E’ stato approvato alla Camera il ddl che abolisce il carcere per i giornalisti. Un piccolo passo in avanti per salvaguardare il diritto di cronaca. E adesso, anche le testate ‘online’ verranno incluse nel testo normativo. Ma mentre qui da noi si tenta di mettere mano a una normativa ‘antica’, come viene regolamentata questa materia negli altri Paesi europei? Ogni Stato democratico ha una Costituzione, che tutela tanto l’onore e la reputazione della persona, quanto la libertà di stampa. Due aspetti fondamentali che, spesso e inevitabilmente, confliggono e necessitano di una risoluzione la più eque possibile. Anzi, quanto più è alto il livello democratico delle istituzioni di una comunità, tanto più è facile che quella ‘concessione di libertà’ possa trovarsi in condizioni ‘critiche’, che ogni Paese ‘civile’, tuttavia, ha pensato bene di risolvere, sia pure con alcune differenze, ma in sostanza cercando di non intaccare troppo né la libertà personale, né quella di stampa. Il ‘giusto’, infatti, in questi casi sembra cadere su entrambi i fronti e non c’è norma che possa tutelare l’uno a discapito dell’altro senza una corretta mediazione, a meno che non ci si trovi in uno Stato di non diritto. Mentre il nostro parlamento proprio in questi giorni è stato impegnato nell’esame di un ddl che riordini la legge in materia di diffamazione a mezzo stampa, vediamo intanto come si pongono in relazione al problema alcuni tra i principali Paesi europei.
Francia - La diffamazione è un reato solo se chi la esprime lo fa in forma pubblica, sia che ciò avvenga in forma scritta, attraverso la carta stampata o attraverso gli strumenti elettronici, sia che avvenga per forme orali, purché appunto pubblicamente. La pena prevista è un’ammenda fino a 12.000 euro. La cifra sale fino a 45 mila euro se la persona vittima del reato è un membro delle istituzioni, comunque qualcuno che ricopra un ruolo di peso nell’amministrazione pubblica o nelle università, stessa considerazione per le persone morali, come tribunali e corti. Solo in alcuni casi la legge francese prevede la detenzione fino a un anno, ovvero nel caso in cui sussistano dei motivi razziali alla base della diffamazione, o si leda qualcuno per motivi di identità sessuale o eventuale handicap. Per colui che invece abbia offeso l’onore di qualcuno in via del tutto privata, la diffamazione viene derubricata da ‘delitto’ a ‘contravvenzione, con ammenda fino a un massimo di 38 euro. Cosa succede al giornalista reo delle parole diffamatorie? Anche se si tratta del responsabile materiale, la legge attribuisce la responsabilità al direttore o all’editore, mentre l’autore del pezzo diventa ‘complice’, salvo i casi in cui sia impossibile rintracciare l’identità del direttore e dell’editore. In sostanza si tratta di un sistema a ‘cascata’, in cui la ‘gatta da pelare’ può scivolare via dal vertice fino alla base della piramide organizzativa: dopo il giornalista, infatti, se rimane anonimo, si andrà a perseguire il tipografo e, anche in mancanza di quest’ultimo, si puniranno i venditori. In merito al diritto di rettifica, il direttore della pubblicazione ha l’obbligo di pubblicarla nello stesso spazio e con lo stesso risalto dell’articolo che l’ha provocata.
Germania - Anche se la libertà di stampa e di informazione sono costituzionalmente sancite, la normativa in materia è in mano ai Lander, ovvero è regolata da leggi approvate a livello regionale. Manca un sistema unitario nazionale di riferimento. A livello generale, però, lo ‘Strafgesetzbuch’ (codice penale) distingue la diffamazione, pubblica o privata, per cui “chiunque, riferendosi ad un'altra persona, afferma o divulga un fatto idoneo a denigrarla o svalutarla di fronte all'opinione pubblica”, da quella in cui il suo autore diffonda in malafede notizie errate su qualcuno. In tal caso si parla di menzogna diffamatoria. L’autore in mala fede, è punito con la pena della detenzione fino a due anni o in via pecuniaria, ma se il fatto avviene pubblicamente la pena raddoppia fino a 5 anni. Nel caso di ‘semplice’ diffamazione non intenzionale, si prevede la detenzione fino a un anno, se il fatto avviene in privato, o in alternativa una pena pecuniaria, ma se il reato è commesso in pubblico la detenzione potrebbe prevedere anche due anni di galera. Da notare che ‘in pubblico’ in questo caso non comprende la ‘riunione’, come invece è previsto nel caso della diffamazione in mala fede. C’è poi una terza e ultima fattispecie, quella della diffamazione contro persone partecipanti alla vita pubblica. Nella separazione della diffamazione contro l’agire pubblico è punita con la detenzione da tre mesi a cinque anni.
Spagna - Dal suo ritorno alla democrazia, finito il 'franchismo', il Paese non ha mai vissuto casi di giornalisti detenuti in carcere. Il Codice penale in ogni caso lo prevede e distingue due fattispecie tra i delitos contra el honor: calunnia e infamia. Nel primo caso c’è l’attribuzione a qualcuno della commissione di un reato mediante pubblica diffusione a mezzo stampa o qualsiasi altro mezzo idoneo e similare. La legge prevede in tal caso il carcere da 6 mesi a 2 anni. Come si diceva non si è mai verificato finora un caso del genere. La pena infatti è convertita in pecuniaria da 6 mesi a 2 anni (in Spagna esistono i ‘giorni di multa’, pertanto la sanzione non viene indicata direttamente in cifre, ma in giorni corrispondenti). Nel caso di ingiuria (azione contro la dignità di una persona, che ne sminuisce la fama) la pena è minore e prevede la multa da 6 a 14 mesi. Anche in questo caso, è prevista, come in Francia, una responsabilità ‘a cascata’, per cui gli autori della diffamazione risponderanno “conformemente con il seguente ordine: 1.ºcoloro che hanno redatto il testo o prodotto il segno di cui si tratti, e coloro che li abbiano indotti a realizzarlo; 2.º i direttori della pubblicazione o del programma in cui [il testo o il segno] si diffonda; 3.º i direttori della casa editrice, della stazione radio o di diffusione; 4.º i direttori dell’impresa di riproduzione o tipografa”. Lo scritto di rettifica deve essere pubblicato e riguardare esclusivamente l’informazione da correggere. Tutto quanto detto vale anche per il web. I giudici spagnoli hanno esteso le norme a qualsiasi mezzo di comunicazione, in alcuni casi arrivando anche ai commenti on line (che normalmente sono intesi come semplici opinioni). In linea di massima si può dire che la regolamentazione spagnola non sia ferrea nell’applicare i suoi principi. Spesso, infatti, i giudici costituzionali hanno sottolineato la prevalenza dei diritti di libertà di informazione confliggenti con altri diritti fondamentali.
Regno Unito - Nei Paesi anglosassoni dello United Kingdom, la materia è disciplinata in parte dal common low e in parte dall’attività legislativa dei parlamenti e dal 2009 è stata depenalizzata, per cui si può dire che non esista una precisa definizione di diffamazione. In sintesi, essa non è inquadrata in via principale come un reato (offence), ma piuttosto come un illecito civile (tort) risolvibile con una sanzione pecuniaria. L’unica distinzione fatta dalla legge riguarda se la dichiarazione lesiva della reputazione altrui è compiuta attraverso uno scritto, la stampa o avvenga oralmente (libel o slander). Ora, nel caso del libel, di pubblicazione scritta, è sufficiente proprio questo atto per far scattare l’azione risarcitoria, senza necessità di considerare la conoscenza o meno delle falsità da parte del suo autore. L’accusa diffamante infatti resta comunque in piedi. Nel caso dello slander, la parte lesa può agire solo nel caso in cui le siano stati attribuiti fatti delittuosi (oralmente, ripetiamolo) o se provi di aver subito un danno materiale. La pena prevista varia in relazione alla consapevolezza del reo: nel caso del libel va da un’ammenda alla detenzione che può arrivare anche a due anni nei casi più gravi. Fino a qui, il ‘diritto comune’. Ma, come dicevamo, nei Paesi del Regno Unito il law defamation è regolamentato anche dall’attività legislativa e numerosi sono stati i cambiamenti apportati dai vari ‘act’ per ammorbidire la disciplina e bilanciare quello che è il diritto di cronaca con la tutela dell’onore. Tanto per avere un’idea, il Defamation Act 2013 ha stabilito per la parte offesa l’onere di provare il pregiudizio subìto. Altra particolarità è la distinzione giurisprudenziale di tre livelli di diffamazione: colpevole, sospetta e meritevole di approfondimento. Va infine sottolineato come risulti di fondamentale importanza il concetto di ‘interesse pubblico’. In linea di massima, infatti, il giornalista che scrive qualcosa che vada nella direzione di servire quell’interesse, gode di un qualified privilege, un privilegio che costituisce un valido strumento di difesa da un’azione di diffamazione, ovviamente rimesso alla valutazione di un giudice. E poi c’è anche il più recente Reynolds privilege, invocabile nel caso di quelle pubblicazioni in cui la diffamazione contenuta è conosciuta all’autore che responsabilmente decide di pubblicarla in giustificazione del fatto che ci sia effettivamente quell’interesse pubblico.