Gaetano Massimo MacrìLa notizia è di quelle che non ti aspetti. Di quelle che, lì per lì, lasciano un po’ tutti basiti: ma come è possibile? La Corte di giustizia europea afferma che eludere i blocchi nella consolle Nintendo non sia un reato. Anzi, è possibile. Anzi ancora, è un diritto del consumatore. La decisione, apparentemente assurda, dei giudici dell’Ue si basa sull’assunto in base al quale se la casa di produzione di giochi e consolle di Kyoto può inserire una forma di protezione per impedire l’utilizzo di giochi pirata, la stessa protezione impedisce al consumatore l’utilizzo di altri programmi, perfettamente legali, pur non di marca Nintendo, che dunque non può invocare alcuna protezione tecnologica per fini illeciti. In altre parole, Nintendo può salvaguardare i suoi prodotti, di cui ha il diritto d’autore, ma se per proteggerli danneggia quelli di altri autori, allora, per un principio di proporzionalità fatto valere dalla Corte, deve cedere allo ‘sblocco’. Quindi, cari ‘smanettoni’ di giochi contraffatti, siete avvisati. Già, perché la controversa decisione dei giudici europei, alla fine, se da un lato ha inteso difendere la commercializzazione di altri prodotti legali sulla consolle Nintendo, certo non sembra impedire che anche quelli illegali ci finiscano dentro. Chi controllerà che, tolte le protezioni, non si utilizzino programmi e giochi illeciti? Per rispondere alla domanda, cerchiamo di capire meglio la vicenda.

Il caso
Nintendo ha fatto causa a Pc Box, società che distribuisce sul mercato dispositivi per eludere i controlli di sicurezza della sua consolle. Secondo Nintendo lo scopo è solo quello di permettere l’utilizzo di giochi pirata. Pc Box si è difesa affermando che la casa giapponese è interessata esclusivamente a impedire l’uso di software indipendenti, che permetterebbero  la visione di film o l’ascolto di mp3. Il punto su cui ruota la questione è: siccome esiste una protezione del diritto d’autore, io (Nintendo) posso inserire un blocco a sua tutela nella mia consolle; ma, sostiene Pc Box, il vero motivo di questa scelta non è tutelarti, ma aumentare le vendite (già deficitarie, ndr) nel mercato, fatto, questo, che non rientrerebbe nella tutela invocata.  Il Tribunale di Milano, chiamato a decidere, ha rimandato il caso alla Corte di giustizia dell’ Ue. Le conclusioni dei giudici europei – senza entrare nel merito della questione - espresse per bocca dell’avvocato generale, Eleanor Sharpston, sono state le seguenti: in base alla direttiva 2001/29, agli Stati membri è accordata un’adeguata protezione contro qualunque atto che eluda il copyright. I videogiochi rientrano nella tutela della suddetta direttiva, poiché sono considerati come opere di ingegno, per cui vale il diritto d’autore. Questa, dice la Sharpston, è la direzione verso cui si è mosso il giudice nazionale e non vede motivo di procedere ad altra valutazione, pertanto sembrerebbe dare torto a Pc Box. Specifica inoltre che “le misure tecnologiche della Nintendo mi sembrano poter essere efficaci, se non al fine di impedire, almeno a quello di limitare la riproduzione non autorizzata di giochi della Nintendo, o con licenza della Nintendo”, tuttavia continua affermando che “dette misure impediscono o limitano anche atti per i quali non è necessaria l’autorizzazione (…) come l’uso di consolle Nintendo per giocare giochi diversi da quelli della Nintendo”. In tal senso, l’invocata protezione della direttiva 2001/29 sarebbe del tutto ingiustificata. Spetta però sempre al giudice di merito (il Tribunale di Milano) stabilire se Nintendo avrebbe potuto attuare misure di protezione, senza con ciò ostacolare l’uso della sua consolle per ‘altri’ giochi, perfettamente legali. La Corte insomma si auspica che si rispetti un criterio di proporzionalità, dando torto alla Nintendo quando invece ritiene solo occasionale o incidentale l’interferenza coi legittimi diritti di altri produttori. Quindi, ora tutto è rimesso nuovamente nelle mani del Tribunale di Milano, il quale dovrà tener conto di quanto affermato dai giudici di Bruxelles: le misure adottate dalla società giapponese sono o non sono proporzionate al raggiungimento dell’obiettivo di tutela  della direttiva 2001/29? Parrebbe di no, ma staremo a vedere. Infine, l’altro punto su cui lo stesso Tribunale, in base alle indicazioni della Corte, dovrà decidere è se l’utilizzo della consolle commercializzata da Pc Box, ‘modificata’ comporti un effettivo rischio di sfruttamento di giochi pirata. Di fatto, dice sempre la Sharpston, blocco e elusione sono la stessa cosa, due facce della stessa medaglia. Il giudice dovrà stabilire in termini quantitativi se le consolle di Pc Box comporteranno tali rischi di frode. In parole povere, la sentenza finale potrebbe stabilire che Nintendo applica misure troppo restrittive e sproporzionate, e pertanto debba consentire lo sblocco della consolle e che l’unico modo per ristabilire quella proporzionalità, se non ne esistono altri, sarebbe eludere i blocchi, pur consentendo così l’utilizzo di giochi pirata. A meno che non sia quantitativamente evidente (quanti usano la consolle per motivi illeciti?) che gli utenti utilizzino l’apparecchio per copie illegali. Si tratterebbe di una decisione quanto meno curiosa, che rischia di dare la spallata finale a un’azienda già considerata dagli analisti internazionali poco produttiva nel business dell’ hardware. Meno di un anno fa’, sulla celebre rivista Forbes, uscì un titolo emblematico: “Nintendo: the new Sega” (Sega era una vecchia casa di produzione di giochi e consolle ormai limitatasi a produrre terze parti). Tradotto in italiano suonerebbe male, ma viste le possibili decisioni dei giudici… Per chi volesse leggere la pronuncia della Corte, cliccare QUI.



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