Il progresso di una società non è determinato dal suo
Prodotto interno lordo. Un Paese evoluto è tale quando, oltre alla promozione di aspetti e di iniziative volte ad incrementare la propria economia, presta pari attenzione alla qualità della vita, alla promozione dei diritti della persona, offrendo le condizioni per garantire l'accesso alle risorse e alla vita sociale. La concezione e il livello del progresso, come dimostrano anche i
17 'goals' previsti nella nuova
'agenda allo sviluppo', va a coincidere sempre più con i livelli di inclusione. Un termine che, infatti, sta diventando 'gettonatissimo'. Come sottolineato di recente dal
Direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo del ministero degli Affari esteri, Gianpaolo Cantini: "L'agenda sarà molto più complessa, anche in termini di monitoraggio. E toccherà la multidimensionalità delle dimensioni dello sviluppo, in cui pace, sicurezza e governante sono individuati come aspetti focali. La sua caratteristica di universalità, inoltre, ne determina la sua estensione e applicazione a tutti i Paesi". Particolare attenzione e sensibilità è rivolta soprattutto nei confronti delle categorie sociali più deboli, come donne e bambini. Ciò non per ripetere quella che a qualcuno potrà suonare come la 'solita solfa', ma perché i dati a disposizione dimostrano il perdurare di troppe disparità e discriminazioni nei loro confronti. Dunque, se da una parte è ormai giunto il momento di comprendere che donne e bambini sono, ancora oggi, le categorie sociali più a rischio e con il più alto tasso di esclusione, dall'altra è ora di prendere coscienza del fatto che essi rappresentano ben il 70% della popolazione mondiale. Diviene palese, pertanto, l'inaccettabilità e l'ingiustizia di una simile situazione: occorre individuare i Paesi più 'impanati' nelle disuguaglianze di genere e tentare di comprendere che, con il binomio
'progresso-inclusione', si deve cominciare a far riferimento a una sfera ben più ampia di quella delle risorse economiche e di accessibilità ai prodotti. Il progresso di una società deve essere misurato anche attraverso l'analisi delle condizioni di vita dei soggetti più deboli e del loro livello di inclusione e di partecipazione, in tutte le dimensioni del sociale: sanitaria, educativa, lavorativa, culturale, informativa, ambientale e di sicurezza (personale e collettiva). Stando a questo nuovo paradigma, quale sarà il livello di inclusione nel mondo? Oggi, è per lo meno possibile avere una 'mappatura' e i numeri dell'inclusione grazie a un nuovo strumento offerto dal
'WeWorld Index', un rapporto risultante dalle indagini condotte in 167 Paesi del mondo - effettuato dall'omonima organizzazione non governativa e recentemente presentato alla Farnesina - sulla base dell'analisi di aspetti che incidono profondamente sulle possibilità di vita di una persona. Realizzato intorno a 34 indicatori (10 di 'contesto' e 20 che misurano direttamente quello che accade a donne e bambini), questo nuovo rapporto tiene finalmente in conto tanto i livelli di sicurezza, quanto quelli di inquinamento e di alfabetizzazione, di occupazione e disoccupazione degli adulti; il tasso di violenza su donne e minori e di maternità precoce; la differenza di reddito, per pari occupazione, tra uomini e donne e molti altri aspetti.
"Alcuni di questi indicatori agiscono in maniera diretta rispetto all'inclusione; altri", ci ha spiegato
Marco Chiesara, presidente di 'WeWorld', "hanno effetti più diretti di quanto possa sembrare a prima vista. Per questo motivo, crediamo che tutti questi valori, insieme, ci permettano di ottenere una misurazione puntuale dell'inclusione. Indipendentemente dalla ricchezza di un Paese, vivere in un contesto con un tasso di omicidi alto, o in una nazione che ha subito conflitti, significa vivere in un luogo in cui le ricadute sul tessuto sociale, in particolare su donne, bambini, bambine e adolescenti, sono profonde". Nel rapporto viene data, insomma, molta importanza ai 'deboli'. E ciò è testimoniato dall'insistenza nel voler sottolineare il forte nesso tra i diritti dell'infanzia e la parità di genere, poiché il rapporto prende le mosse dall'assunto che, pur essendo soggetti distinti e dotati di diritti propri (per i quali sono stati individuate dimensioni e relativi indicatori), il destino di donne e bambini è incrociato e interdipendente: se una donna è a rischio, lo sarà di conseguenza anche un bambino/a. Il benessere dell'infanzia dipende innegabilmente dal benessere di chi si ne prende cura. E migliorare le condizioni di vita delle donne significa compiere un 'passo' fondamentale verso il contrasto alla povertà di bambini, bambine e adolescenti. Migliorare le condizione di vita dei bambini, in particolare delle bambine, significa creare le premesse per una miglior inclusione delle donne. Bisogna anche tener presente che, in numerosi Paesi, la raccolta di dati statici è molto difficile. E la classifica mondiale dell'inclusione non è per nulla incoraggiante:
su 167 nazioni analizzate, ben 102 non raggiungono un livello nemmeno sufficiente. In particolare, nell'indice, sono i
Paesi africani a piazzarsi tutti dopo
l'82esima posizione. E qui, le cause sono da addebitare in buona parte all'impossibilità di accesso ai servizi di base, come acqua potabile, educazione e salute. Mentre, soprattutto in
Medio Oriente e nel
Nord Africa, è la mancanza di politiche di genere a penalizzare queste comunità. Discorso assimilabile anche con la situazione tracciata in
Asia meridionale, dove quasi tutti gli indicatori inerenti all'inclusione di donne e bambini/e mostrano pessimi risultati (salute, istruzione, lavoro minorile). Al 'top' della classifica, ci sono solamente i
Paesi dell'Europa del nord, in cui
Norvegia, Danimarca e Svezia conquistano i primi tre posti grazie alla diffusione generalizzata dei servizi di base e dove, quasi ovunque, sono garantite pari opportunità tra uomini e donne nella vita politica, economica e sociale.
L'Italia si piazza al 18° posto, ottenendo un indice di inclusione appena sufficiente. Ma bisogna sottolineare che tale valore è possibile solo grazie al
'bilanciamento ponderato' dei vari indicatori: il nostro Paese ottiene cioè buoni risultati nell'ambito della salute e dell'educazione di base, nella dimensione relativa al capitale umano ed economico e grazie ai bassi livelli di conflittualità e al contesto democratico, ma rivela pessime prestazioni nell'analisi di altri indicatori, come per esempio
l'accessibilità a internet (55° posizione); il livello di PM10 nell'aria (71°); la presenza di aree protette (42°); gli effetti dei disastri ambientali (46°); la corruzione (69°); la spesa per l'istruzione (92°). Addirittura, ci collochiamo dopo la centesima posizione su tutti gli indicatori di parità di genere: occupazione femminile e violenza contro le donne. L'Italia sta ancora godendo degli effetti positivi delle politiche di inclusione sociale avviate nel secolo scorso (accesso all'istruzione primaria universale e istituzione del sistema sanitario pubblico), riforme che hanno permesso di soddisfare alcuni degli indicatori. Ma se consideriamo il rapido degradarsi del contesto ambientale ed economico, è molto probabile che non si riuscirà a mantenere questa posizione a lungo se non verranno adottate misure in tema di occupazione femminile, crescita economica e salvaguardia dell'ambiente.
"Questo rapporto", ha specificato
Stefano Piziali, Responsabile del dipartimento 'Advocacy' di WeWorld, "ha il pregio e l'obiettivo di mostrarci come la dimensione multidimensionale deve diventare parte delle nostre analisi. Perché i fattori che determinano le nostre vite sono numerosi e assai complessi. Ci aiuta, inoltre, a confrontarci con la nuova agenda di sviluppo e può essere un valido sistema di monitoraggio. Il rapporto inoltre, evidenziando il pessimo livello di inclusione di ben 47 Paesi, può essere di aiuto per capire in che modo migliorare le possibilità e l'inclusione di donne e bambini. In Italia, per esempio, si è delineata la necessità di scelte mirate in molti settori: si stanno programmando interventi in scuole, università, associazioni. L'importante è agire, anche attraverso la sola sensibilizzazione al tema dell'inclusione, poiché agire significa muoversi nella prospettiva di sviluppo di un Paese". La dimensione dello sviluppo e del progresso, pertanto, passa inevitabilmente dai destini di donne e bambini, i cui percorsi sono incrociati, ma che non devono essere necessariamente ricondotti alla semplicistica
relazione 'madre-figlio'. Il pieno raggiungimento dell'abbattimento delle disuguaglianze incide, in primis, sull'autonomia delle donne di poter decidere il proprio percorso di vita. Ma
"i tempi attendono che sia anche l'uomo a parlare e a promuovere i diritti delle donne", ha tenuto nuovamente a precisare il
presidente di WeWorld, Marco Chiesara, "anche perché la nostra società è ormai matura per sfondare queste barriere". Mentre,
il Direttore generale, Giampaolo Cantini, ha ribadito che
"bisognerebbe investire di più in educazione e ancor di più in accesso delle bambine all'educazione. E promuovere maggiormente, come il Governo italiano sta già facendo da diversi anni, programmi diretti al contrasto dello sfruttamento sessuale dei bambini, al recupero di bambini per le strade e contro i matrimoni precoci. Occorre un'azione a tutto campo, fatta di politiche di protezione e di promozione del ruolo economico della donna". Cos'è WeWorld
WeWorld è un'organizzazione no profit che opera in Italia e nel sud del mondo (Asia, Africa e America Latina), per la tutela dei diritti di donne e bambini, a supporto dell'infanzia, delle donne e delle comunità locali nella lotta alla povertà e alle disuguaglianze per uno sviluppo sostenibile. Cinque le aree di intervento strategico: istruzione, salute, parità di genere, diritti delle donne, protezione partecipazione. Oltre 800 mila sono i beneficiari diretti e indiretti dei progetti WeWorld nel mondo, grazie alle donazioni di 40 mila sostenitori. Il rapporto WeWorld Index, alla sua prima edizione, è stato elaborato in linea con la visione e le priorità di WeWorld: promuovere e garantire il diritto all'inclusione di bambini, bambine, adolescenti e donne, in Italia e nel mondo.
Il rapporto e la classifica: risultatiPer misurare il tasso d'inclusione,
WeWorld ha utilizzato 34 indicatori (10 di contesto e 20 che misurano direttamente quello che accade a donne e bambini) calcolati poi in un unico indice sintetico, per creare una classifica di 167 Paesi (fonti: Organizzazione mondiale della Sanità, Unesco, World Bank, Unicef, Undp o indici sintetici come il Gender Gap Index o il Global Peace Index).
La classifica finale comprende 167 Paesi ed è stata organizzata in cinque gruppi di Paesi:1. Buona inclusione: Paesi con indice pari o superiore a 70Europa del nord:
Norvegia, Danimarca e Svezia si collocano ai primi tre posti, seguiti a pari merito da
Islanda e Finlandia.2. Sufficiente inclusione: Paesi con indice tra 21 e 69L'Italia, 18esima in classifica, è preceduta
dall'Estonia ma seguita da
Stati Uniti e
dall'Irlanda (entrambi alla 19esima posizione). Nella stessa categoria: 23 Paesi europei, 12 Paesi del nord e del sud America, 7 Paesi asiatici, 4 del Medio Oriente e nessun Paese africano.
3. Insufficiente inclusione: Paesi con indice tra 20 e -29Il primo Paese africano in classifica è il
Ruanda, seguito da
Capo Verde e
Algeria. Da notare che quasi tutti i Paesi del
nord Africa e del
Medio Oriente sono fortemente penalizzati dalla mancanza di politiche inclusive e di pari opportunità per le donne, le quali sono svantaggiate ed esplicitamente discriminate sotto il profilo economico, politico e sociale. Per
l'Asia meridionale, il primo Paese in classifica sono le
Maldive, seguite dal
Bhutan. Molti Paesi di questa regione sono collocati nelle due peggiori categorie.
4. Esclusione grave: Paesi con indice tra -30 e -79 5. Esclusione gravissima: Paesi con indice pari o inferiore a -80Nelle ultime due categorie, troviamo 47 Paesi con un indice di esclusione grave e gravissimo. Agli ultimi posti si collocano i Paesi
dell'Africa centrale e occidentale, che presentano un divario enorme dai primi Paesi in classifica nel
WeWorld Index. Nell'Africa Sub-sahariana sono ancora deboli le performance relative agli indicatori inerenti la salute, l'accesso all'acqua e all'educazione di qualità, anche se non si può più parlare, come venti anni fa, di un continente immobile. Cominciano ad accentuarsi le differenze tra i distinti Paesi africani sugli aspetti peculiari dei diritti delle donne (partecipazione politica ed economica), la creazione di capitale umano e l'accesso alle informazioni.