L'osteopatia è considerata da molti medici
'la cura prodigio' d'Europa. Senza l'uso di medicinali e stimolando i naturali processi di autoguarigione del corpo umano, essa riesce a curare patologie fisiche e, talvolta, di natura psico-emozionale, rimettendoci in equilibrio. Tuttavia, sebbene in molti Paesi dell'Unione europea questa disciplina sia ormai
materia universitaria, in Italia essa non ha ancora ottenuto alcun
riconoscimento giuridico. Ma procediamo con ordine:
cos'è l'osteopatia e perché sarebbe così importante regolamentarla? Si tratta di una medicina non convenzionale, regolarmente riconosciuta
dall'Organizzazione mondiale della sanità. Essa considera l'essere umano come l'unità di corpo, mente e spirito, laddove ogni singola parte del nostro fisico è in grado di interagire con l'insieme attraverso il movimento, indicatore primario della qualità della vita di un individuo. Tale disciplina è fondata sull'assioma che ogni parte del corpo umano sia legata all'altra e che l'organismo sia un sistema complesso, composto da vari elementi (muscoli, ossa, organi interni, sistema nervoso e circolatorio), che interagiscono gli uni con gli altri. Ogni componente è quindi dipendente dalle altre. E il corretto funzionamento di ciascuna, assicura quello dell'intera struttura. Attraverso la valutazione del paziente - che avviene mediante l'analisi della postura e la palpazione - l'osteopata individua gli eventuali disturbi su cui intervenire, attraverso tecniche manuali in grado di correggere i disequilibri e ripristinare le condizioni fisiologiche del movimento. Il tutto, senza l'ausilio di farmaci, in quanto proprio la manipolazione dei tessuti è capace di innescare i processi di autoguarigione di cui il nostro organismo è naturalmente dotato.
Poco conosciuta, ma dai grandi benefici Il valore terapeutico dell'osteopatia è corroborato dalla ricerca scientifica, oltre che dalle testimonianze dei pazienti che vi si sono rivolti: secondo i dati
Eurispes del
2012: circa il
22% della popolazione. A tal proposito, proprio un recente studio realizzato da un gruppo di ricercatori italiani, guidati da
Francesco Cerritelli e pubblicato sulla rivista internazionale
'Complementary Therapies in Medicine' (2014), avrebbe confermato come, nel prossimo futuro, tale pratica medica potrà sempre più affiancarsi alla medicina generale, per curare pazienti con patologie alle articolazioni o ad altri tessuti: da quelli più comuni, legati al lavoro, a quelli più gravi che possono condurre a disabilità. Secondo altri studi, inoltre, l'osteopatia sarebbe in grado di ridurre sensibilmente i costi sanitari legati ad alcune patologie diffuse, come lombalgie e cefalee, con un evidente ritorno economico e un miglioramento della qualità della vita per tutti. Ma, allora, come si spiega l'atteggiamento di
'circospezione' che molti italiani dimostrano nei confronti dell'osteopatia e, più in generale, della
medicina non convenzionale? Essenzialmente, con la scarsa informazione. Ad avvalorarlo, i pochi dati statistici (non aggiornati) che disponiamo sulla diffusione della pratica osteopatica nel
'Belpaese', dai quali emergono alcuni elementi di riflessione. Secondo
l'Istat (dati del 2005, ndr), la maggior percentuale di
'scettici' nei confronti dell'utilità di questo tipo di trattamenti risiederebbe soprattutto nelle regioni
dell'Italia meridionale, dove ne è meno diffuso l'utilizzo. La tendenza a ricorrere a tali terapie, inoltre, aumenterebbe con il livello d'istruzione e di conoscenza dell'argomento. Infine, proprio nelle zone dove sono più diffuse le terapie non convenzionali, di cui l'osteopatia fa parte, risulterebbe maggioritario il giudizio positivo sul loro utilizzo.
L'osteopatia nel mondoQuesta pratica medica venne sviluppata in
America sul finire del
XIX secolo da
Andrew Taylor Still, medico e chirurgo statunitense. A partire dall'esperienza americana, essa si diffuse in diversi Paesi del mondo, tanto da essere inserita in molti sistemi sanitari nazionali. Sul finire del
XX secolo, l'osteopatia è entrata di diritto tra i servizi della sanità pubblica degli
Stati Uniti, mentre in
Europa essa ha trovato una disomogenea diffusione a partire dal
Regno Unito, dove è approdata nel 1911 grazie alla fondazione della
'British Osteopathic Association'. In linea generale, la regolamentazione della pratica osteopatica nel mondo è un problema ancora insoluto, direttamente correlato alla disparità delle singole normative, come dei percorsi di studio attivati nei diversi Paesi. In alcuni di essi, per esempio, si richiede una formazione di tipo universitario, come per esempio in
Australia; in altri, invece, si ammettono titoli differenti, purché sotto il diretto controllo del ministero della Salute, come avviene in
Francia, dove l'osteopatia è attentamente
'monitorata' e sottoposta a costanti rapporti statistici, redatti a cura del
'Registre des Ostéopathes de France' (Rof). La sua regolamentazione, quindi, varia da nazione a nazione, in base alla normativa vigente. Tanto che, in uno stesso Paese, essa può mutare anche da provincia a provincia, come in
Canada. Nel mondo, l'osteopatia è riconosciuta al pari delle altre professioni sanitarie in
Australia, Canada, Nuova Zelanda e
Stati Uniti, mentre in
Europa essa è riconosciuta in
Finlandia, Francia, Malta, Svizzera, Regno Unito, Belgio e, recentemente,
Portogallo. Una regolamentazione parziale è stata definita in
Danimarca, Germania, Svizzera, Lussemburgo e Olanda. In
Spagna, dove la diffusione dell'osteopatia risale agli anni '80, Governo e associazioni stanno attualmente lavorando a una definizione normativa che la regolamenti.
L'osteopatia in ItaliaAttualmente, in Italia l'osteopatia non è riconosciuta. Quindi, essa non fa parte del
Sistema sanitario nazionale. Molti degli osteopati italiani hanno conseguito il diploma in osteopatia in scuole private, cinquennali e full time o, in alternativa, di 4-6 anni part time. Nel nostro Paese, pertanto, l'esercizio della professione non necessita del conseguimento di un apposito titolo abilitante, né dell'iscrizione ad albi, elenchi o registri. Per diventare
'osteopata' non è previsto un corso universitario specifico. E l'osteopatia non rappresenta una materia d'insegnamento nelle facoltà di medicina e chirurgia, o di altri corsi di laurea nel campo sanitario. Nell'aprile 2010,
l'Oms ha pubblicato il documento
'Benchmark per la Formazione in Osteopatia', che definisce la formazione dell'osteopata. Il percorso di studio prevede non meno di
4 mila ore di formazione. Esistono due differenti programmi: quelli destinati a coloro che hanno alle spalle una formazione non universitaria
(Tipo I) e quelli rivolti ai professionisti in campo sanitario
(Tipo II): i primi hanno di norma una durata quadriennale e sono a tempo pieno (si parla di circa 4200 ore di cui almeno mille di formazione e pratica clinica sotto supervisione); i secondi hanno i medesimi obiettivi e contenuti di quelli di tipo I, ma il piano di studio e la durata del corso possono essere modificati a seconda delle precedenti esperienze e qualifiche dei singoli candidati. È opportuno chiarire che la formazione dell'osteopata abbraccia diverse discipline e deve contemplare una solida base di conoscenze. L'osteopata, inoltre, dev'essere in grado di effettuare una visita medica e d'interpretare le relative valutazioni e informazioni, come i referti degli esami di laboratorio e degli studi diagnostici realizzati con tecniche di
'imaging'. Ha, dunque, la responsabilità di effettuare una diagnosi proprio come un laureato nelle professioni sanitarie.
Riconoscimento, sì o no?Nel nostro Paese, il tema del
riconoscimento dell'osteopatia sembrerebbe essere da tempo all'interno dell'agenda politica al
Senato della Repubblica, dove è in discussione il
disegno di legge n. 1324, a firma del ministro della Salute,
Beatrice Lorenzin, la quale intenderebbe inserirla tra le professioni sanitarie. Il condizionale è d'obbligo, poiché a conti fatti ancora non si è riusciti a raggiungere l'obiettivo. Proprio per regolamentare l'osteopatia come professione sanitaria autonoma sono nate diverse associazioni: tra le più importanti:
l'Associazione Professionale degli Osteopati (Apo) e il
Registro Osteopati d'Italia (Roi), sulla cui iniziativa sono stati presentati al
ddl n. 1324 due emendamenti
(De Biasi 3.0.1 e D'Ambrosio Lettieri 3.0.2), bocciati nell'ottobre scorso dalla
commissione Bilancio del Senato perché considerati onerosi dal viceministro dell'Economia,
Enrico Morando. Una scelta che, come si è visto, appare in netta in controtendenza rispetto alla linee europee e mondiali, nonché osteggiata da chi, con più di qualche ragione, ritiene il riconoscimento giuridico dell'osteopata di fondamentale importanza per garantire la qualità e la sicurezza dei servizi offerti. Una
'non scelta', quella del
viceministro Morando, che ha condotto tutti gli osteopati italiani (e non solo) ad aderire all'iniziativa
#osteopatiriconosciuti, l'hashtag che da qualche tempo dilaga sui più importanti social network finalizzato a sensibilizzare i cittadini sul tema del riconoscimento della professione. Sul web, infine, moltissime sono le immagini profilo di
facebook che, attualmente, ritraggono osteopati (e non solo) con un cartello in mano riportante gli hashtag:
#osteopatiriconosciuti oppure
#_osteopatianuovaprofessionesanitaria_. Il tag, diretto a
@MatteoRenzi, @BeatriceLorenzin ed
@EmiliaDeBiasi, intende riaccendere i riflettori intorno a una questione ferma ormai da anni, al fine di mettere in campo delle idee che possano aiutare a diffondere questa pratica medica tra i cittadini. Staremo a vedere.