Gaetano Massimo MacrìAll’ombra del Campidoglio, un pensiero giovane in una città vecchia, quello di Mattia Di Tommaso, giovanissimo 28enne recentemente presentatosi, con grande coraggio, alle primarie del centrosinistra per la candidatura a sindaco di Roma per il Partito socialista italiano

La capitale d’Italia si sta avvicinando al voto delle comunali con molti nodi ancora da risolvere. Poco o nulla di veramente importante è stato compiuto: dal traffico caotico, agli extracomunitari non integrati; dall'immenso patrimonio storico-artistico mal sfruttato, allo smaltimento dei rifiuti. Per non parlare della sanità. I problemi che la affliggono richiederebbero scelte consapevoli, a volte dure e, in alcuni casi, anche immediate, che sappiano costruire il futuro di una città tanto ricca nella sua archeologia, quanto antica e 'antiquata' nei politici che l'hanno amministrata. Si sono da poco svolte le Primarie del centrosinistra per la scelta del candidato a Sindaco. Oltre 100 mila votanti hanno espresso il proprio parere, premiando Ignazio Marino, che con il 50,7% ha staccato nettamente gli altri sfidanti. Abbiamo perciò intervistato Mattia Di Tommaso, giovanissimo procuratore legale esperto in diritti umani, classe 1985, appassionato di politica già dal liceo. Inizia qui, infatti, il suo 'cursus honorum', dapprima come rappresentante di classe, poi di istituto e, per finire, della Consulta studentesca provinciale. Un impegno politico che rimane intrecciato a quello didattico anche nel periodo universitario, durante il quale studia giurisprudenza e, nel 2001, entra nella Federazione giovanile socialista, per la quale si occupa soprattutto di scuola e università. Attraverso uno stage a Bruxelles e la collaborazione con la segreteria dell'onorevole Alessandro Battilocchio ha potuto incrementare la sua esperienza con le istituzioni, italiane e comunitarie. In una grande città come Roma, densa di problemi, chiusa nel suo 'immobile decisionismo', che l'ha relegata ai margini culturali rispetto alle altri capitali europee quando avrebbe tutti i numeri per competere, che contributo può offrire un giovane impegnato politicamente, motivato e pieno di idee? Quanto spazio, una politica spesso accusata di 'vecchiume', gli concederebbe?

Mattia Di Tommaso, la sua tesi di laurea aveva come titolo ‘Diritto musulmano e dei Paesi islamici’: dica la verità, le stanno a cuore le tematiche razziali? Ha seguito le polemiche sul voto dei Rom alle primarie?
“Intanto, tutta la mia formazione si è imperniata sul diritto internazionale. Quando lavoravo a Bruxelles c'era la questione del Sahara occidentale, di un popolo dimenticato che lotta per la sua autodeterminazione (il popolo Saharawi, ndr). Per cui, al momento dell'atto finale del mio percorso di studi, mi è sembrato giusto e, in fondo quasi naturale, dedicarmi a questi problemi. Tant'è che poi, prima delle primarie, ho chiesto l'estensione del voto sia agli ‘infrasedicenni’, sia agli extracomunitari. Paradossalmente, non mi hanno votato, ma rivendico la giustezza della proposta. La polemica l'ho trovata, francamente, strumentale, priva di fondamento probatorio. Fa emergere soltanto un rigurgito di intolleranza. La fila di Rom, invece, per quanto mi riguarda doveva dimostrare un grande senso di apertura di questa città”.

Fin da subito, allora, ha voluto presentarsi in controtendenza. Come dire: ‘giovani contro vecchi’?
“Quando mi sono candidato c'era la polemica sulle primarie 'aperte' e 'chiuse'. E io ho voluto aprirle il più possibile, come fatto simbolico. Altrimenti, sarebbe sembrato un congresso tra correnti: il rischio era quello. Chiedere il parere di chi vive Roma con altre priorità, male non credo possa fare anzi. Tutto questo va in una sola direzione: aumentare la partecipazione politica. La mia candidatura, in primis per l'età, è stata quella che ha coinvolto più giovani possibili. Ero diventato il loro interlocutore più vicino. Una delle mie sfide era proprio quella di coinvolgere persone della mia età che, fino a quel momento, non si erano interessate alla politica. C'è ancora molto da fare, però la direzione è quella giusta”.

E del risultato finale? Le piace Marino, il chirurgo?
“Si tratta della persona migliore per guidare, in questo momento, una coalizione. Il giusto profilo come sintesi tra le varie anime. Spero non venga travolto dal ‘fuoco amico’, motivo per il quale io gli ho subito comunicato tutto il mio appoggio per il Campidoglio”.

Quindi, cosa pensa di fare adesso? Ha una strategia?
“Intanto, ho accettato il suo invito a collaborare con il suo comitato. Il mio impegno sarà speso affinché il centrosinistra possa vincere le elezioni comunali. Auspicherei, poi, che Marino facesse sue alcune mie proposte: metro aperta di notte; grandi eventi in periferia e censimento delle case sfitte. Ma per questo ci incontreremo, al fine di capire su quali punti ci sono possibilità di convergenza”.

Come risolvere il problema della prostituzione per strada, secondo lei?
“In campagna elettorale non ne ho parlato, poiché si tratta di un problema nazionale. Detto questo, sono contrario alle case chiuse: non eliminano la prostituzione. I ragazzi che ho ascoltato mi spingevano, invece, in senso opposto. Distinguiamo la prostituzione dallo sfruttamento: mettere 'dentro' le prostitute non significa metterle al sicuro. Anzi, potrebbe essere un rimedio peggiore del male. Non vederle per strada non farebbe sparire di colpo il problema dello sfruttamento. Le soluzioni sono i controlli veri: le case chiuse ‘all'italiana’ regolarizzerebbero l'irregolarità. Comunque, comincerei ad avviare anche una certa educazione nelle scuole, per sensibilizzare anche i ragazzini su queste tematiche”.

Parliamo di ‘movida’, di cui lei, per motivi anagrafici, a pieno titolo ne può far parte. Il 'popolo della notte' a Roma è spesso sotto tiro per gli schiamazzi notturni, bottiglie e bicchieri abbandonati nelle piazze e incidenti stradali: non crede che la capitale si dimostri carente di servizi che potrebbero migliorare la situazione?
“La politica dell'ordinanza non funzionerà mai: occorre creare una ‘movida intelligente’. Intanto, dislocata in più parti della città, poiché la gente deve tornare a vivere i quartieri, non il centro e basta. Inoltre, si tratta di una fonte di ricchezza: fa girare la moneta. Dobbiamo dunque cercare di espanderla ovunque: non possono esserci tre o quattro aree e basta. Pensiamo alle periferie: a Roma ormai si è perso quel concetto di partecipazione, di condivisione comune. Ognuno esce per i fatti propri. Invece, avere una città in cui tutti, la sera, si spostano un po' ovunque migliorerebbe anche la sicurezza per le strade”.

Agli occhi di uno straniero, Roma è bella ma è sempre la solita città italiana ‘caciarona’, sempliciotta, lontana dagli appuntamenti che contano: c'è bisogno di eventi che attirino gli occhi di tutto il mondo, non trova?
“Roma ha subìto un imbarbarimento culturale in questi 5 anni, poiché il comune ha delegato ad associazioni e fondazioni senza dare mai finanziamenti, ma solo il patrocinio. Per cui, o il comune riprende in mano la situazione, o può anche delegare, purché fornisca le varie associazioni degli strumenti necessari per lavorare. Una mia proposta era quella delle ‘Notti bianche tematiche municipali’. Esempio, quella di Cinecittà potrebbe essere dedicata al cinema. Si tratta di un quartiere periferico, in cui si trova un simbolo del cinema, gli studi di Cinecittà, dove tra l'altro io vorrei che si svolgesse il festival del cinema di Roma. Così, si valorizzerebbe una periferia e si darebbe lustro a tutta la città con lo sfruttamento di qualcosa che già c'è e che fa parte della sua storia, scongiurandone oltretutto la chiusura”.

Ma qualche evento che consenta di uscire più allo scoperto all’estero?
“Certamente, serve anche uno spessore internazionale che non c'è più. Il sindaco di Parigi ha interrotto il gemellaggio con Roma, lo sapeva? Una scelta sua, forse anche personale, che tuttavia condivido, di forte contrapposizione contro Alemanno da parte di un sindaco laico, socialista, omosessuale. Comunque sia, mancano, a Roma, gli eventi internazionali. E non dimentichiamo il ruolo che abbiamo non solo in Europa, ma anche nel Mediterraneo. Dovremmo ospitare ogni anno il Forum mondiale delle politiche giovanili”.

Invece, ci troviamo una Roma invasa da turisti che però...
“Prenda un turista in centro: dirà, come tutti, che Roma è bella, ma incomprensibile. Occorre la doppia lingua in centro. Uno straniero a Termini entra nel panico. Se alla stazione di piazza di Spagna, per fare un esempio, 5 macchinette su 6 non erogano i biglietti dei mezzi pubblici perché sono guaste, è là che si perde l’immagine di capitale internazionale, per tornare al discorso di prima. Io cerco di prediligere le periferie e sono contrario al ragionamento 'Roma centro'. Ma poi non è che in centro tutto funzioni bene, anzi. Sarei anche contrario ai bus in quella zona: portano solo un turismo ‘mordi e fuggi’, arrivano, li scaricano e se ne rivanno. Hanno i percorsi obbligati e i turisti non vedono il resto della città. Non se ne innamorano e, quindi, difficilmente torneranno”.

Vorrebbe aumentare il numero delle biblioteche comunali: non è preferibile modernizzare quelle esistenti?
“Sono due concetti diversi: le biblioteche comunali esistenti si possono e si devono potenziare, va bene. Ma se si prende una ex caserma inutilizzata e la si trasforma in una casa della cultura, per fare un esempio, si restituisce alla cittadinanza e al quartiere uno spazio utile per far vivere questa città. Era, in fondo, il discorso che facevo prima, parlando della movida: ridare spazi perduti ai cittadini”.

I tempi di percorrenza sono un problema irrisolto di questa città, la cui pianta stradale poco si presta, effettivamente, a uno scorrimento agevole dei mezzi pubblici. Ha un piano in questo senso? Vorrebbe mantenere il servizio metropolitano 24 ore su 24? Non crede che troverà ostacoli difficili da superare? Si dovranno assumere più autisti? E i soldi?
“Dimezziamo il Consiglio di amministrazione, abbattiamo il costo di un manager ed ecco una riserva da spendere. Poi, bisognerebbe sostituire i bus con quelli ecologici, che sono più piccoli e creerebbero meno intasamento, inquinano meno e costano anche meno. Però, se vogliamo parlare  di costi, il futuro è nel tram: una linea tranviaria costa un decimo di una linea di metropolitana. Ci sono dei condotti viari già predisposti, per cui si farebbe anche presto nella realizzazione. Via Palmiro Togliatti attraversa 4 quartieri e ha questa predisposizione: Ignazio Marino su questo punto è d'accordo. Poi potenzierei i collegamenti tra le stazioni ferroviarie. A Roma i collegamenti vanno sempre verso il centro, o verso la stazione Termini. E sono assenti gli interscambi tra le piccole stazioni regionali. Ostiense e Trastevere sono vicine: tramite un collegamento diretto con le due stazioni potremmo spostarci più agevolmente. Invece, questo non è possibile: devo recarmi fino a Termini, per poi cambiare. Assurdo…”.

Un’alternativa per diminuire il caos della mobilità potrebbe essere il bike sharing?
“Si, certo. Ma mentre a Roma abbiamo 500 biciclette, a Parigi, dove il servizio funziona benissimo, ce ne sono 1 milione. Sono scelte che, o le porti avanti bene e le realizzi in modo ‘massiccio’, oppure non ha senso intraprenderle. Nella capitale francese il parcheggio per il bike sharing è presente in tutte le stazioni, in tutti i principali nodi di scambio. A Roma ce ne saranno, in tutto, 30. E con le auto è lo stesso”.

E il car sharing? Come mai l’offerta non riesce a coprire la domanda?
“Perché il parco auto è povero. Tra l’altro, pochi sanno che l’idea è italiana, ma la sfruttiamo male. Sempre i francesi, invece, la praticano in maniera scientifica. Ho la garanzia che, prendendo l’auto, troverò poi il parcheggio dove indicato. Roma, da questo punto di vista, non è affatto una smart city”.

Malagrotta vuole chiuderla e bonificarla. Secondo lei si dovrebbero creare piccoli impianti di smaltimento, sparsi nei vari comuni? Ha in mente nuovi siti? Non crede possano suscitare le proteste dei cittadini che non vogliono la 'puzza sotto il naso?
“Sì, Malagrotta bisogna chiuderla e bonificarla e io sono contrario all’apertura di una nuova discarica. Meglio creare dieci, quindici centri di ‘stoccaggio’ meno invasivi, che abbiamo meno impatto negativo sul territorio. In questo modo, gli spazi si trovano più facilmente. Nessuno vorrebbe una nuova Malagrotta. E non sarebbe neanche giusto”.

Il provvedimento che ritiene imprescindibile, quello che adotterebbe subito, se potesse?
“Un censimento delle case sfitte e la loro riassegnazione giovani coppie; l’istituzione del registro delle unioni civili; l’anagrafe pubblica degli eletti. Questo per farle capire l’impronta che avrebbe il  mio operato”.

Rammenta la polemica sul Gran Premio di Formula Uno a Roma? Lei è favorevole o contrario?
“Contrario: Roma non ha bisogno di operazioni di questo tipo. E’ come il discorso del festival del cinema: che senso ha farlo all’Auditorium? Meglio nel quartiere ‘simbolo’, che ha tutta una sua storia legata al cinema. Roma non ha bisogno di markette”.

Lo confessi, Roma o Lazio?
“Cinecittà Bettini”.

Come, scusi?
“Io non tifo. Sono appassionato di calcio, l’ho praticato per anni, ma sono fuori da certi schemi. Se proprio devo dire una squadra, faccio il nome di quella del luogo in cui sono nato e cresciuto, la Cinecittà Bettini. Il calcio è una malattia. E io non ne sono affetto. Però voglio aggiungere una cosa: sono favorevole agli stadi di proprietà della società, qui a Roma, ma non nel sito stabilito da Alemanno a Tor di Quinto: non ci sono le strutture. E’ un problema enorme e lui lo sa. Operazioni di questo tipo portano a una speculazione edilizia che fa bene, perché si genera ricchezza. Però, prima dovremmo preoccuparci delle strade, dei collegamenti, perché tutto deve funzionare alla perfezione”.

In conclusione, Roma dovrebbe svilupparsi puntando sui quartieri. Il centro non deve avere l’esclusiva - anche se occorre migliorarlo - e bisogna sfruttare quello che già si ha al meglio: giusta sintesi?
“Roma vive bene di suo se tutti i quartieri sono coinvolti e se facciamo vivere Roma dopo le 20. All’estero è normale girare sui mezzi pubblici a mezzanotte. La criminalità si combatte anche così. Tra militarizzare una città diffondendo l’odio verso gli stranieri e vivacizzare in modo che ci sia sempre gente per la strada, preferisco la seconda. Non servono eventi commerciali, poiché abbiamo storia e cultura: usiamole dunque”.


Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio