Gaetano Massimo MacrìLa grande abbuffata è terminata. Per oltre un mese, ci siamo nutriti di palchi da sgombrare in fretta, microfoni distorcenti, voci impostate, battute incomprensibili, comprensibili risate e riflessioni ponderate. E ancora: moscerini fastidiosi, piogge battenti e spettacoli impertinenti, che altre volte sono stati emozionanti, scorrevoli, crudi, di spessore, ottimi lavori. Cantati, mimati, dell’assurdo, in inglese, in dialetto reale o inventato. In altre parole: è stato teatro. Quello del ‘Fringe’. Quello ‘off’, libero e indipendente. E il pubblico? Variegato: dall’appassionato al curioso, ha espresso un feedback positivo, in cui abbiamo rinvenuto frasi e circostanze tra le più assurde. Nel piccolo polmone verde di villa Mercede, a parte l’interesse generale e il grande successo di visitatori, opposti che in un ‘vero’ teatro non ti aspetti, il pubblico è stato il ‘protagonista in sordina’ del festival. Nella mescolanza-contaminazione artistica e popolare, qualcos'altro ha dunque attirato la nostra attenzione. Qualcosa che non era sul palco, che non faceva parte del lato teatrale dell’evento. Oltre il sipario, giù in platea, dietro le quinte, tra i bancarellari, lungo i sentieri battuti della villa del Fringe romano, tanto è accaduto. Noi eravamo là, testimoni diretti, il più delle volte casuali, di fatti, pensieri e costumanze che vogliamo raccontare: bisogna conoscere il Fringe ‘oltre’ il Fringe stesso. Il teatro ‘oltre’ il teatro. Perché il lato ufficiale è sempre quello noto, ma quell’altro non ve lo racconta mai nessuno. Il festival è stato splendido, sia chiaro. Il teatro ‘off’ ha vinto. Ora, però, mettetevi comodi per l’altro spettacolo. Il biglietto, in questo caso, ve lo offriamo noi, ovvero: la gente accorsa, voi, noi, gli attori, il teatro ‘oltre’ se stesso. Allora, si alzi il sipario e si varchi pure la soglia d’entrata. Arrivare a villa Mercede e prender parte alla ‘festa’ - pensiero di un artista in gara - è come ritrovarsi dentro a un multisala ancora analogico, fatto di persone reali. Definizione calzante, ma non solo: un multisala ha un prezzo relativamente alto per il biglietto di ingresso, che si paga. Al Fringe, invece, l’entrata è gratuita e l’accesso ai palchi decisamente contenuto. Oltre questo, però... Giungiamo al palco A, il ‘mitico’ palco A: quello più grande, riservato alla finale. Talmente grande che lo spettacolo lo puoi vedere anche da fuori. Senza pagare il prezzo del biglietto: 5 euro. I figli di ‘madre scroccona’, guarda un po’, sono già lì, seduti sulle panchine oltre il teatro, nella penombra. Pazienza se poi lo spettacolo inizia e loro buttano uno sguardo a debita distanza. I controllori? Ahimè, chi è andato oltre sono stati anche i ‘guardiani’ del Fringe, che si sono fatti in quattro per più di un mese, per un totale di 210 ore in media (il calcolo è davvero approssimativo, da correggere per eccesso di difetto). Grandissimo impegno. Piuttosto che organizzarsi - riflettiamo - dovrebbero richiedere il dono miracoloso della bilocazione. Come nel caso di quella signora che, una sera, spunta dall’ombra, tra quei ‘debitori insolventi’. Un attimo prima la scorgiamo sul lato opposto a passeggiare tra gli alberi, sempre oltre l’area del palco. Volge un occhio vago allo spettacolo, uno attento al terreno che, al buio, la rende insicura. Un attimo dopo, eccola dall’altra parte, a confessarci meglio le sue insicurezze alla luce della luna (sarà per l’influsso dell’astro?). Per caso ha scoperto che in villa si recita. Quella visione ha risvegliato in lei i ricordi di gioventù, di quando era incerta se intraprendere la carriera artistica o meno. D’accordo, ma anche l’amarcord qui si paga, facciamo notare noi. Lo sa bene, ci mancherebbe altro, infatti non è mica seduta come quegli altri al buio sulle panchine, fa notare lei. I guardiani! Aiuto! Chiediamo il miracolo! Dove siete?! Chi paga sul serio, a parte il pubblico di devoti o curiosi onesti, sono ovviamente anche gli amici, gli amici degli amici e gli immancabili parenti con il clap clap da ovazione finale. Non sempre si tratta di sussidiarietà artistico-familiare. Alle volte è una vera costrizione, una tassa imposta. È un giovedì, si inaugura il mondiale in Brasile. Brasile-Croazia, l'esito è abbastanza certo. Al contrario, quello del Fringe, a rischio pioggia. La gente del festival è là. Organizzatori, attori, truccatori e maestranze del primo spettacolo. "Io faccio pagà pure mi' sorella…", dice un'attrice alle prese col ‘trucco e parrucco’, leggermente tesa prima della ‘prima’. Ognuno invita chi può. Se non altro, per respirare l'aria di casa al debutto. E c'è chi i colori di casa se li dipinge sul volto. Come una brasiliana in attesa della prima partita della sua Seleçao. Mentre, un brasiliano più 'variopinto', un trans per intenderci - lungi dal proferire giudizi, anzi, Dio ce ne scampi e liberi - confonde la nostra Nikon per quella di un fotografo professionista, avanzando richiesta di scattargli alcune istantanee. Inutile spiegargli la verità. La foto ricordo, ovviamente, gliela facciamo, assieme agli amici e parenti con cui si è dato appuntamento. Uno scatto di felicità, per il ritorno in Brasile. Universitari in preallarme per l’esame provano a leggere qualche pagina di testo. Poi sopraggiunge un amico, un altro ancora ed ecco che scatta il ‘fancazzismo’ al bar del palco B. Si ciarla in vista delle vacanze, in prospettiva di una tesi o semplicemente sul che fare stasera. Ma come?, Siete qui, avete 9 spettacoli da scegliere a breve! Nulla, non ne sanno nulla! E non ne vogliono sapere nulla. All’entrata ci sarebbe un box informazioni che… Va beh, anche dopo essere stati edotti, gli studenti continuano le loro elucubrazioni. Gli sfila davanti il teatro, ma ormai sono già molto oltre. E quella tizia che pare sbandata, apparentemente drogata, alla Janis Joplin, che sta loro a fianco, non suscita neppure curiosità, o peggio sdegno. Ironicamente, notiamo che si tratta di “Jansi, la Janis sbagliata” (uno degli spettacoli in scena). Evidentemente, mai titolo fu più azzeccato. Il Fringe, prima che inizi il Fringe, è ancora Villa Mercede: un luogo di incontri, saluti e scambi di parole. Il teatro è solo l’illusione di una magia, percepita da coloro che qui sanno cosa c'è. Un viavai di gente sta lì prima, solo per leggere un libro, studiare o semplicemente distrarsi. Mano a mano che l'orario per andare in scena si avvicina, lentamente prende forma il vero Fringe. La villa è sempre la stessa, ma si trasforma nel teatro del teatro indipendente. Sul palco, come è naturale, i primi a sgambettare sono i tecnici, che il più delle volte andranno anche oltre se stessi: direttore e tecnico di tutto ciò che serve. Lontano dai palchi, intanto, una Marylin si sta truccando senza truccatore e, sempre per risparmiare, invoca: "A ma', che mi vai a prendere un caffè?". Il suo Kennedy non è ancora pronto, o glielo porterebbe lui, magari con una spruzzatina di Chanel n.5. 'So' ragazzi...'. Hanno bisogno di zuccheri per tirarsi su. A proposito, seduta a vedere lo spettacolo di Marylin, una ragazzina interagisce col cellulare. Apre un messaggio di un certo 'Zuccherello': "Dove sei?". Risposta: "So c... tua?.". Capito, no? Di gente venuta a teatro per non vedere il teatro ne intercettiamo parecchia: la palma d'oro la assegniamo sicuramente a una coppia, un lui distinto, sulla cinquantina. Lei più giovane e molto avvenente. Quasi impossibile non notarli. Ci sediamo nel buio del palco B. Si allestisce la scena per lo shakespeariano ‘Dov'è Desdemona’? A breve entrerà sul palco la gelosia. Gli unici presenti in quel momento siamo noi e i tecnici ‘sgambettatori’. A un certo punto, si leva dal fondo una voce femminile: un duro rimprovero viene mosso a un uomo. Lì per lì, il sospetto che si tratti di attori intenti a provare battute prende il sopravvento. D’altronde, il tema c’è tutto. Poi, quel “dammi le chiavi, ti lascio qui” ci costringe a voltare lo sguardo. La coppia distinta: incredibile, qualcuno riesce sempre a penetrare in platea, oltre la biglietteria. I guardiani! Ah! La bilocazione! Chi l’avrebbe mai detto: quei due sembravano Albano e Romina dei primi tempi. Probabilmente, li abbiamo incontrati nella fase successiva della separazione. Sta di fatto che mettono in scena un melodramma della gelosia che forse neppure Shakespeare... Ma il pezzo forte accade quando entrano davvero i protagonisti sul palco. Per un attimo, le voci di gelosia dal fondo fanno da eco all’entrata di Otello. Poi, come per incanto, la coppia si alza, interrompendo la lite. E con aria di assoluto rispetto, si siede in prima fila. Magia del teatro. Essere o non essere? Il dilemma lasciamolo a Shakespeare. A proposito di dilemmi, eccone uno ben più terra terra. Lo abbiamo toccato nostra manu. Vorremmo chiedere ai ragazzi del bar: “Ma la birra che prezzo ha”? No, perché per noi ‘assidui frequentatori’ del Fringe, circolava la voce di uno sconto. Di quanto non si sa, ma c’è. Il prezzo al bicchiere, tuttavia, oscilla come l’indice Mibtel. Non curanti della cosa, ovviamente, frequentiamo sempre il luogo, come attratti da un ‘serpente’ tentatore. Il bar si chiama così: nomen omen, dicevano i latini. Oltre queste nostre incertezze, ci sono quelle altrui. Alcuni attori ci chiedono informazioni sul voto: quanto vale quello della giuria? E quello popolare? Come avviene il passaggio del turno? Come rispondere a chi pretende di giudicare, senza alcun titolo, il mestiere degli altri? Basta chiedere a chi di dovere. Noi - ci appropriamo di una definizione altrui - siamo solo “i periodici”, nel senso che ciclicamente ci ritroviamo all’appuntamento ‘fringiano’, ma non per questo siamo i ‘baby sitter’ degli artisti. Che pure ne avrebbero bisogno. Di qualcuno che li prenda per mano, sul palco e anche oltre. Per mano si dovrebbero prendere anche alcuni spettatori. All’uscita di uno spettacolo non sempre capiscono il significato di quel che hanno visto: “Senti, ma tu c'hai capito qualcosa?” chiede una signora all'amica. L’età che dimostrano è quella di chi si è innamorata per la prima volta con ‘Vola colomba’ di Nilla Pizzi. Altri tempi, altra sensibilità. Infatti, la risposta è la seguente: “Mah, sinceramente no. Però mi è piaciuto molto. Sì, sì: devo dire che è stato davvero bello”. E l’altra: "Eh, si! Io volevo pure votarlo, ma non ho capito bene se ho votato oppure no”. Ah, il voto! Per alcuni è un vero ‘rebus’, per gli organizzatori è tutto molto semplice. Per noi che ci siamo sorbiti la spiegazione all’inizio e alla fine di ogni spettacolo è una pappardella imparata a memoria. Siamo in grado di replicare anche lo stile di ognuno dei ragazzi che lo declamano. C'è chi lo fa sobrio: “Vi ricordo, che se volete esprimere un giudizio ‘ottimo’...”; chi ‘incazzoso’, da pitbull teutonico: “Il Fringe è un ‘contest’: dovete votare”; poi c’è la ‘sensibile’: “Se vi è piaciuto ‘tanto tanto tanto’ allora staccate tutte le ‘lineette’ del vostro bellissimo biglietto”; infine, il ‘burocrate’: “Quindi riponete il biglietto nell’apposito contenitore, grazie”. E dopo il voto? Che fare oltre? Qualcuno soddisfa il palato. Per i più raffinati il ‘must’ è la piadina con la zucca giapponese di Hokkaido: un pezzo di Romagna che incontra il Sol Levante al Fringe romano. Questa è vera cucina ‘off’: Altro che teatro dell'assurdo. Per i pensieri, quelli sì assurdi, volendo c'è lei, la cartomante. È piazzata col suo bel tavolinetto proprio di fronte alla statua di una Madonna. Misteri che non riusciamo a spiegare: ogni qual volta ci avviciniamo per interrogarla (giornalisticamente parlando, si intende), è impegnata in un consulto. Rimane un viso iconografico e muto, di grande successo, a quanto pare. Chissà cosa ne pensa la ‘Madonnina’ dirimpettaia. Muta, certo, anche lei, chiusa nel grottino, invisibile ai più. Sacro e profano si mescolano in una sfida che non sembra avere tempo. Anche sul palco si rievocano questi ‘antipodi’: divinità greche adorate si burlano degli uomini come ne ‘Il folle e il divino’, di Cristiano Vaccaro. Poi, dopo l’incanto del sacro, il profano la vince. Finita la rappresentazione, qualcuno manifesta la sua contentezza. Finalmente, dopo giorni di prove e repliche, si torna a casa. Chi dalla famiglia, chi dal partner per una sana... Si, avete capito benissimo. "Basta, sono stremata. Stasera vado alla stazione Tiburtina, prendo l'ultimo treno. Non vedo l'ora. C'ho proprio bisogno di una...". Insomma, oltre il palco, ogni attore è una persona in carne e ossa, coi suoi bisogni naturali e i suoi vizi. Ci mancherebbe pure. Bisogna dar spago anche al piacere. Non esiste solo la sofferenza. Anche se uno degli artisti premiati in finale sottolinea, convinto, che “dove c'è dolore là debba esserci anche il teatro”. “Sì, un teatro ‘de guera’…” si commenta in platea. A proposito della finale, qualcuno sbuffa: “Ma quanti premi danno”? Probabilmente, c’è l'impazienza di conoscere subito il vincitore. La tensione è più sentita nei protagonisti diretti. Attimi prima dell’apertura della busta indicante il “the winner is...”. Cerchiamo di rubare una battuta al volo a un attore: “Che ne pensi? Chi vincerà”? “Eh?! Ma che c...ne so”? Nervi a dura prova. I nostri compresi. Attimi, però e già veniamo riconosciuti, baci e abbracci stemperano il clima. Questi ragazzi sono veramente ‘off’, pensiamo col sorriso. Alla fine, siamo fieri di aver partecipato e di aver portato a casa la maglia del ‘Fringe’ con il logo. Pagata ovviamente senza sconto. Il prezzo, lo abbiamo capito alla fine, anche lui è stato ‘off’. Indipendente. Usciamo da villa Mercede. Qualcuno, varcando i suoi cancelli, esclama un “Macchessemovenutiaffà”? “A magná 'na cosa, Augù”. “Sì, ma er teatro”? “Quello era troppo caro”. Roma, in questo, è sempre un naturale teatro dell’improvvisazione: uno spettacolo nello spettacolo. Al prossimo ‘Fringe’.


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