Serena Di GiovanniDopo il grande successo degli anni precedenti, dal 7 giugno al 13 luglio 2014  si svolgerà nella capitale la terza edizione del Roma Fringe Festival, la grande kermesse italiana del teatro indipendente che ospiterà quasi 100 proposte artistiche nazionali e internazionali, tutte rigorosamente dal vivo

Lo amano, lo fanno, lo promuovono. Sembra quasi un’eresia in un contesto, quello italiano, nel quale si continua a dire che "con la cultura non si mangia". Eppure, di cultura gli italiani sono affamati. Lo provano le trentacinquemila presenze registrate al Roma Fringe Festival lo scorso anno. E lo può sottoscrivere la squadra di lavoro under 35 che da mesi lavora alla realizzazione di questa edizione 2014 del 'Roma Fringe Festival', che ospiterà settantadue compagnie teatrali provenienti da Italia, Belgio, Inghilterra, Francia e Stati Uniti e decine di ‘stand up comedians’ autoprodotte. Nel corso del festival diversi generi, che spaziano dal Teatro-canzone alla commedia, dal dramma al Teatro-civile, dalla danza alla Stand up Comedy, si avvicenderanno all’insegna della libertà e dell’indipendenza artistica. Il tutto, in un contesto creativo, caratterizzato dal mercatino regionale biologico (con stand dedicati al vintage) e da numerosi eventi collaterali, compresa la visione delle partite dei mondiali in Brasile. Ne parliamo con Davide Ambrogi, organizzatore, ideatore e direttore artistico del festival romano.

Davide Ambrogi, quali sono le novità di questa edizione del Roma Fringe Festival?
“Ovviamente, ogni anno cerchiamo di migliorare la nostra offerta. In questo festival, per esempio, abbiamo aggiunto la categoria ‘Stand-up comedy’. Relativamente agli obiettivi, contiamo molto sul futuro delle compagnie. Perché il nostro proposito non è soltanto quello di aiutare a mettere in scena gli spettacoli delle 72 compagnie nazionali e internazionali che si esibiranno nel corso della kermesse, ma anche quello di dare continuità al loro lavoro. E ciò sarà possibile anche grazie alla reputazione che ci siamo costruiti in questi anni. Un prestigio che ci consente di aiutare a livello artistico le compagnie più meritevoli, per cercare di dare loro un futuro. Si tratta di un impegno che non potevamo certamente promettere nei primi anni, ma che oggi è diventato possibile, poiché siamo un’entità molto concreta, che cresce e si evolve continuamente”.

Quest’anno avete previsto anche i ‘megaschermi’ per seguire le partite dei mondiali di calcio: si tratta di una contaminazione voluta?

“Partendo dal presupposto che la nostra filosofia non è quella di attrarre gli appassionati di teatro ma un pubblico più generico, abbiamo compreso che per riuscire nel nostro intento fosse necessario utilizzare delle modalità alternative. Una di queste, oltre al mercatino ‘eco’ e ‘vintage’, potrebbe essere proprio la proiezione delle partite del mondiale. Del resto, vedere uno spettacolo con il carosello dell’Italia nelle orecchie non è il massimo, sia per il pubblico, sia per le compagnie. Abbiamo quindi deciso di trasmettere le partite più importanti, per far conoscere il festival a un pubblico più vasto che, incuriosito, avrà magari voglia di tornare il giorno successivo”.

Come è avvenuta la selezione delle compagnie?
“La scelta è avvenuta tramite bando: diventa sempre più difficile scrutinare le tante compagnie, italiane e internazionali, che si presentano alla selezione. Non abbiamo nessun tipo di vincolo. Chiunque può fare un ‘Fringe’: l’importante è che prepari e presenti uno spettacolo valido”.

Come si inserisce il Roma Fringe Festival nel contesto più ampio del teatro indipendente romano, nazionale e internazionale?
“A livello internazionale, il Fringe Festival si caratterizza per l’apertura e la libertà degli spettacoli offerti. In Italia, l’unico punto in comune con le kermesse estere è dato dalla proposta di un ‘teatro a 360 gradi’, che non sia soltanto di ricerca o impegnato. La manifestazione romana si apre a tutti i generi: dal teatro-canzone al teatro di ricerca, al teatro classico fino alla performance fisica. Per ogni categoria citata, tentiamo di trarre il meglio. È, questo, l’elemento che più differenzia il Fringe dagli altri festival teatrali nazionali, dove gli spettacoli spesso rientrano in categorie ben precise. Per contro, la kermesse romana non fa altro che scattare al meglio un’istantanea dell’odierno mondo teatrale italiano. Tutto questo, tengo a ribadirlo, senza alcun limite di genere”.

Il Teatro ‘off’ nel resto del mondo è una realtà molto diffusa e con un grande seguito giovanile: quale città rappresenta il punto di riferimento per Roma?
“Londra, forse. Ma anche tanti altri piccoli centri all’estero. Perché il problema non risiede tanto nella scelta della città, quanto piuttosto nella differenza culturale che distingue il nostro Paese dal resto dell’Europa. Da questo punto di vista, l’Italia si è un po’ addormentata. È probabile che ciò dipenda anche dal nostro settore scolastico, dove spesso si studia unicamente il teatro tradizionale, quello classico. Per fare appassionare al teatro un bambino di 8 anni o un adolescente di 15 ci vuole ben altro. Per sensibilizzare i giovani alle arti in generale bisogna ‘rinfrescare’ l’intero sistema dell’istruzione. È necessario avvicinare lo studente alle diverse forme teatrali e cercare modalità di insegnamento più efficienti e interattive, come spesso avviene all’estero. Ti faccio un esempio: sono tornato da poco proprio da Londra. Lì, il ‘reading’ teatrale è completamente diverso da ciò che ci ha abituato questa definizione in Italia. Non si tratta di una semplice lettura, né di un abbozzo di spettacolo con il copione davanti, ma di uno spettacolo completo. Il ‘reading’ prevede un pubblico di conoscenti e addetti ai lavori, con i quali poi segue un dibattito su come migliorare l’offerta. E al dibattito il pubblico partecipa attivamente, con cognizione. In Europa, il teatro è spesso percepito come un laboratorio aperto a tutti: un aspetto che, purtroppo, manca in Italia. Ora che nel nostro Paese anche la grande tradizione del teatro lirico è venuta meno, non eccelliamo più in nessuna categoria. Ecco perché, oggi, il teatro italiano non può gareggiare a livello europeo”.

Non crede che, per quanto riguarda l’importanza pedagogica e culturale del teatro nella formazione giovanile, l’Italia sia piuttosto indietro rispetto ad altri Paesi?
“Sì. Ed è un peccato. Perché subliminalmente l’arte scenica insegna a vivere molto di più di un qualsiasi insegnante o genitore. Pensiamo al cinema, una sorta di ‘teatro filmato’ che incide inevitabilmente sull’educazione dei giovani. I valori veicolati dal teatro, dal cinema o dall’animazione hanno una ricaduta sulla formazione del senso civico delle persone. Questo non significa che il teatro e il cinema debbano per forza educare. Tuttavia, la potenziale funzione pedagogica di queste discipline è evidente e non va trascurata”.

Per leggere il programma del 'Roma Fringe Festival 2014 e un estratto della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' clicca QUI




(intervista tratta dal mensile cartaceo 'Periodico italiano magazine' - giugno 2014)
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