"Boris Becker non brilla per fascino. Si è tentati di dire lo stesso della figlia...". Questo commento così poco lusinghiero è apparso nelle scorse settimane in una didascalia fotografica di un noto settimanale femminile italiano. Lo ha fatto notare una lettrice, che ha scritto indignata alla testata. Ma ciò che più ci ha sconcertati è stata la risposta della redazione: "Quando si parla di celebrità capita di fare qualche critica pungente: è una specie di gioco, ma non abbiamo considerato che si trattava di una ragazzina. Siamo assolutamente contrarie alla dittatura dei canoni estetici...". Una frase che 'ragionata' un po', lascia intendere che se Anna Hermakova Becker avesse una decina di anni in più, il problema non si sarebbe sollevato. Tutto ciò è stato scritto da una donna, in una redazione composta tutta da donne. E dimostra con quanta superficialità ci si esprima nel quotidiano. Per anni, le femministe hanno lottato contro il concetto, da trogloditi maschilisti, di 'donna-oggetto'. Ma qui la contrapposizione maschio-femmina viene superata da qualcosa di più sottile. Il male, se così possiamo definirlo, non è là fuori. Come citava un noto libro sul femmincidio: "Il nemico ha le chiavi di casa". Solo che qui, la casa siamo noi, che con i nostri giudizi ci condizioniamo tutti e tutte vicendevolmente. Dobbiamo essere belli, sani, giovani. Un rimbecillimento di massa che ci acceca e ci porta a desiderare di essere ciò che non siamo. In questo numero, abbiamo deciso di parlare di donne. Ci direte: allora cosa c'entra tutto questo? Ebbene, noi pensiamo che la parità di genere sia innanzitutto una questione di rispetto verso il prossimo; comprensione che diventa accettazione e poi inclusione. Ma se non riusciamo ad accettare noi stessi per i nostri difetti, i limiti oggettivi, come possiamo anche solo immaginare di essere 'aperti' verso gli altri? Riteniamo che l'oggetto del desiderio di questa società, che amiamo definire moderna, non sia raggiungere degli obiettivi, bensì abbattere dei recinti. L'ostacolo non è all'orizzonte, ma molto vicino. E noi siamo il primo gradino nel quale inciampiamo, troppo spesso inconsapevolmente.
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