Di sesso si parla di continuo, in tutte le declinazioni: lei, lui, l'altra; i tradimenti, le trasgressioni, le medie stimate (annualmente, mensilmente, settimanalmente e - oddio! - quotidianamente). Una pressione mediatica che ci vorrebbe tutti giovani, belli e, di conseguenza, 'scopabili'. E se non rientri nei criteri stabiliti (da chi?) è finita: sei merce avariata. Ti salvi giusto un pochino se quei pochi neuroni, sopravvissuti a un'adolescenza brufolosa e in sovrappeso, ti restituiscono qualche soddisfazione intellettual-professionale. Ma chi vuole sentirsi amato perché è intelligente? Chi risponde di sì mente. Consapevolmente o incosciamente, dice una grossa bugia. Il condizionamento culturale è troppo radicato in noi, dall'educazione e dagli atteggiamenti di chi ci ha cresciuti, o ci sta a fianco nella vita. Per esempio, io, da bambina, ogni estate mi scottavo la schiena (ustioni con febbre alta). E questa cosa in mia madre suscitava ogni anno una rabbiosa frustrazione, che la autorizzava ad apostrofarmi crudelmente con frasi del tipo: "Se lo prendevi sulla pancia tutto quel sole, almeno perdevi qualche chilo". Vi assicuro che la mia mamma è buona e mi vuole bene, ma anche lei è figlia dei condizionamenti culturali di cui accennavo prima. Rassegnarsi a essere percepiti per come appariamo è già un bel problema. Ma l'ulteriore stigmatizzazione di dover rendere conto delle nostre scelte sessuali, persino anche quando decidiamo di non praticare sesso, ha dell'assurdo. Papa Francesco l'ha detto in un modo molto gentile, riferendosi alla scelta omosessuale: "Chi sono io per giudicare"? Che per chi non avesse ben compreso significa: "Ma tu chi ti credi di essere"?
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(articolo tratto dalla rivista sfogliabile 'Periodico italiano magazine')