Gaetano Massimo MacrìIl risultato elettorale consegnatoci dalle urne, aldilà del dibattito sulle possibili soluzioni volte a superare la inevitabile 'ingovernabilità' a cui verrà consegnato il parlamento - dibattito in cui si stanno lanciando analisti e politici sulle prime pagine dei quotidiani - ci consegna pochi dubbi su come debba essere interpretato e molte incertezze sul futuro prossimo venturo del Paese. Al termine della tornata elettorale, il responso è così sintetizzabile: Monti ha perso, Bersani non ha vinto, Berlusconi non ha perso, Grillo ha vinto. Queste le certezze. La prima certezza è che Bersani non ha vinto. Al principio della campagna elettorale, ma anche prima, l’impressione generale era che, comunque sarebbero andate le cose, avrebbe vinto lui, con scarti percentuali che variavano nel corso del tempo, ma che non lasciavano certo prevedere il sostanziale pareggio ottenuto alla fine. Il segretario del Partito democratico ha iniziato la sua corsa a mani basse, ma poi, quando c’era da accelerare, non lo ha fatto. Partito ai blocchi di partenza senza nemmeno sentire lo ‘start’, non ha mai impresso una accelerazione, gli è mancato anche lo sprint finale, facendosi così raggiungere dai suoi avversari. Qualcuno, profeticamente, già all'inizio della campagna elettorale lo definiva un fantasma. In effetti, l'impressione è che, almeno sul piano mediatico, il segretario del Pd abbia presenziato il dibattito più per la sua reale assenza che per la sua finta presenza. L'idea secondo cui avrebbe dovuto vincere a mani basse deve averlo distolto dall'intraprendere azioni più efficaci per ottenere visibilitá e la speranza di qualche percentuale di voto in più, adesso più che mai necessario. La sua campagna elettorale non è racchiudibile e riconducibile a un solo slogan, chiaro e diretto ‘pro omnes’. Il candidato Bersani si è fermato pure prima del tempo: ha preferito mantenere 'bassi' i toni del confronto e della discussione. Unica eccezione concessasi è quello 'smacchiamento' del ‘giaguaro-Berlusconi’ che non ha poi potuto realizzare e che, invece, ora gli si sta ritorcendo contro. Forse, la vittoria delle primarie deve avergli un tantino montato la testa e gli ha impedito di comprendere la potenzialità del giovane Renzi. Ma questo rischia di essere un ragionamento basato sul ‘senno di poi’. Sta di fatto, però, che Bersani ha sbagliato i conti con l’elettorato, che probabilmente, sul piano anagrafico e delle idee, è più giovane di quanto non si sia calcolato, è attratto da un generico 'homo novus' qualunque sia, al di là delle sue effettive capacità di governo. Renzi, per esempio, avrebbe incarnato meglio tale figura e i commenti dell'elettorato di sinistra, esternati sulla rete ancora a spoglio in corso, dimostrerebbero questa tendenza. Beppe Grillo, pertanto, ha compreso esattamente questa ‘esigenza’. Nel web il comico genovese ha trovato il motore della sua macchina schiacciasassi. E, in ogni piazza d'Italia, è riuscito sempre a fare il pieno, benché esule dai media tradizionali, allontanando i giornalisti e sparando sentenze di morte per quelli che adesso sono i suoi nuovi colleghi di Aula. Al grido di 'Vi seppelliremo tutti' ha iniziato un tour che, visti i risultati finali, ha dimostrato di meritarsi l'appellativo 'Tsunami'. Come un vero grillo parlante ha punto la coscienza dell'elettore, specialmente quello giovane, nato dopo la metà degli anni ‘70, privo di riferimenti politici, scevro da ideologie e desideroso solo di mandare a casa tutti. Ecco, la forza di Grillo nasce soprattutto da qui: essere diventato il punto di riferimento di questi giovani e di quel fantomatico 'terzo polo' che è sempre esistito ma che, prima di queste elezioni, era smembrato ed esprimeva la preferenza offrendo il voto a destra o a sinistra. Di Grillo si è criticato il populismo, il legame col misterioso Casaleggio, i metodi da 'dittatura' con cui ha imposto il silenzio o ha sbattuto fuori alcuni militanti. Il risultato finale, però, sta nettamente dalla sua parte, consacrandolo come il vero vincitore. A lui, dunque, la palma della vittoria. Silvio Berlusconi è lo sconfitto con ‘onore’ dell’agone politico. Rispetto a Grillo è, però, un perdente  relativo. Il comico genovese, infatti, ha giocato e vinto una partita contro tutto e contro tutti, in un sistema di cui, ancora, non ha fatto parte. Berlusconi, che invece  appartiene a quel sistema da quasi 20 anni, partiva da una posizione assai arretrata, eppure ha concluso tagliando il traguardo dopo una rimonta che ha stupito chiunque. Ha scelto il suo avversario, Bersani, individuandolo come colui che riteneva, probabilmente, il più adatto a non confondere gli elettori, più congeniale al suo modo di fare campagna elettorale, impostata su promesse pirotecniche e di facile presa. Come il comico genovese, anche il cavaliere ha fatto dunque leva sulla ‘pancia’ degli italiani. La sostanziale differenza tra Grillo e Berlusconi tuttavia è un’altra: il cavaliere di Arcore non è piu un 'novus'. Anche tra i suoi elettori, che nonostante i venti anni trascorsi in parlamento, le leggi ad personam, i 'contratti con gli italiani' poco rispettati, le ‘olgettine’ e i ‘bunga-bunga’, hanno voluto ‘graziarlo’, ridandogli  fiducia. Probabilmente, circola una sorta di convinzione ‘perdonista’ nel Paese, secondo la quale Berlusconi gode di una sorta di 'immunità'. Come dire che, se anche non abolisse l'imu o non mantenga le promesse non si sorprenderebbe nessuno. Grillo, invece, già al primo giorno di scuola è chiamato a dare piena prova di se stesso. Dopo l'exploit elettorale avrà tutti i riflettori puntati addosso. E difficilmente gli si perdoneranno lievi insufficienze, figuriamoci errori che potrebbero registrarsi nei prossimi giorni. E veniamo al grande sconfitto: Mario Monti. Il premier uscente, chiamato a 'salvare' l'Italia in un momento estremamente difficile, aveva iniziato la sua 'breve' parentesi di capo del Governo indossando i panni del ‘traghettatore’ di un Paese che rischiava la deriva e che doveva essere ricondotto sui binari delle riforme che chiedeva l’Europa, fino al giorno delle elezioni. Ma Monti, che ha cominciato maluccio sin da subito poiché indicato come 'l'uomo delle banche', era riuscito a ridisegnare la propria immagine sotto migliori auspici. Il grado di popolarità raggiunto a un certo punto avrà fatto pensare a qualcuno - Fini e Casini e, forse, allo stesso Monti - che quella esperienza andava prolungata. Come Bersani, anzi molto peggio di lui, ha sbagliato i calcoli, sottovalutando la presa sugli elettori di Grillo e, soprattutto, di Berlusconi. Monti ha recitato la parte del ‘primo della classe’: preciso, ordinato, che non trasgredisce le regole. È stato ricompensato. Qualcuno avrebbe dovuto spiegargli che partecipare alla campagna elettorale in Italia è come far parte di un circo: a volte si deve fare i ‘pagliacci’; altre volte occorre camminare su un filo in perfetto equilibrio; altre volte ancora bisogna scendere in gabbia tra i leoni. Nessuno, però, lo ha informato. In special modo i suoi compagni di ‘sventura’ che, peggio di lui, hanno raccolto un misero 2%. Con Mario Monti ha perso definitivamente quel centro ‘moderato’ che, per sua vocazione e missione, non ha mai saputo e voluto parlare alla ‘pancia’ del Paese. Le misure di austerity del suo Governo, in linea con le politiche europee, non sono state affatto gradite dalla gente, che si è abituata a considerare lo spread, di cui per anni ha ignorato l’esistenza, come il principale ‘termometro’ per misurare la temperatura dell’economia. Monti non è riuscito a comunicare gli aspetti riformatori e le innovazioni del suo programma, finendo per terrorizzare gli italiani: non è mai entrato veramente nel vivo della campagna elettorale, se non con il suo cane. Ritorna, infine, il discorso critico sul ‘Porcellum’. Si tratta, con piena evidenza, di una legge elettorale che consegna un parlamento ingovernabile, diviso sostanzialmente in tre parti al contempo similari e opposte tra loro. Solo la pianificata operazione di Grillo ha portato una forte ventata di novità e consentito a elettori delusi, tra cui molti che avrebbero potenzialmente votare altri candidati, di esprimere il proprio voto nonostante il Porcellum impedisse, per via della squilibrata assegnazione regionale dei seggi al nord, una vera libertà di scelta. Lo tsunami del comico, insomma, ha travolto anche i limiti di questa legge elettorale. Ma essa, evidentemente, non può rappresentare la soluzione migliore. Cambiare la legge presupporrebbe, d’altronde, un accordo parlamentare che, da sempre, sembra una ‘mission impossible’. Detto questo, bisogna pertanto sottolineare che Grillo ha subito dichiarato di non voler appoggiare nessuno. Ciò significa che questa volta sarà lui l'ago della bilancia su cui si giocheranno le sorti del Governo. Il leader del M5S lo sa: vedremo se sta cercando solamente di alzare il ‘tiro’ e come giocherà i voti ottenuti. L’occasione per riformare il sistema sembra unica, sarebbe un peccato, a questo punto, ritornare a votare per una certa ‘ottusaggine’. Grillo dovrà presto imparare a ‘dialogare’ con le altre parti: non può pretendere di fare il ‘dictator’. Berlusconi esulta, forte del suo personale miracolo, anche se non si capisce perché: la partita che ha scelto di giocare con Bersani è terminata, consegnando le chiavi delle Camere a un futuro instabile. Bersani, il vincitore ‘relativo’, ha molti mea culpa da recitare. Se si dovesse votare a breve, come qualcuno ipotizza, è più he probabile che debba cedere il passo al suo successore in pectore, Renzi. L'altro perdente, Monti, con il suo sparuto numero di parlamentari potrebbe fare il Don Chisciotte della situazione, ma non sembra possederne le caratteristiche. Ininfluente. Il parlamento formatosi con il ‘porcellum’, dunque, vede vincitori e vinti mescolati assieme, forse ancora confusi, perché chi, numericamente, ha vinto, come Bersani, non sa se sia il caso di ‘cantare vittoria’ e chi ha perso di poco, come Berlusconi, può esultare come un vincente, pur non avendo ottenuto la maggioranza. Bisognerà attendere, ora, come vincitori e vinti si accorderanno. L’Europa continua a chiedere riforme. E gli investitori internazionali, giunti alcuni giorni fa in Italia per ‘vedere’ da vicino la situazione e parlare con gli analisti, chiedono stabilità. Un solo pensiero di speranza riguarda Grillo: senza di lui non si governa la speranza è che, varcando la soglia di Montecitorio capisca la differenza tra il dire e il fare, abbandoni la veste di predicatore, per vestire i panni di un leader che, oltre a riempire le piazze, è in grado di imporre la propria agenda in parlamento, trovando quella intelligenza politica necessaria per interloquire con le altre parti al fine di realizzare le sue riforme. L’agire politico richiede responsabilità, competenze e numeri. Vedremo nel suo ‘battesimo’ politico come si comporterà. Non vorremmo che lo tsunami spazzasse via tutto l'emiciclo. Non lo capirebbero neanche i suoi elettori.


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carlo cadorna - Frascati - Mail - venerdi 8 marzo 2013 13.42
Non condivido l'analisi. Bersani è rimasto vittima dell'imbroglio delle primarie, organizzate per fregare Renzi. Monti è rimasto stritolato tra i due contendenti: la politica funziona così! Ma Lui è un professore... A questo punto non c'è che aspettare Renzi ...al secondo round.


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