Carla De LeoIl mondo occidentale sta uscendo in questi mesi da una lunghissima crisi economica e di liquidità finanziaria. Ciò significa che il sistema capitalistico può sopravvivere anche senza grandi società di intermediazione bancaria, come accadde in Germania nella fase immediatamente successiva alla sua unificazione (1866-1914), ma solo a patto di possedere livelli di produttività e di export assai elevati. La lunga crisi di questi ultimi anni discende, infatti, da una deriva eccessivamente 'monetarista' dell'economia, in cui sono stati trasferiti debiti e sofferenze bancarie come se il mercato finanziario fosse in grado di riassorbirli nel giro di qualche decennio. La cosa, a un certo punto, è sfuggita di mano, generando speculazioni che hanno coinvolto molti altri mercati borsistici, tra di loro interconnessi. Il fenomeno ha avuto una serie di conseguenze strutturali che hanno impedito a lungo quegli investimenti di riorganizzazione industriale e produttiva in grado di far assorbire ai mercati l'avvenuta esplosione dell'enorme 'bolla' del 2008. In questi casi, non basta immettere liquidità 'pubblica' nel circuito finanziario, per arrestare la spirale al ribasso dei prezzi, ricreare fiducia e rivendere i titoli acquistati in un mercato stabilizzato. Il vero problema rimane quello dell'insolvenza di un sistema bancario 'figlio' di una 'deregulation' e di speculazioni sottovalutate dagli Stati per interi decenni. Quando il debito lordo di un Paese diviene enorme e le condizioni economiche sono difficili, la semplice logica economica impone una sequenza di 'bancarotte', chiusure e fallimenti quasi per 'reazione a catena'. Questo fenomeno si chiama 'deflazione da debito' o 'crisi deflattiva'. Si tratta di una condizione tutto sommato fisiologica dei mercati, che tendono a espellere i gruppi più 'malati' e che si affronta ricapitalizzando il sistema, ovvero cercando di reimmettere capitali freschi nel circuito al fine di trarne nuovi profitti. Ma ricapitalizzare significa raccogliere quote enormi di danaro, operare trasferimenti colossali di ricchezza che il Fondo monetario internazionale e Wall Street avevano già determinato, negli ultimi tre decenni, per tutto il mondo e che, nel medio-periodo, nessuno è stato in grado di riproporre allo scopo di creare nuove condizioni di ripresa della domanda globale. Il mercato internazionale dei capitali ha esattamente questa caratteristica, assai perniciosa, che doveva esser tenuta in debita considerazione: esso trova un nuovo equilibrio di stabilità assai lentamente, provocando, nel corso di tali frangenti - non sempre 'ciclici' - conseguenze politiche pericolosissime. Fu così, per esempio, negli anni immediatamente successivi alla crisi di Wall Street del 1929, la quale, indirettamente, favorì l'ascesa di Hitler in una Germania senza più colonie e ingiustamente 'maltrattata' a Versailles. In attesa di riportare in equilibrio tutto il sistema, anche questa volta il mondo occidentale ha dovuto attraversare la vallata infernale di una crisi profondissima, conseguenza diretta di un modello di crescita 'drogata' dal debito, che ha investito l'intero ciclo di riproduzione del valore degli ultimi anni, in cui chi possedeva il capitale lo faceva fruttare speculando in borsa anziché investire in innovazioni che avrebbero potuto favorire la ripresa. Chi ha i soldi, se li tiene e li fa fruttare: questa è la 'morale' che il capitalismo occidentale ci ha insegnato in questi anni. Un principio che genera un divario sempre più netto tra ricchi e poveri, sia all'interno dei singoli Stati, sia nel resto del mondo, proletarizzando ogni genere di ceto medio produttivo, nonché mortificando tutte le professioni umanistiche e quelle libere. Durante questo processo degenerativo siamo giunti alla fine di un'era: la fuoriuscita dalla crisi economica degli anni '70 del XX secolo e la risposta capitalistica al formidabile ciclo di lotte del movimento operaio negli anni '80, si erano concretizzate in una ristrutturazione complessiva del mercato mondiale come nuovo equilibrio di sistema. Ma quell'equilibrio si reggeva sugli Stati Uniti. E oggi? Noi pensiamo si stia avvicinando, checché se ne dica, l'avvento dell'Unione europea come nuova potenza economicamente egemone del pianeta e come principale riferimento di equilibrio di tutto il sistema della produzione capitalistica. A condizione che la Ue si decida a dotarsi, finalmente, di strumenti decisionali in grado di proporla in quanto 'arbitro' imparziale dell'intera economia planetaria.


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