Gaetano Massimo MacrìEcomafia: un neologismo per indicare la mafia che crea, gestisce e organizza affari ‘legati’ in qualche modo a un ambiente ‘familiare’ (‘eco’ dal greco ‘oikos’, casa, abitazione), come dire che ci sta entrando dentro casa, inquinando le acque e i terreni, cementificando, insabbiando rifiuti tossici, generando un grande business di fronte al quale politici e imprenditori non possono che risentirne, con differenti pesi e misure e responsabilità. Nonostante la crisi, che sta costringendo alla chiusura anche le imprese coi conti in regola, la criminalità organizzata è riuscita a incrementare i suoi introiti, proprio  grazie all’ecomafia. Un giro di affari di 16,7 miliardi di euro l’anno, numeri da capogiro, confermati nel recente Rapporto annuale di Legambiente dedicato al problema. Di fronte a questo ‘strapotere’ servirebbero misure precise per rafforzare l’economia ‘buona’, spesso doppiamente ‘bastonata’ – dall’ecomafia e dalla crisi stessa – e non a caso il presidente di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza, ha dichiarato: "In tempi di crisi l'economia cattiva caccia l'economia buona". Il nodo principale della questione è dato dal fatto che ci sono elevati margini di guadagno con basso rischio per chi delinque. Per questo motivo, chi studia da anni il fenomeno, come Enrico Fontana, responsabile dell’Osservatorio che ha curato la ricerca di Legambiente, sostiene che sia necessario un mirato pacchetto di riforme, che preveda, per esempio, “l’introduzione dei delitti ambientali nel nostro codice penale, con l’approvazione  del disegno di legge già licenziato dal governo Prodi nel 2007 e ripresentato in questa legislatura dal presidente della Commissione ambiente della Camera, Ermete Realacci, che consentirà alla magistratura e alle forze dell’ordine di intervenire in maniera adeguata perché frutto di un’attenta e obiettiva valutazione dei fenomeni criminali, delle loro cause e delle loro conseguenze”; ma servirebbero anche sanzioni severe in tema di abusivismo edilizio e non solo. Dietro al neologismo ‘Ecomafia’, infatti, si cela un mix di intrecci e affari tra boss, politici corrotti e funzionari pubblici accondiscendenti, con un ampio portafoglio di scelte, in grado di offrire: la produzione e lo smaltimento dei rifiuti; l’abusivismo edilizio; il traffico di opere d’arte e, da ultimo, quello di animali esotici. Un gran calderone, insomma, in cui da anni si ‘consumano’ affari importanti che, nonostante i numeri in crescita, non solo non redistribuiscono l’ingente ricchezza sul territorio, ma, semmai, tolgono terreno a onesti imprenditori e inquinano senza scrupoli i terreni e le acque del Paese. Storie ormai note da tempo, eppure in Italia l’ecomafia continua imperterrita la sua corsa, complice, ripetiamolo, una legislazione debole, che il più delle volte tratta quei reati in maniera amministrativa e non incide, quando e come dovrebbe, abbattendo edifici abusivi (azione che si verifica con una certa rarità) o intervenendo duramente negli altri settori ‘inquinati’. Un’ampia fetta dei guadagni proviene da appalti e opere pubbliche: si parla di 6,7 mld €. A seguire, troviamo la gestione dei rifiuti speciali, con 3,1 mld €, mentre, anche se non lo si direbbe, il traffico di animali esotici, con i suoi 2,5 mld € supera quello, più noto alle cronache, dell’abusivismo edilizio con 1,7 mld €. In sostanza, il perverso intreccio tra mafia, politica e affari, dal quadro che emerge nel Rapporto 2013 di Legambiente, sta prosciugando ogni possibile fonte di guadagno e prosperità del Paese, con 93 reati al giorno, 4 all’ora. Si parla di 28.132 persone denunciate e 161 ordinanze di custodia cautelare. Il 45,7% dei reati ambientali è concentrato nelle regioni di provenienza delle mafie (Campania, Sicilia, Calabria e Puglia) seguite da Lazio e Toscana che hanno registrato un incremento, rispettivamente, del 13,2% e 15,4%. Anche nel Nord si è avuto un aumento degli illeciti, specie in Liguria, +9,1% e in particolar modo in Veneto con +18,9%. Stessa sorte per i reati riguardanti gli animali e gli incendi boschivi: i primi hanno battuto un ritmo di quasi 22 al giorno, mentre il patrimonio boschivo è stato ulteriormente danneggiato rispetto all’anno precedente, con un incremento del 4,6%. Aldilà del trend positivo verificatosi in particolar modo nelle regioni del Meridione, il che sembrerebbe abbastanza scontato, - e dove colpisce il +120% nella provincia di Vibo Valentia per quanto riguarda la voce ‘ciclo dei rifiuti’- salta all’occhio l’aumento vertiginoso dei reati ambientali in alcune regioni del Nord: oltre al Veneto, cui si faceva accenno prima, anche il Trentino va annoverato in questa schiera, con una crescita triplicata in un anno di reati di abusivismo edilizio. Il mercato delle costruzioni, non può che risentire della forte incidenza delle case tirate su illegalmente: per ultimare un alloggio ‘in regola’ si raggiunge un costo di 155 mila €, contro i 66 mila € di quello fatto illecitamente. A spingere in questo senso, poi, come si diceva, è la quasi certezza che difficilmente si arriverà alla demolizione. Delle 46.760 ordinanze di demolizione emesse dai tribunali, infatti, appena il 10,6% è stato portato a termine. Il gioco, quindi, val bene la candela, e anche il fatturato, che ha sfiorato i 20 miliardi di euro. Una novità riguarda il riciclo dei rifiuti, segno che le mafie si aggiornano e si industriano per allargare il fatturato, diversificando le attività, espandendo ovunque le proprie radici. In buona sostanza succede che materiali destinati al riciclo vengono invece venduti all’estero, ancor prima di essere trattati, penalizzando fortemente le nostre imprese, costrette alla chiusura, non ricevendo più materiali da riciclo. Una situazione difficile, insomma, che rischia di passare inosservata, nonostante tutti i dati messi a disposizione avvisino sui rischi che stiamo correndo. A proposito di dati, ce ne sono alcuni da cui emerge come le attività dell’ecomafia riescono a corrodere la parte sana del paese, anche in virtù di una corruzione imperante: i numeri forniti dalla Dia (Direzione Investigativa Antimafia) nell’ultima relazione in Parlamento relativa al primo semestre 2012, dimostrano che le persone denunciate e arrestate in Italia sono più che raddoppiate rispetto al semestre precedente, passando da 323 a 704. Mazzette e favori costituiscono quella ‘zona grigia’ che consente alla criminalità organizzata di agire indisturbata. La regione in cui si è tentato di ‘fluidificare’ i vari appalti e concessioni edilizie, è la Calabria (280 arresti) mentre la Lombardia è in prima linea per il numero di inchieste eseguite (20). Il quadro generale che esce fuori è quello di uno Stato e della sua macchina amministrativa troppo debole nei confronti di una mafia schiacciasassi. Davvero preoccupanti le parole usate dal dossier di Legambiente, in riferimento proprio al caso Calabria: “L’intreccio perverso tra ‘ndrangheta, imprenditoria e politica ha avuto come risultato una devastazione del territorio forse irreversibile” e ancora: “Vorticosi giri di denaro per ripulire i proventi dei traffici di droga, tecniche di “eurovestizione” del denaro per eludere il fisco, l’avvio di nuove imprese in cui far confluire i capitali: il tutto è stato reso possibile grazie alla “consulenza” degli esperti professionisti già individuati dall’inchiesta Metropolis”. La Calabria, del resto, è, nella sua ‘esagerazione’, il perfetto specchio di un’ Italia che, come una torta, viene quotidianamente divisa, spartita a ‘tavolino’ in una partita i cui giocatori infrangono le regole mal scritte dalla classe ‘arbitrale’, in cui persistono piccole ‘cellule’ di un cancro che si chiama corruzione. Senza un vero punto di svolta, l’ecomafia silenziosamente è destinata a lacerare il territorio: 25 comuni sono stati sciolti per mafia nel 2012; erano 6 l’anno precedente. Sono 302 i clan che gestiscono l’affaire, 95 in Calabria, 86 in Campania e 81 in Sicilia, che costituiscono la fetta più ‘sostanziosa’. A leggere, anche solo per curiosità, alcuni rapporti precedenti di Legambiente, si scopre tristemente che l’incipit è sempre lo stesso: l’ecomafia non conosce crisi. La recessione economica in cui stiamo vivendo, certamente aggrava la situazione, poiché le maglie del mercato, in cui la mafia si sta inserendo, appaiono più sfilacciate. Pertanto, una ripresa economica non potrebbe che giovare, serrando un po’ i ranghi e compiendo quell’autopulizia (il mercato in qualche modo si autoregola) sufficiente a non lasciare spazi vuoti agli eco-criminali. Non è un caso che le regioni in cui il fenomeno è più presente, siano proprio quelle economicamente ‘svantaggiate’ e storicamente più deboli. Il sistema economico che opera nella legalità, specie in una fase recessiva come quella attuale, è facile preda di ‘lupi’ cattivi, così, per esempio, è probabile che si arrivi al punto tale per cui gli necessiterà una manodopera a basso costo o a costo zero, che solo nella illegalità può rintracciare. I due mondi, pertanto, quello legale e quello illegale, si reggono a vicenda, intrecciati e ‘benedetti’ dall’assenza dello Stato, altro motivo per cui l’ecomafia prospera e prospererà per molto tempo ancora. In attesa, dunque, che l’economia si risollevi e che lo Stato faccia leggi penalmente più severe, non c’è da meravigliarsi se, stando così le cose, sia sempre la mafia a fiutare per prima l’affare e ad applicare le sue regole e il suo stile, in ‘casa’ nostra.


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