Il funerale di
Vittorio Casamonica, la 'querelle' sul possibile commissariamento di Roma, l'apparente 'tutoraggio' del prefetto,
Franco Gabrielli, al sindaco della capitale,
Ignazio Marino. Tutte notizie di grande impatto mediatico, che hanno rapidamente 'radiato' dai titoli dei giornali il dibattito sulle recenti nomine dei
direttori dei grandi musei italiani. Una polemica esplosa lo scorso 18 agosto, all'indomani dell'esito presentato dal
ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, Dario Franceschini. Un dibattito che, invece, sarebbe il caso di riprendere, non tanto per avallare le accuse, a tratti un po'
nazionaliste, di alcune figure di spicco del panorama culturale italiano, che hanno gridato allo 'scandalo' sol perché si è scelto di arruolare tra le fila della dirigenza museale del 'Belpaese' degli
'stranieri', bensì per una questione, se vogliamo, più sostanziale: la
probabile illegittimità del bando di concorso attraverso il quale i direttori dei 20 principali musei italiani sono stati selezionati. Procediamo per gradi, partendo, in primis, da un presupposto: la scelta del
ministro Franceschini, questa volta non si è rivelata del tutto errata. A nostro avviso, infatti, una 'pecca' di molti colleghi, giornalisti e non, è stata quella di portare l'attenzione, con accento quasi esclusivo, sulla presenza, tra i nominati, di ben
7 'stranieri'; così come ci sono sembrate faziose e 'partigiane' le polemiche sollevate da quei dirigenti della Pubblica amministrazione che, sentendosi defraudati e umiliati nell'intimo, hanno gridato al
'complotto', denunciando l'ennesima mortificazione e penalizzazione sistematica dei nostri 'tecnici'. Per carità, non che ciò non sia mai avvenuto, specialmente negli ultimi anni. Tuttavia, nel caso in questione stiamo parlando delle stesse figure (sovrintendenti, dirigenti e via dicendo) che a più riprese e in diverse occasioni si sono dimostrate
inadatte a ricoprire i ruoli loro assegnati. Ma ciò è accaduto in quanto
'paralizzate' da un sistema già di per sé 'defraudante' e fallace, che non fornisce i mezzi e le risorse necessarie per espletare al meglio certi incarichi, troppo spesso 'inceppati' da un meccanismo marcio e colluso di
'favoritismi' e 'marchette' varie, che si trova alla base del
sistema clientelare 'made in Italy'. Lo ricordiamo il 'caso' di
Anna Maria Buzzi, sorella di
Salvatore Buzzi, presidente della potentissima
Cooperativa '29 giugno', che dominava la capitale grazie alla complicità con
Massimo Carminati, finito in carcere per l'inchiesta
'Mafia Capitale'? Tramite il fratello Salvatore, la Buzzi pare abbia favorito la figlia,
Irene Turchetti, in un concorso del
Comune di Roma per un posto da ispettore amministrativo. Ebbene, questa mamma 'ansiogena' è laureata in Pedagogia e risulta 'inquadrata' presso il ministero dei Beni culturali come
'Restauratrice di libri', eppure figura tra i dirigenti di 'prima fascia' a
168 mila euro l'anno sin dal 2012, in qualità di
Direttore generale per la valorizzazione del patrimonio culturale. Casi del genere, in Italia, sono molteplici e diversi: questo è senz'altro vero. Ed è anche buona cosa cercare di non generalizzare, facendo di tutta 'l'erba' un 'fascio'. Ciononostante, alla luce delle ultime vicende politiche, la scelta di
Franceschini di aprire la nostra penisola a una nuova visione della gestione del patrimonio artistico e culturale, meno provinciale e di più ampio respiro, per lo meno alimenta la speranza che, in Italia, possano finalmente imporsi una serie di
criteri meritocratici, maggiormente qualificanti e, soprattutto,
trasparenti. Certamente, se i musei e le nostre principali istituzioni culturali risultano in deficit e la conservazione e la tutela del patrimonio italiano fa 'acqua' da tutte le parti, non è soltanto per colpa dei dirigenti (lungi da noi sostenere ciò...). Tuttavia, il 'quadro' complessivo mostra un 'andazzo' della macchina statale paragonabile a una sorta di inquietante mostro
'macrocefalo', caratterizzato da una 'testa' enorme e 'arti' piccolissimi: una
pericolosa 'sanguisuga' che preferisce succhiare denaro anziché erogarlo, impedendo politiche serie ed efficienti. Per esempio, grazie ai provvedimenti legislativi più recenti si sarebbe potuto (e dovuto) fare qualcosa per rendere il
'sistema-beni culturali' più solido nelle sue fondamenta, a partire proprio dal risanamento della Pubblica amministrazione attraverso l'assunzione di personale specializzato nei ranghi 'più bassi' (conservatori, storici dell'arte, archeologici e altre qualifiche), anche al fine di
'snellire' i vertici. Ciò premesso, nel caso delle nomine di
Franceschini, il discorso dovrebbe essere articolato in maniera sensibilmente diversa:
'stranieri' a parte, a renderci
perplessi sin dal principio della vicenda sono stati, in egual misura, quegli aspetti,
eccessivamente discrezionali, del bando di concorso, come evidenziato in un articolo pubblicato sul sito della rivista
'Periodico italiano magazine' diversi mesi addietro. Oltre a ciò, si sono aggiunti alcuni nostri interrogativi in merito ai
criteri di assegnazione dei punteggi, che dovevano esser resi noti pubblicamente come, peraltro, stabilito dal bando stesso e come, di regola, avviene nei concorsi pubblici. Ci angustiava, inoltre, la scarsa trasparenza da parte della Pubblica amministrazione riguardo al
'peso specifico' che i colloqui orali avrebbero avuto nell'assegnazione delle nomine: quindici minuti ci sembravano davvero pochi per verificare la preparazione di un eventuale futuro direttore. E non ha certamente consolato la delucidazione rilasciata dal presidente della Commissione,
Paolo Baratta, il quale, messo di fronte alla specifica contestazione di
'insufficienza temporale' del colloquio, pare abbia risposto:
"In fondo, quei candidati li conoscevamo già...". Ma allora,
per quale 'diavolo' di motivo hai voluto farli 'sti 'benedetti' colloqui, Baratta? Come si può ben comprendere, ci ritroviamo innanzi a
un 'trionfo' di incoerenze e contraddizioni. L'ampio margine di discrezionalità del bando ha certamente trovato l'apice con l'inserimento, nella 'terna' finale proposta dalla Commissione, di tre dei candidati classificati fra i primi dieci. Una 'magia' che ha consentito di far 'balzare' al primo posto la sesta in classifica,
Paola Marini (italianissima, peraltro), nella graduatoria per la
Galleria dell'Accademia di Venezia; ancor più clamoroso il
'fantastico volo' del giovanissimo archeologo tedesco
Gabriel Zuchtriegel (ha solo 34 anni), che dal decimo posto, cioè da ultimo in graduatoria, è riuscito a ottenere la direzione del
Parco archeologico di Paestum: un vero e proprio
'quarto d'ora di gloria'... In ogni caso, stando così le cose, il dubbio che si sia trattato di una grande operazione 'mediatica' si è rapidamente trasformato in certezza. Tuttavia, se finora ci siamo limitati a formulare solo ipotesi e congetture, è venuto il momento di tirar fuori alcuni fatti. I quali ci raccontano qualcosa di realmente allarmante: ovvero, che sussiste una
palese contraddizione tra le modalità del concorso e le norme in vigore. Leggendo bene i profili dei 20 direttori, appare evidente come l'esperienza specifica di direzione di musei non sia stata considerata in quanto
parametro prevalente di valutazione, come invece richiesto dalla legge. E risulta altrettanto palese che, nell'elaborazione delle nomine, non siano state rispettate né le specializzazioni e i titoli di studio maturati nel corso delle carriere universitarie (come ci è finita la dottoressa
Eva Degl'Innocenti, con un master in Storia e archivistica medievale, al Museo Archeologico Nazionale di Taranto?), né le professionalità (può un architetto essere selezionato come direttore di un museo archeologico? Non è dato sapere...). Ma queste 'strane' contraddizioni non si esauriscono qui: a un attento esame delle fonti normative (in particolare degli articoli 14 comma 2-bis del dl 83/14, convertito nella Legge n. 106/14; art. 2 del d.p.r. 3/57; art. 38 del d. lgs. n. 165/2001) emerge come
ogni nomina di un cittadino non italiano a direttore di museo nazionale autonomo debba essere considerata illegittima. E, con essa, la selezione indetta da
Franceschini, come segnalato anche dal sindacato
'Uil-Bact' ai vertici del ministero, il quale, almeno fino a questo preciso momento, non ha ritenuto di doversene occupare (e preoccupare). Una circostanza, a nostro parere, ben più grave di qualsiasi illazione, poiché denuncia la più totale negligenza, superficialità e inettitudine da parte dell'attuale Governo nella gestione e organizzazione di un settore, quello dei
Beni culturali, già di per sé 'dilaniato' dai continui scempi perpetrati dagli esecutivi che lo avevano preceduto. Un errore madornale, che denuncia la fretta con cui è stato portato avanti
'l'Art Bonus' e che, per questo motivo, rientra a pieno titolo nella lista di ingenuità e 'sviste' commesse dal
Governo Renzi in materia di riforme (basti pensare a quella del lavoro, o alla riforma scolastica). Forse, qualcuno dovrebbe proprio cominciare a spiegarlo, al nostro 'caro' premier, che il noto proverbio della
'gatta frettolosa' che partorisce micini ciechi, non sia solamente un modo di dire, né un semplice luogo comune.