Francesca BuffoIl disastro della scuola italiana è sotto gli occhi di tutti: siamo ormai pieni di laureati che non sanno scrivere, o che parlano un italiano caratterizzato da una sintassi molto debole, costituita da un ristretto numero di vocaboli. Questo disastro è stato causato dal lungo dominio democristiano dell’istruzione pubblica. A ‘confessionalizzare’ l’istruzione italiana di ogni ordine e grado provvide l’esponente democristiano Guido Gonella, assiduo frequentatore di ambulacri vaticani e ininterrottamente ministro della Pubblica istruzione dal 1946 al 1951. Circondato da un agguerrito stuolo di consulenti e coadiuvato da potentissime organizzazioni di insegnanti cattolici, egli riuscì, in qualche modo, a “legare l’avvento della democrazia postfascista ad istanze incentrate sullo sviluppo della partecipazione popolare attorno al dispiegamento della sua vocazione comunitaria e religiosa basata sulla famiglia, sui gruppi delle comunità locali e, naturalmente, sulla Chiesa”. Ma Gonella non si limitò solamente a saziare il desiderio di rivincita di ambienti decisi a disciplinare ‘otia e negotia’ di un settore particolarmente nevralgico dell’impostazione culturale, morale e civile degli italiani, bensì si impegnò a fondo al fine di rendere più proficuo, in termini moralistici, l’esercizio stesso dell’insegnamento, almanaccando una riforma della scuola media ‘unica’ attorno a criteri totalmente personalistici, che configurarono il triennio postelementare in quanto mero segmento dell’obbligo scolastico e non come un ‘raccordo’ per il proseguimento degli studi. Oltre a ciò, la scuola italiana, per interi decenni, è stata variamente inondata di testi e manuali assolutamente ‘sermoneggianti’, come per esempio i lavori di Fanciulli, Anguissola e Visentini, sponsorizzati direttamente dall’Azione cattolica, mentre nulla è stato fatto, invece, per assecondare un fondamentale istinto alla lettura dei nostri ragazzi. Anzi, la letteratura per bambini e per adolescenti, da sempre infarcita di avventurismo ‘salgariano’ per i maschietti e dal ‘vezzosismo’ di Louise M. Alcott, - l’autrice di ‘Piccole donne’ - per le femminucce, venne addirittura condannata in quanto impregnata di ideologia ‘superomistica’ (Salgari) o squisitamente ‘edonistica’ (Alcott), mentre sarebbe stato più auspicabile un tratto culturale ispirato a un esotismo a sfondo coloniale e missionario. Ed ecco allora tutto un fiorire di tentativi editoriali, come ad esempio la collana ‘Vie della sapienza’, curata da Piero Bargellini per l’editore Vallecchi o l’ingresso nella narrativa del pedagogista Luigi Volpicelli con il suo, peraltro modesto, ‘Giuffé’. L’attenzione maggiore, ribadisco, rimase concentrata sui testi di letteratura ‘coatta’, in cui venne letteralmente assassinata ogni forma di sapere eclettico e di passionalità giovanile alla lettura formativa attraverso ‘pesantissime’ antologie scolastiche – Centiloquio, Pagine aperte, Due secoli – alle quali l’instancabile Bargellini vi si dedicò nella convinzione che un semplice marchio di convalida ministeriale potesse renderle formidabili veicoli di trasmissione dei principi cristiani.


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