Piazza Armerina, mancano i custodi: alcuni musei restano chiusi; Agrigento, esauriti i soldi per i custodi: museo chiuso nei festivi; Bordighera, chiuso (almeno) un anno il museo colpito da una frana; museo chiuso a Rieti: non basta un custode per due sedi; Bagheria, chiude il museo Guttuso; Villa Lante muore, il museo del Sodalizio è chiuso e il sindaco cerca rassicurazioni. E si potrebbe continuare all'infinito, perché questi sono solo alcuni dei numerosi titoli di giornali che, con una semplice ricerca su google, si possono visualizzare digitando le parole 'chiusura museo'. Tutti casi più o meno noti che hanno, come minimo comun denominatore, l'incuria, la confusione e le disfunzioni generate dalla mancanza di consapevolezza da parte della classe politica nel settore della conservazione dei beni culturali. Disfunzioni dovute, in particolar modo, all'assenza di un piano di gestione centralizzato e coerente da parte dello Stato, finalizzato alla tutela e alla valorizzazione dei beni culturali. Così come di una normativa in una materia sostanzialmente confusa e manipolabile.
L'ASSENZA DI PERSONALE SPECIALIZZATOCosì accade che in Sicilia diversi musei e siti archeologici di assoluto rilievo rimangano chiusi al pubblico per l'assenza di personale di vigilanza. Fra questi, il clamoroso caso del museo di Mazara del Vallo, che ospita il celebre Satiro, ha dato modo di riflettere a lungo sulla reale fruibilità dei siti di interesse storico-artistico e culturale italiani, messa a dura prova dall'assenza di fondi, dalla 'spending review' e dalla mancanza di personale specializzato. Come, fondamentalmente, dalle inadempienze degli enti pubblici preposti alla tutela, i quali, essendo sempre più deficitari e dissestati, non riescono a garantire l'applicazione di misure manutentive, mettendo in crisi la conservazione del nostro patrimonio. Un 'gap' che, come Salvatore Settis ha fatto più volte rilevare, costa allo Stato ben 3,5 miliardi di euro l'anno e che si situa alla radice di alcune politiche culturali 'deviate' e potenzialmente pericolose.
IL CASO 'THE HIDDEN TREASURE OF ROME'Come quella che, qualche tempo fa, a Roma, il sindaco Ignazio Marino ha annunciato entusiasta sul suo blog personale: la sottoscrizione con l'amministratore delegato e direttore generale di Enel, Francesco Starace, di un protocollo d'intesa per l'estensione a tutto il Gruppo Enel del progetto 'The Hidden Treasure of Rome', avviato l'anno scorso per la valorizzazione all'estero del patrimonio artistico e culturale dei musei capitolini. Per rilanciare l'immagine di Roma attraverso le sue bellezze storiche e artistiche, la capitale avrebbe deciso di coinvolgere i 'ricercatori di musei e università tra le più prestigiose del Nord America e di tanti altri Paesi del mondo. Una vasta scelta di oggetti archeologici inediti lasceranno per la prima volta i magazzini e saranno portati all'estero, dove all'interno delle università e dei musei saranno oggetto di accurati programmi di ricerca ed analisi, per poi essere restituiti alla città, classificati e catalogati, pronti per essere inseriti in importanti progetti espositivi e culturali'. Il tutto, secondo il sindaco Ignazio Marino, a 'costo zero'. All'iniziativa hanno fatto seguito le proteste degli archeologi e storici dell'arte italiani che, il 27 novembre scorso, sono scesi in piazza del Campidoglio per manifestare contro il protocollo. Con l'occasione, una delegazione del M5S ha incontrato l'assessore alla cultura del comune di Roma, Giovanna Marinelli, il Sovraintendente capitolino, Claudio Parisi Presicce e il capo di Gabinetto del Sindaco, il consigliere Luigi Fucito, per fare luce sulla questione. Da questo colloquio sarebbe emerso come il 75% del finanziamento dell'Enel, sponsor dell'operazione, verrà con ogni probabilità destinato al restauro delle sculture della Sala dell'imperatore, mentre la restante parte sarà utilizzata per il trasferimento dei reperti. E, cosa ben più grave, che la scelta delle università del Missouri e dell'Oklahoma non sia stata ad appannaggio della sovraintendenza, come tutti ci aspetteremmo, ma della stessa Enel, sulla base degli interessi privati dell'azienda. Una situazione piuttosto incresciosa e, al solito, ambigua, che ha convinto Claudia Mannino e Chiara Di Benedetto del Movimento 5 Stelle ad aprire ben due interrogazioni parlamentari a risposta scritta: la prima, datata 17 novembre 2014 e rivolta al ministro del Mibact Dario Franceschini, per sapere se il protocollo ha ricevuto tutte le dovute autorizzazioni, assicurazioni e garanzie; la seconda, del 20 novembre 2014, indirizzata al presidente del Consiglio dei ministri e al ministro dell'Economia e delle Finanze, per comprendere le motivazioni di un simile investimento, che esclude le Università italiane a vantaggio di quelle statunitensi. In quest'ultima interrogazione (4/06974), in particolare, si legge che "l'Enel - società per azioni partecipata dal Tesoro - investe a oggi centomila euro per sostenere economicamente un'operazione di valorizzazione di beni archeologici e artistici, attualmente custoditi nel magazzino dell'Antiquarium di Roma. I reperti erano in mostra in un museo che, dal 1939, è chiuso per inagibilità; quella che appare una lodevole iniziativa - di cui dà notizia anche il Corriere della sera dell'11 novembre 2014, nell'articolo significativamente intitolato 'Il giro del mondo dei tesori nascosti' - in realtà è uno schiaffo in pieno viso ai giovani talenti italiani; gli interroganti - evidentemente - ritengono ben possibile la circostanza che i docenti e studiosi delle Università del Missouri o dell'Oklahoma siano persone di assoluta preparazione, cultura e rigore metodologico. In tal senso, gli interroganti sono certi dell'esattezza delle informazioni fornite dal 'New York Times' del 15 settembre 2014 che, legittimamente, sbandiera il progetto come un successo del sistema universitario statunitense; dalla lettura dello stesso quotidiano si apprende anche che altri 9 atenei statunitensi sono in attesa di altrettanti finanziamenti e dei reperti archeologici da studiare. Già considerevole di per sé, tenendo conto che istituti ed enti di ricerca hanno a malapena i fondi per la corrente elettrica, la cifra di 100 mila euro moltiplicato per 9 diventa considerevole; tuttavia, la conoscenza del patrimonio archeologico trova nelle università e negli enti di ricerca italiani punte di eccellenza non paragonabili a quelle di altri atenei europei o statunitensi;_tanto più che risulta dal sito ufficiale dell'Università del Missouri che la medesima ha indetto un bando per manifestazione d'interesse per un posto di professore di archeologia per il periodo 2015/2018". L'iniziativa dell'Enel e di Roma Capitale, dunque, oltre a lanciare una serie di segnali negativi che sembrano andare verso un graduale e progressivo disinvestimento sui beni culturali e verso la delocalizzazione e il decentramento di competenze e funzioni proprie delle soprintendenze statali, propone lo smembramento dei materiali e la loro dispersione in diverse sedi. Rendendo, di fatto, impossibile studiare e ricostruire i contesti di provenienza dei reperti stessi e ostacolando gli studi degli specialisti italiani. Ma ben più grave risulta essere la mancanza di chiarezza sugli standard secondo i quali i reperti saranno catalogati e sull'eventuale coinvolgimento dell'Istituto centrale per il catalogo e la documentazione, preposto alla emanazione degli standard catalografici fin dal 1975. O, ancora, l'accusa mossa contro Enel di aver erogato 100 mila euro all'università del Missouri corrispondendo tuttavia pagamenti irrisori agli archeologi professionisti che prestano assistenza scientifica nei cantieri dell'azienda.
IL BANDO DELLA SOVRINTENDENZA CAPITOLINA E IL SERVIZIO CIVILE NAZIONALE L'iniziativa promossa da Roma Capitale ed Enel sembra essere perfettamente in linea con un'altra 'trovata', piuttosto inquietante, della Sovrintendenza capitolina: la pubblicazione di un avviso pubblico "per reperire manifestazioni di interesse/proposte progettuali per lo svolgimento di servizi di volontariato da attuarsi presso musei ed aree archeologiche e monumentali di pertinenza della Sovrintendenza Capitolina", conclusosi il 1° dicembre scorso. Il bando in questione - sulla base della legge 266/1991 (Legge quadro sul volontariato), della legge 383/2000 sulle associazioni di promozione sociale, del D. lgs. n. 267 del 2000 che regola l' ordinamento degli enti locali, in particolare l'autonomia del Comuni e delle province, del D.Lgs. 42/2004, art 112, comma 8 (e non 9, come invece erroneamente riporta l'avviso pubblico) che disciplina la valorizzazione dei beni culturali di appartenenza pubblica e che prevede la possibilità che le amministrazioni pubbliche possano stipulare accordi con associazioni culturali ed enti di volontariato, nonché dell'art. 118 della Costituzione sulla sussidiarietà - affida ai 'volontari' la valorizzazione, la promozione e la fruizione di alcuni beni di carattere storico, artistico, di particolari siti monumentali, archeologici e museali romani, al fine di 'ottimizzare' le risorse della Pubblica Amministrazione. Volontari che dovranno, tra le altre cose, occuparsi di informare, orientare e accompagnare i turisti, con un rimborso spese pari a 12 euro cadauno per 'giornata di attività di 4 ore' e per un costo complessivo che varia a seconda del sito: dai 13 mila e 500 del museo Barracco, del Napoleonico, del museo Canonica, del Bilotti e della Casa Moravia ai 29 mila dell'area dell'Appia Antica (villa di Massenzio, museo delle Mura, Sepolcro degli Scipioni, Colombario di Pomponio Hylas). Ma veniamo al 'nodo' della questione: la Sovrintendenza capitolina richiede a volontari non specializzati delle mansioni che presuppongono l'assorbimento di nozioni 'specialistiche', particolarmente di didattica museale e mediazione culturale (per le quali, peraltro, esistono costosissimi master post lauream). Il tutto mettendo loro a disposizione cifre 'irrisorie', che dovrebbero coprire anche la preparazione degli operatori coinvolti. Come dire: la 'botte' piena e la 'moglie' ubriaca. Ancor più inquietante è la motivazione di tale scelta, vale a dire quella 'economica', la quale, come nel caso dell'iniziativa 'The Hidden Treasure of Rome', sembra confermare l'idea, tipicamente italiana, del 'mettiamoci una pezza', a scapito della qualità del servizio offerto. Una filosofia, quella del 'tappare i buchi', che tra l'altro risulta essere perfettamente in linea con il 'nuovo' progetto del ministro Franceschini, il quale, con il sottosegretario al lavoro Luigi Bobba, ha recentemente firmato il protocollo di intesa per l'impiego di 2000 volontari del Servizio civile nazionale per la tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. Il protocollo corrobora l'assunto, ormai consolidato, che l'Italia, diversamente da quanto dice la Costituzione, sia in realtà una Repubblica fondata sul volontariato e sullo sfruttamento delle giovani risorse, meglio se non specializzate o qualificate, in settori completamente diversi da quelli previsti dal proprio percorso di studi.
L'APPELLO DEGLI ADDETTI AI LAVORI: LA LETTERA APERTA AL MINISTRO FRANCESCHINI Il 18 novembre scorso, Patrimonio Sos ha reso nota la 'lettera aperta' indirizzata al ministro Franceschini da un gruppo di addetti ai lavori che hanno basato le loro riflessioni su alcune problematiche relative alla tutela dei beni culturali in Italia. Nel testo si sottolinea come il Codice dei Beni culturali del 2004, che avrebbe dovuto apportare miglioramenti nella gestione del patrimonio, in realtà ha, involontariamente, prodotto non pochi momenti di conflitto tra attori pubblici e privati che si occupano del nostro patrimonio, aumentando le difficoltà di dialogo tra le amministrazioni stesse. Nella lettera, inoltre, si esprimono gravi perplessità e preoccupazioni riguardo la progressiva diminuzione dei funzionari e del personale tecnico scientifico; l'insufficienza di selezione del personale tecnico (non a caso definita 'apparente'); la scarsità di fondi destinati alla cultura e alla conservazione, nonché alle necessarie pratiche di tutela; l'accentramento e l'aumento eccessivo del numero delle unità previste negli uffici di diretta collaborazione del Ministro e delle Direzioni Generali, i cui compiti, ancora non ben definiti, si sovrapporranno compromettendo lo snellimento delle procedure e dei servizi; la dipendenza dell'ISCR (Istituto superiore per la conservazione e il restauro) dalla Direzione generale, un livello dirigenziale definito "inferiore anche alla Galleria Borghese"; la trasformazione delle Direzioni regionali in Segretariati regionali, con a capo dirigenti di seconda fascia, dai compiti non ancora definiti; la 'Norma Giusta' che, allo scopo di evitare 'soprusi' da parte dei Soprintendenti, prevede il ricorso a una Commissione costituita da personale dirigente del Mibact, già in difficoltà per l'esiguità di strumentazione e organico preposto. Commissione che avrebbe inoltre la facoltà di proporre l'avocazione degli atti di competenza dei Soprintendenti ai competenti Direttori generali centrali; il condizionamento delle Soprintendenze da parte del Segretario regionale, che ne esercita il controllo delle risorse umane e sembrerebbe arrogarsi il potere di avocazione degli atti di competenza dei Soprintendenti; la pesantezza del ruolo assunto dalle 'Commissioni regionali' (verifica e dichiarazione di interesse culturale, tutele indiretta e prescrizioni, interventi di demolizione, beni paesaggistici) che si collocano fra Soprintendenze e Segretariati regionali e relativo appesantimento dei procedimenti; le scelte poco comprensibili nella selezione dei Musei ritenuti 'di rilevante interesse nazionale' e, quindi, dotati di autonomia speciale; infine, la mancanza di autonomia nella gestione dei musei 'minori' che, isolati da quelli maggiori, potrebbero restare senza risorse adeguate e senza progetti. Nel testo si sottolinea anche il ruolo fondamentale delle Soprintendenze, gli organi dello Stato preposti alla tutela che, pur dovendo essere profondamente riorganizzate, poiché carenti nella loro azione, hanno fino ad oggi garantito la difesa del nostro Patrimonio. Un compito complesso in un Paese dalle forti spinte individualiste e speculative, difficilmente contrastabili dalle autonomie locali, che spesso concedono evasioni e condoni dai quali il nostro patrimonio paesaggistico è duramente colpito.
LA LETTERA DEL DIRETTORE DELL'ISCR AL SEGRETARIATO GENERALE Il Direttore dell'Istituto superiore per la conservazione e il restauro, Gisella Capponi, ha scritto di recente una missiva al Segretario generale, Antonella Pasqua Recchia, per segnalare la gravissima situazione in cui versa l'Istituto per la carenza di personale amministrativo e, in particolare, per l'assenza di un Direttore amministrativo. Come è noto, l'istituto, un'eccellenza italiana che ha contribuito, dall'epoca di Cesare Brandi, a diffondere il restauro nel mondo, si esplica su settori diversificati che implicano, a livello amministrativo, l'adozione di procedure che richiedono approfondimenti specifici. A questo difficile contesto si aggiungono l'amarezza di vedere l'Istituto sempre più privato di risorse e, recentemente, anche dell'attività all'estero che dal 2015 sarà gestita direttamente dal Segretariato ipotizzando il coinvolgimento di altri istituti.
TUTELA E MARKETING: IL CASO DELLA MOSTRA 'DA CIMABUE A MORANDI'Parlando di tutela, non possiamo non considerare la notizia, pubblicata qualche giorno fa su tutti i principali giornali, dell'appello promosso il 1° dicembre scorso dall'Associazione 'Italia Nostra' contro la mostra 'Da Cimabue a Morandi', giudicata "priva di alcun disegno storico e della benché minima motivazione scientifica, un insulto alle opere, trattate da soprammobili; all'intelligenza del pubblico; alla memoria di Longhi e di Arcangeli - e naturalmente un attacco ai musei, con la colpevole connivenza di chi li dirige". Dedicata a Roberto Longhi e a Francesco Arcangeli, nonché curata da Vittorio Sgarbi, la mostra in questione, in palazzo Fava a Bologna a partire dal 14 febbraio 2015, dovrebbe proporre una scelta di 'capolavori' di proprietà della Pinacoteca nazionale, dei musei e delle chiese cittadine, tra le quali la Santa Cecilia di Raffaello e la Maestà di Cimabue. Il tutto in tempi ristrettissimi e non rispettando i sei mesi che il Ministero pretende in questi casi. Nell'appello, sottoscritto da diversi storici dell'arte italiani, ci si rivolge al ministro Franceschini e ai funzionari preposti alla tutela del patrimonio culturale emiliano (nella fattispecie al Soprintendente Bsa di Modena e Reggio Emilia, Luigi Ficacci) al fine di impedire il prestito di dipinti 'importanti' e di 'alto valore identitario' per le sedi che li detengono.