d'azione condiviso all'unanimità.
"La diplomazia deve essere più forte del Daesh e di qualsiasi altra minaccia o di interessi personali", ha sottolineato il nostro ministro degli Esteri,
Paolo Gentiloni. Ed ecco che, nell'arco di una sola settimana,
Roma è stata protagonista di una prima serie di
incontri bilaterali: il 7 dicembre scorso,
il ministro Gentiloni ha incontrato l'inviato speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per la Siria,
Staffan de Mistura e, cinque giorni dopo, il ministro degli Esteri russo,
Sergej Lavrov. Hanno poi fatto seguito a tali vertici alcuni importanti
incontri trilaterali: la
Conferenza sulla Libia, tenutasi il 13 dicembre scorso, alla quale sono intervenuti, insieme a
Gentiloni, il Segretario di Stato Usa,
John Kerry e l'inviato Onu per la Libia,
Martin Kobler. Infine, si è tenuto il Forum internazionale
'Med - Mediterranean Dialogues', a cui hanno aderito Capi di stato, ministri, i Capi esecutivi di
Palestina e
Israele, il
re di Giordania e numerosi altri vertici del mondo della politica e dell'economia, i quali hanno avuto il
Mediterraneo come epicentro di analisi, dibattito e proposta. Una settimana intensa, dunque, durante la quale
l'Italia ha raccolto tutti sotto un unico 'tetto', nel tentativo di giungere a soluzioni concrete per il superamento delle crisi, per sconfiggere il
Daesh e per riportare il
Mediterraneo alle sue antiche origini di teatro di opportunità e non di violenza e instabilità. Le diverse proposte sulle modalità appaiono ancora un po' troppo
distanti per riuscire realmente a mettere tutti d'accordo. E anche le posizioni da assumere non sono sempre chiare. Di fatto, quindi, la strada sembra ancora lunga. Proviamo a tracciare qualche somma:
a) la
coalizione 'anti-Isis' a guida americana è concorde verso un impegno che miri a una soluzione politica la quale possa evitare interventi militari, ma allo stesso tempo considererà legittime eventuali azioni di forza, poiché il
Daesh "fa lo stesso contro di noi", ha espressamente chiarito
John Kerry; b) anche la
Russia ha volontà di annientamento del terrorismo e opta per soluzioni politiche pacifiche, ma per quanto riguarda il
'Dossier sulla Siria' è dell'opinione che non solo si dovrebbe consultare il
Governo siriano di Assad, ma bisognerebbe portare addirittura la questione alle
Nazioni Unite. Quindi, al momento la
Russia valuta soltanto azioni
"per coordinarsi ed evitare incidenti", ha detto
Sergej Lavrov, ma non per entrare in una coalizione guidata dagli
Stati Uniti, "poiché", ha spiegato il
ministro degli Esteri russo, "la Russia collabora in campo internazionale partendo dal presupposto che qualsiasi cooperazione debba basarsi sul diritto paritario e non sul principio di obbedienza"; c) durante la
Conferenza sulla Libia, il consenso da parte della
popolazione a porre fine alle divisioni e a non soccombere alla minaccia terroristica ha finalmente aperto
uno spiraglio positivo verso la creazione di un
Governo di unità nazionale. Un processo per troppi lunghissimi mesi alquanto tormentato, che finalmente si è concluso con un pieno appoggio da parte della comunità internazionale al
processo di riconciliazione tra le fazioni libiche, già favorito dalle
Nazioni Unite. Un appoggio sottoscritto da ministri ed emissari di
17 Paesi e
4 organizzazioni internazionali, che ha invitato tutte le fazioni ad accettare un immediato
'cessate il fuoco' in tutta la
Libia e a sottoscrivere l'accordo per un
Governo di Unità nazionale da crearsi entro
40 giorni dalla firma, siglata lo scorso 16 dicembre. Si tratta di un'intesa destinata a
'reggere'? Speriamo vivamente di sì, dal momento che
sia alla Conferenza, sia in occasione della firma erano presenti alcuni
delegati libici (e non tutte le parti, quindi) rappresentanti soltanto
una 'fetta' dei due parlamenti rivali, insieme ad alcune comunità. Resta quindi da capire in che modo sarà accolta e messa in pratica l'intesa sul territorio nella restante parte di
Tripoli e
Tobruk; d) infine, non risulta del tutto chiaro
il compito che spetterà all'Italia, considerato che nel processo di pacificazione le si riconosce un ruolo di
leadership, ma contemporaneamente sarà sempre
subalterna alle decisioni dell'Onu. L'Italia, peraltro, proprio attraverso le parole del primo ministro,
Matteo Renzi, ha ricordato
"a quell'Europa che ci 'bacchetta' che non può chiedere al nostro Paese di rinunciare a valori come l'accoglienza e la solidarietà, che sono peculiarità dell'Italia e del suo popolo, ma anche dei popoli che si affacciano sulla zona calda del Mediterraneo: sarebbe come chiedere loro di rinunciare alla propria identità. Sono valori", ha aggiunto il
premier, "attraverso i quali è possibile favorire le condizioni per un dialogo più aperto e disteso con le popolazioni oggi alle prese con guerre, crisi e terrorismo. La creazione di una 'agenda positiva' potrebbe dunque rappresentare la base di partenza per un rilancio economico dell'area del Mediterraneo. E, di conseguenza, un'arma alternativa alle crisi, all'instabilità politica, sociale e al proselitismo nelle fila dei terroristi. Poiché là dove si amplia l'orizzonte delle possibilità, della crescita e dello sviluppo, diminuiscono frustrazione e intolleranza". L'Italia, insomma, si trova
al centro del 'problema'. E l'auspicio del nostro Paese è che i partner europei, che negli ultimi decenni si sono
dimenticati del Mediterraneo, cessino di considerare la zona soltanto come
una questione piuttosto 'scomoda'.