Carla De LeoSecondo l’Istat, ogni anno aumenta il numero di divorzi e separazioni, mentre i matrimoni celebrati risultano in forte calo.‘Per tutta la vita’ sembra ormai essere un lontano ricordo. Demoni del declino della famiglia ‘tradizionale’? Secondo molti, le ‘insidie’ provengono dalle unioni omosessuali, benché proprio tra le coppie gay aumenti il desiderio di famiglia e di legittimazione matrimoniale. Finta, se necessario, purché avvenga anche là dove la legge non lo consente

Amare e onorare i nostri compagni, nel bene e nel male, per tutti i giorni della nostra vita, finché morte non ci separi sembra, ormai, argomento di Storia medievale. Un capitolo chiuso della società moderna giunto al capolinea, morto e sepolto. Sopravvive, dell’ottimismo e della speranza di due persone che si erano unite nel ‘sacro vincolo’, solo una coltre di polvere sotto la quale giacciono i reperti ‘archeologici’ di quell’amore  che fu - e che è ormai un lontano ricordo - la cui unica prova tangibile della passata esistenza è testimoniata dalla pila di documenti, scrupolosamente firmati, per ottenere la separazione legale dal ‘tanto amato’. Analizzando i dati sul numero di separazioni e di divorzi che l’Istat diffonde ogni anno - come risultato delle rilevazioni condotte presso le cancellerie dei 165 tribunali civili e relative ad ogni singolo procedimento giudiziario concluso nell’anno di riferimento - il quadro che emerge raffigura una società che, negli ultimi 20 anni, ha subìto profonde trasformazioni negli stili e nei costumi di vita e, soprattutto, nella sfera delle relazioni familiari. Questi risultati evidenziano, in primo luogo, una crescita dell’instabilità coniugale - misurata attraverso il numero di separazioni e di divorzi concessi (costituenti, in modo diverso, l’espressione giuridico-formale della fine del matrimonio) e, secondariamente, un forte aumento della stessa ‘vulnerabilità’, soprattutto nel corso dell’ultimo decennio. Nel 2011, in Italia sono stati celebrati 204.830 matrimoni, 12.870 in meno rispetto al solo 2010. Questa tendenza alla decrescita è in atto sin dal 1972 , ma risulta particolarmente accentuata negli ultimi 4 anni: dal 2007 al 2011, infatti, si è registrato un drastico calo pari al -4,5%, a fronte del -1,2% rilevato negli ultimi 20 anni. L’82% dell’ammanco si riconduce alle prime nozze tra sposi entrambi di cittadinanza italiana (155.395 riti nuziali nel 2011, circa 37 mila in meno rispetto agli ultimi 4 anni), mentre un altro 17% spetta ai matrimoni nei quali almeno uno dei due partner sia di cittadinanza straniera (26.617 celebrazioni nel 2011, 5.555 in meno in confronto al 2007). Anche questo secondo tipo di matrimoni non risultano immuni dalla tendenza: da 34.137 del 2008 a 31.048 del 2011 (sebbene risulti in crescita la loro quota sul totale). Infine, diminuiscono le unioni celebrate con rito religioso che, a quota 124.443 nel 2011, hanno fatto registrare uno ‘snellimento’ di circa 39 mila nozze in meno rispetto al 2008. Non conoscono ‘crisi’, invece, le rotture tra le coppie. Sempre seguendo le indicazioni fornite dall’Istat osserviamo, infatti, che i tassi di separazione e di divorzio sono in continua crescita: mentre nel 1995 si contavano 158 separazioni e 80 divorzi ogni 1.000 matrimoni, nel 2011 le cifre ‘lievitano’ a 311 separazioni e 182 divorzi. In totale, nel 2011 sono stati sanciti 88.797 separazioni e 53.806 divorzi. Sebbene rispetto all’anno precedente il trend registri solo un +0,7% di separazioni e un leggero calo (-0,7%) dei divorzi, in un orizzonte temporale più ampio, che ci riporti alla situazione di 20 anni fa, si nota che, dal 1995, le separazioni sono aumentate di oltre il 64% e i divorzi sono praticamente raddoppiati (+101%). Osserviamo inoltre che i matrimoni durano, in media, 15 anni per la separazione - a cui si ‘approda’ all’incirca a un’età di 46 anni per gli uomini e di 43 per le donne - e 18 anni per il divorzio - che subentra a 47 anni per il marito e a 44 per la moglie -. Questi dati offrono lo specchio di un Paese profondamente trasformato sin dalle sue fondamenta, nelle proprie tradizioni e nei propri valori. E, per quanto l’84,8% delle separazioni e il 64,9% dei divorzi avvenga in modo consensuale, le cifre raffiguranti rotture ‘facili’ non cambiano la sostanza: le unioni non riescono ad avere basi stabili e robuste e non durano tutta la vita. Quali potrebbero essere le cause che hanno condotto al vacillamento di quella che era, un tempo, la ‘Domus’, la casa e la famiglia solida nella quale ci si sentiva protetti, sicuri e amati? I fattori che costituiscono lo sfondo dell’attuale malferma istituzione familiare sono molteplici. Sicuramente, gioca un ruolo fondamentale il ritardo dei giovani nel passaggio alla vita adulta, così le nozze sono sempre più tardive: l’età media del primo matrimonio degli uomini è pari a 34 anni e quella delle donne a 31. Il rinvio nel tempo delle decisioni di formazione della famiglia sono, a loro volta, subordinate alla sicurezza o continuità del lavoro, alla stabilità del reddito e alla ricerca di un’abitazione. Quello dell’età è un aspetto non trascurabile, se prendiamo in considerazione il fatto che, dopo i 30 anni, le persone hanno sviluppato una personalità netta, nella quale sono ben chiari e definiti i propri obiettivi, valori e stili di vita. Ne consegue che la convivenza e la capacità di andarsi incontro, giungendo a quel valido compromesso indispensabile per la salvaguardia dell’armonia di coppia, risulti difficoltoso e, in alcuni casi, impossibile. Durante questi 20 anni, poi, si sono verificati anche altri fenomeni: in primis, l’emancipazione femminile, che ha condotto le donne a una maggior presa di coscienza del loro status collocandole anche al di fuori dell’ambito familiare e differenziando il loro ruolo nella società, dissociandole dal binomio alle quali erano state equiparate per secoli: non più (e non solo) mogli e madri. Oltre a ciò, le maggiori possibilità di spostamento hanno consentito l’ampliarsi dei rapporti sociali e delle unioni libere, contribuendo all’affermarsi di una mentalità marcatamente individualista rispetto al passato, che ha influenzato aspettative e aspirazioni dei singoli soggetti. La ‘mancata’ piena fiducia nei confronti del proprio compagno si desume anche dall’ampia diffusione dei matrimoni in regime di separazione dei beni (due su tre), nelle quali resta chiaro e spartito ‘cosa’ appartiene a ‘chi’ (altro che ‘due cuori e una capanna’). Eppure, nonostante manchino spesso proprio le premesse del desiderio di creazione di un nucleo familiare, molti rintracciano la ‘miccia’ del decadimento (e del fallimento) dell’istituzione del matrimonio e della famiglia, nelle unioni omosessuali. Nei Paesi in cui sono state approvate leggi sulle nozze gay (15 al momento), la promulgazione della norma è stata regolarmente accompagnata da imponenti manifestazioni di protesta, che caldeggiavano la difesa del matrimonio e della famiglia, la quale - si ribadisce - è composta da un uomo e da una donna (non da due uomini o da due donne) e solo all’interno di essa possono essere garantite le condizioni per far crescere in modo normale un bambino, trasmettendogli valori sani e giusti. Ma in che modo queste unioni costituiscono un grave ‘vulnus’ alla famiglia ‘tradizionale’? Anche senza l’approvazione di una norma ‘ad hoc’, le coppie omosessuali esisterebbero lo stesso, così come già esistevano nei secoli precedenti il primo atto ufficiale che ha sancito legalmente le loro unioni. Come può il riconoscimento giuridico dei ‘matrimoni gay’ costituire una lesione o una minaccia al diritto della famiglia? Una legge non può ‘uccidere’ i matrimoni eterosessuali: sancisce, semmai, pari dignità a relazioni che, ci piaccia o no, sono frutto di affetto e amore. Tra l’altro, proprio tra le coppie gay aumenta vorticosamente il numero (oltre al desiderio) delle unioni: in Spagna, dal 2005, anno in cui le nozze tra persone dello stesso sesso sono state legalizzate, sono stati celebrati ben 23 mila matrimoni; in Canada, 10 mila in 3 anni; in Argentina, dopo un solo mese dall’approvazione della legge, 81 coppie erano già convolate a nozze. In molti Paesi (tra i quali figura anche l’Italia) queste unioni sono proibite e, spesso, gli aspiranti sposi celebrano il rito in uno Stato che lo consente. In non pochi casi, però, gli amanti giungono anche a soluzioni originali e un po’ bizzarre, come coloro che inscenano un ‘finto matrimonio’ - con tanto di rituale, testimoni, fedi, festa e luna di miele - pur di vivere il loro ‘grande giorno’ e il coronamento del loro sogno d’amore. Poco tempo fa conquistava la prima pagina del ‘New York Times’ un matrimonio gay celebrato in un albergo di Roma, ma molti lettori ricorderanno anche quello ‘infuocato’ di Taormina (trasmesso in un noto programma televisivo pomeridiano), nel quale due ‘mariti’ dichiaravano e suggellavano ufficialmente il loro amore davanti ad amici e parenti. Un’unione simbolica, dunque. E, soprattutto, una festa: se non fosse stato per la dichiarazione secondo la quale le fedi nuziali che legavano la coppia erano state benedette consapevolmente da un prete. Com’è facile immaginare, il fatto scatenò un putiferio. Compiendo qualche passo indietro nel tempo, abbiamo osservato che il fenomeno delle celebrazioni simboliche non è questione solo dei giorni nostri: nel 1902 un fatto di cronaca nera portò alla luce un ‘automatrimonio’ tra due donne che si erano sposate simbolicamente in Chiesa, giurandosi, davanti a un altare, fede eterna ed eterno reciproco amore (venne redatto anche un verbale, ai cui piedi venne apposta la firma delle due spose, attraverso il quale le donne dichiararono di appartenere per sempre l’una all’altra, con la controfirma di un testimone). A partire dagli anni ’70, questa pratica diventò sempre più comune, dapprima in limitate frange conservatrici (tra coloro che soffrivano a causa dell’esclusione religiosa), ma col tempo si diffuse anche al di fuori di questo ambito, sino a diventare un fenomeno di costume. Tra i primi atti pubblici di questo tipo viene annoverato quello del 2 settembre 1976, quando a Roma (nella sede dell’Mpo, Movimento politico degli omosessuali) fu celebrato una sorta di ‘matrimonio laico’ per alcune coppie di persone dello stesso sesso. Di più forte impatto fu l’azione del Centro d’iniziativa Gay e di Paolo Hutter (consigliere comunale gay a Milano dell’allora Pds) che unì, il 27 giugno 1992, in piazza della Scala, dieci coppie omosessuali le quali, con un migliaio di testimoni, si dissero sì davanti al consigliere. Nel nostro Paese, dall’epoca degli episodi citati, non è cambiato nulla dal punto di vista legislativo e le coppie gay sono ‘costrette’ a continuare a inscenare un finto matrimonio. Una differenza sostanziale con il passato, però, esiste: innanzitutto, è aumentata la visibilità di queste nozze e il numero delle coppie che si sottopongono al rito (risultante anche dal maggior sostegno da parte di familiari e amici, che le accettano per quello che sono e senza pregiudizi). In secondo luogo, oggi le coppie gay possono ‘godere’ di privilegi pari a quelli delle coppie eterosessuali, almeno dal punto di vista dell’organizzazione del matrimonio: dalla cerimonia al catering, dagli abiti all’intrattenimento e al viaggio di nozze. Tutto curato nei minimi dettagli. A Roma è nata, proprio con questo fine, la prima agenzia di wedding planning (Same Love) specializzata in matrimoni omosessuali, che offre supporto alle coppie e si occupa ‘in toto’ della pianificazione di una cerimonia simbolica in Italia. Indifferentemente dalle forme in cui si manifesta, un fattore sembra comune: l’amore ha bisogno di sostegno, ma solo l’impegno quotidiano e la consapevolezza delle responsabilità individuali può sancire la saldezza e la durata di un’unione. Nient’altro.


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