Chiara ScattoneNei quartieri romani Boccea e Primavalle, i cittadini sono arrabbiati. Per la strada, alcuni cartelloni invitano, senza troppi giri di parole, i rom ad andarsene dalla città. Matteo Salvini ha dichiarato: "Prima la galera e poi la ruspa, per chi campa alle spalle del prossimo. I maledetti campi rom vanno rasi al suolo". Mentre il sindaco della città dei 7 colli, Ignazio Marino, che in quei giorni si trovava in America, ha cercato di smorzare le polemiche e riportare tutti verso toni più civili, dichiarando che "Roma é pronta a vincere questa sfida civile e culturale". Seppur sia necessario evitare le troppo facili strumentalizzazioni politiche, non si può certo negare che la vox populi della strada e dei social network si sia furiosamente schierata in un unico senso: chi ha causato gli investimenti di via Mattia Battistini - il reato è quello di omicidio volontario secondo la Procura di Roma - deve pagare ed essere condannato. Che negli ultimi tempi, nella capitale, il rapporto con le comunità rom e sinti si sia sgretolato è sicuramente un dato certo: sempre più spesso li si vede passare muniti di passeggini vecchi o di carrelli di fortuna, uomini e donne, giovani e vecchi che, piegati in due dentro ai cassonetti dell'immondizia, cercano qualcosa di ancora utile, aiutandosi con un filo di ferro ritorto. Inoltre, troppo spesso i giornali danno notizie con titoli e articoli a 'schema fisso', generici e pericolosi, poiché tendenti ad accomunare fatti spesso diversi o, talvolta, addirittura opposti, raccontando di aggressioni a scopo di furto a danno di comuni cittadini, o turisti stranieri in visita nella città eterna. Chi frequenta abitualmente metropolitane e trenini urbani, frequentemente incontra piccoli gruppi di adolescenti che chiedono il 'pizzo' alle macchinette delle biglietterie automatiche, o che aspettano appostati sulle porte scorrevoli dei vagoni per approfittare della distrazione dei passanti per arraffare borse, portafogli, telefoni cellulari. E non solo: certe volte il degrado è tale che diventa facile imbattersi in donne e uomini che, senza troppi scrupoli, si accucciano negli ascensori (sempre troppo spesso non funzionanti) o negli angoli delle stazioni per espletare le proprie necessità fisiologiche. Oltre alle aggressioni e agli 'scippi' nelle metropolitane e sui treni, ai rom vengono attribuiti anche i furti di rame dalle linee ferroviarie nei dintorni di Roma, causando il 'black out' dei semafori e di parte dell'illuminazione urbana. Tutto questo è vero: non ci sono dubbi. Ma è altrettanto vero che, dalle statistiche pubblicate dalla Questura di Roma, tra il 2013 e il 2014 i reati sarebbero in diminuzione. E che non siamo affatto di fronte a un 'allarme rom', o a un'invasione da parte delle popolazioni romanì. Al contrario, solo lo 0,25% del totale della minoranza rom e sinti presente in Europa risiede qui da noi: circa 180 mila persone contro i 6 milioni dell'intera Unione europea. Di questi, solo il 3% è effettivamente nomade e solamente 40 mila vivono ancora nei campi. Insomma, i rom italiani (il 50% ha la cittadinanza della Repubblica italiana) sono una minoranza assai ridotta. E, soprattutto, sono tra le popolazioni più 'maltrattate': l'Italia gode del primato, non certamente meritevole tra gli Stati dell'Unione europea, per il suo miope e ostinato ricorso a politiche discriminatorie e segregative. Perché, dunque, attribuire ai rom e ai sinti i malesseri più profondi della nostra società? Forse, perché il senso di impunità per molti piccoli fatti di cronaca quotidiana contribuiscono ad alimentare la percezione di una sorta di ingiustizia collettiva, in cui ai rom sembra esser permesso di poter continuare a mantenere atteggiamenti sprezzanti nei riguardi della convivenza sociale. Insomma, il problema sembrerebbe essere maggiormente legato al disagio che la loro presenza trasmette, per una sorta di mancato adeguamento a comportamenti socialmente condivisi. La folle brutalità con cui è stato seminato il panico in via Mattia Battistini la sera del 27 maggio ultimo scorso da tre minorenni rom, ha dunque scavato un divario tra coloro che accettano e subiscono le regole e le leggi civili e nazionali e chi sembra, apparentemente, esserne impermeabile o indifferente. La richiesta che giunge da più parti è perciò una sola: giustizia. E la certezza della pena, a cui spesso alcuni riescono a sfuggire attraverso le maglie di una giustizia 'colabrodo', manifesta per prima la difficoltà a superare e a comprendere quei vincoli tradizionali, familiari o della singola comunità di appartenenza, chiusi e refrattari nei confronti degli 'altri'.



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