Bellissimo. Solamente con l'aiuto di un superlativo assoluto possiamo descrivere la rappresentazione che l'attrice e regista
Marica Roberto ha presentato in questi giorni presso il
Teatro dell'Angelo di
Roma, dal titolo
'Renaceré Rinascerò'. Una pièce che verrà replicata il prossimo 30 ottobre al
Teatro Sala Fontana di
Milano. Chi segue già da qualche tempo questa artista non può far altro che segnalare il suo crescendo di maturazione drammaturgica, che sorprende a ogni spettacolo da lei portato in scena. L'amore per il tango e le atmosfere argentine del suo
'Alfonsina Storni' già ci avevano intrigato al
Roma Fringe Festival del 2013, costringendoci a riscoprire la figura di una coraggiosa poetessa e scrittrice socialista dimenticata da tempo; un anno dopo, la
Roberto si è ripresentata con
'Fata Morgana' circondata da uno splendido collettivo di musicisti chiamato a formare il gruppo
'Attori&Musici', assieme ai quali ci ha raccontato le vicende delle donne vittime di mafia nel nostro sud. Oggi,
Marica Roberto è riuscita a portare a sintesi le due esperienze precedenti attraverso un'opera dedicata alle
morti 'bianche' sul lavoro, a come tali drammatici fatti non facciano notizia per il giornalismo di casa nostra, tutto impegnato a inseguire volgarità e polemiche insulse, faticando non poco a inquadrare deontologicamente il tema dello sfruttamento selvaggio di mano d'opera a bassissimo costo e le reiterate elusioni delle norme di sicurezza perpetrate sui cantieri dell'imprenditoria edìle. Nello spettacolo ci sono anche brani musicalmente interessanti, che richiamano lo stile dei
Fossati e dei
De Andrè: episodi di elevato spessore poetico, che ci aiutano a percepire con chiarezza il suono e le ragioni di quell'antica
cultura laburista che vive ancora nei cuori di chi ne riconosce il richiamo autentico, più antico, forse, ma assai più accorato rispetto al consueto
massimalismo ideologico italo-marxista. L'utilizzo musicale del tango aggressivo di
Astor Piazzolla è un chiaro riferimento all'emigrazione di quei milioni di italiani che, nei primi decenni del XX secolo, furono costretti a lasciare il nostro Paese, costituendo
un unico filo 'rosso' che lega i disperati di ieri con i migranti e gli sfruttati di oggi. Quando la gente è povera, essa non piace: sembra 'stonare' in una società divenuta gretta e indifferente come quella italiana. Non è soltanto una questione di razzismo, bensì d'incapacità a riconoscere quel dato di omologazione che non rifiuta la diversità: semplicemente non la contempla, per puro retaggio d'inciviltà. Vendere e vendersi: ciò viene invece consentito senza problemi nel 'porcile' italiano, abituato da sempre a misurare sentimenti e rapporti umani con il metro dell'utilitarismo individuale. Si fa veramente fatica a riconoscere la fotografia di un 'sistema-Paese' ormai logoro, in cui proprio non si riesce a far 'passare' il messaggio di un prossimo sociologico che diviene interessante solo nel momento e nella misura in cui esso si rivela debole, dunque utilizzabile sotto il profilo strettamente opportunistico e profittatorio. Eppure, si sta avvicinando il momento di fermare una deriva che non soltanto rende la società italiana complessivamente vanesia e smemorata, ma finisce persino col toglierle identità, inchiodandola all'analfabetismo piccolo borghese. Canzoni, danze, impalcature e persino un rosario di preghiere sono gli strumenti che la
Roberto utilizza per toccarci in profondità, in fondo per ferirci, nel tentativo di scuoterci.
'Scappellotti' alla Giorgio Strehler, che rendono la misura della definitiva maturazione stilistica di un'artista autentica, con i suoi bellissimi giovani ballerini e i suoi eccellenti musicisti, i quali non sbagliano una nota o un accordo neppure se minacciati con un revolver puntato alla tempia. Uno spettacolo 'sopra le righe' nel senso più positivo del termine: una delle cose migliori che abbiamo potuto ammirare in scena
nell'anno di grazia 2015, all'interno dell'intero panorama artistico italiano. Noi abbiamo sempre ammirato, a dire il vero, le opere di
Marica Roberto, sia per le sue toccanti 'sfumature' drammatiche, sia per le sue ossessioni recitative, comunicate al pubblico attraverso uno stile personalissimo, forte e 'lieve' allo stesso tempo. Un'artista che si fa apprezzare anche nella vita di tutti giorni per i suoi comportamenti di donna riservata e sensibile, che mai dà adito al debordante, all'ipertrofìa autoreferenziale. Insomma, i lavori presentati da
Marica Roberto sono generalmente ricchi di contenuti e sempre di buon livello. Ma innanzi a
'Renaceré Rinascerò' ci troviamo costretti a riconoscere un autentico capolavoro, cosa non semplice per la critica, tenuta sempre a contenersi dietro ai confini dell'obiettività e del giudizio distaccato per non incorrere nell'equivoco della lode 'sperticata'. Ma in questo caso possiamo solamente ringraziare quest'artista per l'amore che ha voluto mettere in scena, per le idee vivaci e coerenti che ha saputo trasmettere, per essere riuscita a trascinarci tutti quanti al di là dei soliti
'sfregi' pseudo-rivoluzionari dei vari 'Lorenzacci', al fine di riportarci sul terreno più autentico e doloroso della
vera cultura popolare: quella di un'umanità innocente, umile e preziosa.