In un Paese dove il precariato è alle stelle, parlare di gente che decide di investire tutto (anni, sogni e impegno quotidiano) in un mestiere dove uno su un milione ce la fa e la giusta remunerazione è una chimera, può sembrare un esercizio masochistico. In questo numero parliamo di teatro, ma la questione si potrebbe estendere a tutte le figure professionali che credono nella cultura, giornalisti compresi. Perché c'è qualcosa di più del posto fisso: come l'idea balzana che una società non necessita solamente di beni di consumo materiali, ma anche di emozioni, idee, contenuti e riflessioni. Per milioni di italiani è così 'normale' passare intere serate davanti alla televisione, perdersi la domenica nei centri commerciali, ambire all'ultimo modello di Iphone. E se le cose vanno male la colpa è sempre di qualcun altro, non importa chi. È così semplice lamentarsi. Ma dietro molte polemiche c'è, spesso, una totale assenza di argomentazioni, una mancanza di analisi con cognizione di causa. Ognuno ha ragione a modo suo e, soprattutto, sa esattamente come risolvere qualsiasi questione. Ecco perché fare cultura, così come fare teatro, in Italia è un atto di coraggio. Perché emozionare, sollecitare un ragionamento, sviluppare il senso critico del pubblico vuol dire scavare nei meccanismi più contorti del modo di pensare della gente, delle 'ragioni' antropologiche di cui tutti più o meno, ma spesso del tutto inconsapevolmente, siamo vittime. Qui da noi non è facile fare qualcosa e raramente esiste uno spirito di gruppo. Persino fra chi 'fa teatro' ci sono invidie, polemiche e gelosie. E il coraggio di 'fare teatro' è anche quello di chi crea le occasioni di cultura con un evento o un contest. Manifestazioni indipendenti dove l'organizzatore ci guadagna poco o niente (a volte ci perde addirittura), viene spesso preso a 'calci' dall'apparato burocratico per permessi e quant'altro e, in ultimo, viene criticato da colleghi e 'professionisti' del settore (persino dai diretti beneficiari dell'evento culturale dal quale hanno avuto un'occasione di visibilità) che loro sì, avrebbero saputo fare meglio. Tutti 'coraggiosi' per quanto concerne la critica. Ma il 'fare' è tutta un'altra storia.
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(articolo tratto dalla rivista sfogliabile 'Periodico italiano magazine' - n. 13 luglio/agosto 2015)