Gaetano Massimo MacrìSecondo la Banca d'Italia "sono in progressivo miglioramento le condizioni di offerta dei prestiti bancari, che dovrebbero tornare a crescere nel 2016". Ma su cosa si basi tale ottimismo non è dato sapere. E' vero che numerosi indici tendenziali di misurazione del nostro stato di salute finanziario sono in lento miglioramento. Tuttavia, esprimersi con toni enfatici sembra più che altro un modo di condizionare le aspettative econometriche future, poiché il quadro normativo per l'erogazione dei prestiti, tanto per dirne una, è notevolmente mutato e sono ancora in discussione a Bruxelles una serie di criteri di 'ponderazione calmierabile', che pongono in discussione alcune rigidità a cui le banche sono tenute a conformarsi, soprattutto nei confronti delle piccole e medie imprese. Notevoli sono, inoltre, i rischi di nuovi 'paradigmi di 'aggiramento' delle nuove regole imposte. La qual cosa equivale a dire: "Fatta la norma, trovato l'inganno". Bankitalia è tenuta a sapere che settore bancario e impresa sono due facce della stessa medaglia. E che lo stato di salute delle aziende italiane dovrebbe stare a cuore sia agli imprenditori, sia alle banche. Stando a quel che risulta da una valutazione approfondita dei bilanci dei principali istituti di credito della 'zona-Euro', condotta dalla Bce prima dell'avvio dell'Unione bancaria e denominata 'Comprehensive assessment', esiste una forte relazione di 'interdipendenza' tra banche e imprese, in particolar modo in Italia. Durante la lunga crisi finanziaria attraversata in questi anni, vi è stata una risposta affannosa in termini regolamentari, poiché sembravano essersi smarrite alcune priorità fondamentali. Se l'obiettivo economico principale è quello di riuscire a riattivare un "processo di crescita nella stabilità", ecco che diviene urgente che il nostro sistema creditizio risponda a effettivi criteri di certezza, stabilità, trasparenza e assenza di prociclicità. Invece, l'erogazione del credito e l'attività bancaria in generale, qui da noi continua a esprimersi all'interno di un contesto regolamentare che, anche all'indomani dell'entrata in vigore dell'accordo denominato 'Basilea 3' (1° gennaio 2014) e dell'avvio della Vigilanza unica europea (4 novembre 2014) proprio non riesce a dissipare numerosi elementi d'incertezza operativa. Ecco perché abbiamo deciso di approfondire ulteriormente tale questione, sollevata nei mesi scorsi principalmente dalla presente testata in merito al cosiddetto 'cavallo che non beve', a cominciare dai nuovi vincoli che presiedono all'erogazione del credito.

I vincoli 'esterni'
L'attuale ordinamento prevede specifici presìdi a tutela della raccolta del risparmio e dell'esercizio del credito, attribuendo rilevanti poteri all'Autorità di vigilanza, la quale è tenuta a verificare costantemente il rispetto di una "sana e prudente gestione". Rientrano in questo ambito anche le regole di vigilanza, che prescrivono alle banche: a) di detenere specifiche dotazioni minime di capitale regolamentare - il cosiddetto 'requisito patrimoniale minimo' - a fronte dei rischi sottostanti la peculiare attività d'impresa svolta; b) di accantonare più capitale all'aumentare della rischiosità creditizia dell'esposizione, al fine di rispettare il requisito patrimoniale minimo per effetto delle maggiori rettifiche di valore, da imputare a conto economico. La capacità potenziale di offerta del credito è, dunque, influenzata e vincolata da requisiti regolamentari posti a presidio della stabilità degli intermediari.

Basilea 3
Dunque, dopo gli accordi di 'Basilea 3' è divenuta necessaria una maggior dotazione e una migliore qualità del patrimonio di vigilanza, a fronte delle attività a rischio. Ma non basta: alle banche si chiede anche di accantonare sempre più capitale, alle volte non si sa neppure quanto. Nel caso dei requisiti patrimoniali, il mercato ha sofferto delle incertezze circa gli effettivi valori futuri del 'patrimonio di miglior qualità': si era cominciato, con 'Basilea 3', da una revisione dei requisiti patrimoniali stessi, con una previsione del rapporto minimo di patrimonio di miglior qualità al 4,5%, a cui si aggiungevano ulteriori 'cuscinetti' di capitale (per esempio, un 'buffer' di conservazione del capitale del 2,5%, che portava tale rapporto al 7%). Oltre a ciò, molti istituti hanno dovuto sostenere una 'prova di resistenza' (stress test) da parte dell'Autorità bancaria europea - la cosiddetta 'Eba' - con l'indicazione, almeno fino a nuove e ulteriori comunicazioni ufficiali, del 9% anche per una fase temporanea; in seguito, con la verifica della qualità degli attivi da parte della Bce denominato 'Asset quality review - Aqr', l'indicazione risultava stabilita all'8% e non più al 7%. Alla fine del 2014, la dotazione patrimoniale di miglior qualità era pari all'11,8 per cento delle attività a rischio. E il totale dei fondi propri pari al 14,5% (fonte: Banca d'Italia - Rapporto sulla stabilità finanziaria n. 1 del 2015). Infine, la vigilanza 'one-to-one' della Bce ha reso ancor più complicata la pianificazione finanziaria. Secondo alcune fonti, le banche, a metà settembre 2015, dovrebbero aver ricevuto informazioni definitive circa i nuovi requisiti di solidità patrimoniale nell'ambito del processo di revisione e valutazione  prudenziale (il cosiddetto Srep). E le indiscrezioni attualmente circolanti indicano, in media, un livello minino richiesto dalla Bce superiore di 50 punti base rispetto alla richiesta precedente. Nel frattempo, lo scorso mese di agosto la Banca d'Italia ha inviato una lettera alla Bce, sottolineando che un significativo aumento delle richieste di capitale potrebbe mettere a rischio la nostra 'ripresa'. Il requisito di capitale minimo che dev'essere detenuto è funzione diretta della rischiosità delle esposizioni: più i crediti sono 'rischiosi', maggior capitale questi assorbono. A parità di altri fattori, le esposizioni deteriorate, classificate come 'sofferenze', producono effetti negativi in misura maggiore rispetto alle altre tipologie di crediti deteriorati sul patrimonio di vigilanza, per effetto delle maggiori rettifiche di valore da imputare a conto economico. E infatti, il 26 maggio scorso, il Governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, ha esplicitamente dichiarato: "Alla fine del 2014, la consistenza delle sofferenze è arrivata a sfiorare i 200 miliardi di euro: più o meno il 10 per cento del complesso dei crediti. Gli altri prestiti 'deteriorati' ammontavano a 150 miliardi, ovvero il 7,7 per cento degli impieghi. Prima della crisi, nel 2008, l'incidenza delle partite deteriorate era, nel complesso, del 6 per cento. A fronte di queste esposizioni, le banche accantonano risorse cospicue ed effettuano svalutazioni che assorbono larga parte del risultato operativo, limitando l'autofinanziamento. Ne deriva un vincolo all'erogazione di nuovi prestiti".

La 'qualità del credito'
Prima dell'armonizzazione a livello europeo delle definizioni sulla 'qualità del credito', le regole di vigilanza della Banca d'Italia rispetto a quelle previste dalle altre Autorità europee prevedevano: 1) un approccio più rigoroso: la classificazione tra i deteriorati deve prescindere dall'esistenza di eventuali garanzie (reali e personali) poste a presidio delle esposizioni. Alcuni Paesi Ue, invece, non includevano tra i crediti deteriorati i prestiti per i quali si prevede, a fronte delle garanzie disponibili, di non registrare perdite in futuro; 2) una maggior graduazione nella classificazione del rischio dei soggetti in difficoltà. In buona sostanza, le esposizioni 'ristrutturate' non oggetto di una specifica rilevazione negli altri Paesi Ue, per le banche italiane rientravano solo tra i 'deteriorati'. E, con l'armonizzazione, vi è stato un progressivo avvicinamento degli altri Paesi dell'Ue alla nostra prassi di vigilanza. Cosa è cambiato, di grazia, rispetto a prima?

Le esposizioni deteriorate (no-performing)
In seguito a tale allineamento verso una nuova definizione europea di prestiti 'deteriorati', la Banca d'Italia ha poi rivisto la denominazione e il contenuto di alcune sue vecchie 'sottocategorie'. L'applicazione della nuova definizione europea non determina un tendenziale e automatico aumento delle esposizioni deteriorate, ma ha generato alcune specifiche eccezioni. A titolo esemplificativo, elenchiamo qui di seguito alcuni casi, che determinano maggiori accantonamenti, quindi un maggior assorbimento di capitale, con effetti sulla potenziale capacità di erogare credito: 1) eccezione 'a regime' (differenze rispetto alla precedente normativa). Esposizioni verso retail (Pmi e famiglie): la singola esposizione scaduta/sconfinata da più di 90 giorni sia pari o superiore a una determinata soglia di rilevanza (20% dell'esposizione complessiva) e il complesso delle esposizioni verso il medesimo cliente al dettaglio (retail) va considerato come scaduto e/o sconfinante per 'effetto di trascinamento', che rappresenta una delle principali novità per il contesto nazionale; 2) eccezione 'in prospettiva' (differenze rispetto alla normative vigente): è in discussione, a livello europeo, la possibile revisione della 'soglia di materialità', che passando dall'attuale 5% a un livello inferiore (si ipotizza il 2%) comporterebbe un incremento dei crediti deteriorati e delle relative rettifiche. In pratica, se una piccola azienda dovesse 'sconfinare' oltre il 2% del credito (oppure, nel caso della soglia assoluta, per un importo molto limitato, che si ipotizza attorno ai 200 euro per i clienti al dettaglio e 500 per quelli non al dettaglio) la banca dovrebbe passare l'intera esposizione complessiva alla categoria 'scaduto/sconfinato' (ipotesi A: quota scaduta 30 su un'esposizione complessiva di 1000: > 2% tutto il 1000 deteriorato; ipotesi B: quota scaduta 600 su una esposizione complessiva di 100.000: < 2% ma > di 200/500 euro tutto il 100 mila deteriorato). Sono anche previsti specifici e diversi (in parte) criteri per il passaggio tra categorie.

Nuovi criteri per il passaggio tra categorie
Altri esempi di passaggio automatico alla categoria dei 'deteriorati' previsti dalla nuova normative sono i seguenti: I) esposizione inizialmente deteriorata che è stata oggetto di 'concessione'; II) ha superato il periodo di 'cura' di 1 anno (quindi è uscito dai deteriorati), con assenza di importi scaduti e nessun dubbio da parte della banca sulla capacità di rimborso del debitore; III) nell'ulteriore periodo di prova di 2 anni, previsto dalla normativa, si verifica uno scaduto di oltre 30 giorni, oppure nuova seconda concessione. La complessa esposizione verso il medesimo debitore ritorna 'automaticamente' tra le esposizioni 'deteriorate', con evidenza dell'esposizione oggetto di concessione.

Nuove regole contabili
Il cambiamento del rapporto banca-impresa diviene necessario anche in vista dell'entrata in vigore, dal 2018, del nuovo principio contabile 'Ifrs 9', per la rilevazione in bilancio delle 'rettifiche di valore' sui crediti. Sarà cioè richiesto di anticiparle in bilancio, passando da un concetto di perdita da 'eventi verificati' a quello di perdita da 'eventi attesi', tramite l'utilizzo di un set più ampio di informazioni - comprese quelle riguardanti eventi futuri attesi - per identificare più tempestivamente le variazioni del rischio di credito. Inoltre, il riconoscimento di una maggior rischiosità dell'esposizione potrà avvenire anche sulla base delle mutate condizioni del contesto macroeconomico (per esempio il Pil, il tasso di disoccupazione e via dicendo), seppure solo indirettamente e potenzialmente queste possano incidere sulla capacità del debitore di adempiere alle proprie obbligazioni.

Una nuova cultura finanziaria per banche e imprese
Spostando il ragionamento sul lato del 'cliente', cosa accade, per esempio, a quelle piccole e medie aziende e/o famiglie 'in bonis' che ritardino il pagamento per più di 90 giorni su una singola esposizione e tale singola esposizione sia pari o superiore a una determinata soglia di rilevanza, mettiamo del 20%? In questi casi, la banca è tenuta ad applicare le nuove disposizioni, le quali prevedono che il complesso delle esposizioni verso il medesimo debitore 'retail' debba essere considerato come 'deteriorato'. Se i debitori non adempiono alle proprie obbligazioni entro 30 giorni, uno 'scaduto' che viene considerato indicatore di difficoltà nel far fronte ai propri impegni finanziari determina un peggioramento della classe di merito creditizio, con ulteriori effetti in termini di accantonamento e di assorbimento di capitale. Le nuove regole di vigilanza, inoltre, impongono: a) alle banche una più attenta gestione del 'portafoglio-crediti', al fine di intercettare le posizioni a rischio di inadempimento, anche quando non siano ancora emersi elementi oggettivi di anomalia (per esempio, crisi del settore industriale in cui opera il debitore); b) alle imprese, di essere consapevoli e pronte al nuovo contesto regolamentare più rigido, che impone alle banche di adottare un nuovo 'approccio' al credito, il quale non potrà basarsi solo su criteri 'meccanicistici' per la classificazione delle esposizioni, ma anche su analisi prospettiche relative all'evoluzione della situazione economica, finanziaria e patrimoniale della singola impresa. La normative, insomma, si evolve in tal senso: la nuova direttiva bilanci n. 2013/34/UE, relativa cioè ai bilanci d'esercizio e consolidati delle società di capitali, il cui decreto legislativo di recepimento, datato 18 agosto 2015 n. 139 è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 205 del 4 settembre 2015, ha definitivamente reso obbligatoria, dal 2016, la redazione del rendiconto finanziario quale documento che deve entrare a far parte integrante del bilancio di esercizio.

Conclusioni
Insomma, la risposta alle lunghe crisi finanziarie che hanno interessato l'Europa si basa su una nuova e più stringente regolamentazione creditizia. Il settore finanziario, in primis quello bancario, si sta confrontando con nuove regole che impattano sul credito e sui rapporti tra banca e impresa e su nuovi requisiti patrimoniali e nuovi criteri di misurazione, classificazione e contabilizzazione della qualità del credito. Purtroppo, tante nuove regole non aiutano in termini di certezza, poiché: a) un primo è più immediato effetto ricade sulla capacità dell'offerta di credito all'economia, che deve tener conto di vincoli improntanti più alla stabilità che alla crescita, sacrificando, spesso, anche un desiderabile orientamento anticiclico della politica economica; b) queste nuove regole rischiano di creare anche nuovi 'paradigmi' nel rapporto banca-impresa. Le banche sono chiamate a una maggior rigidità nella valutazione della qualità del credito e, laddove venga richiesto un giudizio non basato su parametri meramente quantitativi bensì su analisi prospettiche, ha titolo a esprimere una propria valutazione sull'evoluzione della situazione economica, finanziaria e patrimoniale dell'impresa. E persino in relazione allo scenario macroeconomico. In sostanza, esse saranno tenute alla massima diligenza e prudenza, poiché proprio in tal senso dovranno poi rispondere alla vigilanza; c) anche sul versante delle imprese è richiesta una rivoluzione 'culturale'. Sul principio siamo tutti d'accordo, avendolo proprio noi di laici.it teorizzato per primi. Tuttavia, i comportamenti gestionali interni alle aziende subiranno un immediato riverbero nei rapporti di credito, dovendo monitorare sempre più la 'generazione di cassa' fornendone, altresì, una continua comunicazione. Tutto ciò comporta una serie di potenziali rischi regolamentari: troppa regolamentazione genera preoccupazioni su possibili modifiche all'assorbimento di capitale delle esposizioni, soprattutto nei riguardi delle imprese medio-piccole. Sarebbe perciò auspicabile che permanga nella normativa di vigilanza un fattore di 'ponderazione calmierante' verso le Pmi (il cosiddetto Sme Supporting Factor) con la finalità di ridurre il più possibile l'assorbimento di capitale verso i loro finanziamenti. La conferma di tale fattore di ponderazione 'preferenziale', solo per le Pmi ovviamente, è in discussione a livello europeo. Sarebbe importante riuiscire a far comprendere a Bruxelles che, se veramente s'intende agganciare la ripresa congiunturale in atto, diviene fondamentale non aumentare il grado di penalizzazione per le Pmi. Soprattutto in Paesi come il nostro, la cui vera 'spina dorsale' della crescita economica è imperniata su aziende di piccolo/medio livello produttivo e occupazionale.



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