Serena Di GiovanniSull'attentato parigino tanti quesiti, ma poche risposte. Partiamo dal primo, il più evidente, che pone seri dubbi sull'efficienza dell'intelligence parigina o, in alternativa, sulla natura stessa dell'attentato e sul reale movente. Viene immediatamente da chiedersi, infatti, per quale motivo un obiettivo talmente sensibile risultasse così debolmente protetto. È risaputo che i servizi francesi siano fra i migliori al mondo. Eppure, in questo caso, si sono fatti 'fregare' da tre ragazzi armati di kalashnikov, reduci dalle guerre mediorientali. Un semplice errore? Com'è potuto accadere? Veniamo alle armi utilizzate dai terroristi: dove e come se le sono procurate? Secondo quanto ricostruito dai giornali e dagli inquirenti, gli attentatori, durante la loro azione terroristica, hanno commesso numerosi errori 'da recluta', come intrecciarsi sulle rispettive traiettorie di tiro durante la ritirata, o sbagliare indirizzo al primo colpo. Cosa significa? Ancora: i due presunti autori, stando alle biografie, dovrebbero appartenere a quel mondo creato 'ad hoc' dai servizi segreti occidentali, compresi quelli francesi, che hanno finanziato, armato e addestrato in Libia nel 2011. Gruppi islamici fino a poco prima definiti terroristi, tra cui i primi nuclei del futuro Isis; che sono stati riforniti di armi attraverso una rete organizzata dalla Cia (come ricostruito da un'inchiesta del 'New York Times' del marzo 2013). Ma chi sono, realmente, questi due personaggi? Dei professionisti scelti o dei 'capri espiatori'?  Per chi lavorano? E, ancora, avete mai sentito di terroristi che, durante un attentato, si portano dietro la carta di identità, quasi a voler suggerire la loro provenienza e le loro origini, o a voler 'firmare' i loro omicidi? Un caso anche questo, o una scelta ben precisa? Perché appare abbastanza evidente che i loro passaporti, magicamente ritrovati dalle forze dell'ordine francesi, siano strettamente paragonabili ai quei documenti d'identità dei terroristi raccolti intatti, tra tonnellate e tonnellate di macerie, sotto le Torri Gemelle dopo il famoso attentato dell'11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti. Qualche dubbio emerge, altresì, circa le modalità di arresto dei terroristi. In particolare, sulle tempistiche. Perché gli attentatori avrebbero dovuto perdere tanto tempo durante la fuga? Volevano forse essere raggiunti? Infine, è ragionevole supporre che i giornalisti dell'agenzia, fuggiti sul tetto, abbiano subito telefonato alla polizia avvisando di quel che stava accadendo. Se andiamo a conteggiare il tempo necessario al completamento dell'azione, alle manovre per risalire in macchina, sostenere due scontri a fuoco a distanza di poco, fare inversione di marcia, freddare l'agente, raccattare la scarpa e tutto il resto, sono trascorsi diversi minuti (non meno di 20-25). Come mai non è 'scattato' alcun blocco della zona? Da ultimo, in attesa di altri elementi che possano chiarire la reale matrice dell'attentato in Francia, sarebbe utile chiedersi: a chi conviene realmente? Al Califfato islamico, oppure a quella parte del mondo occidentale filo-nazionalista e dell'ultradestra che intende convincere l'opinione pubblica di quanto esso sia pericoloso per la società occidentale? Non v'è dubbio che gli Stati Uniti prima, e la Francia poi, stiano cercando di metterci in guardia dalla minaccia islamica, alimentando, più o meno volontariamente, sentimenti di xenofobia e odio razziale nei confronti degli immigrati, giustificando probabili interventi bellici futuri. Staremo a vedere, anche se in questo delicato e inquietante momento in cui determinate forze occulte, oltre a costruire i loro eserciti, riescono a mettere in piedi anche i loro 'nemici', sembra prendere la forma di una nuova, terza guerra mondiale. Combattuta, oltre che con le consuete armi convenzionali, anche con gli strumenti mediatici e della pubblica informazione.


Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio