La posta in gioco alle prossime elezioni europee supera, e di molto, il solo e legittimo desiderio di
questa o quella famiglia politica di riaffermare la propria esistenza. Di più: le prossime elezioni europee non possono neanche essere l’occasione per rimettere, solo e semplicemente, assieme
i cocci del mondo laico. Si deve essere capaci di guardare oltre, di pensare in grande. Da tempo osservo l’agitarsi di mondi come quello
socialista, o come quello
repubblicano: ciascuno orgoglioso del proprio passato, ciascuno, sotto sotto, desideroso di far tornare il proprio partito al peso di un tempo. Condivido l’orgoglio, capisco meno la seconda cosa che, anzi, mi pare impossibile. Quei partiti contavano quel che contavano non solo perché, grazie al sistema proporzionale (che si ripropone alle europee), potevano chiamare a raccolta il proprio elettorato, ma anche perché quel sistema disegnava una geografia politica che oggi non c’è più. E non è destinata a tornare. Non basta, ammesso che sia possibile, riprendere i propri voti, perché manca il contesto nel quale furono giocati.
Non basta nemmeno agitar le bandiere. Quei partiti avevano una composizione che derivava e a sua volta determinava, lo scenario complessivo. Un
Nuovo Psi od un Pri schierati a destra, capaci di raccogliere le proprie donne ed i propri uomini che condividono quella scelta ed incapaci, l’uno e l’altro, di trattenere chi quella scelta non approva, sono e saranno
cosa diversa da quel che furono nel passato. E non diversamente stanno le cose per i cugini che hanno trovato
alloggio dall’altra parte, che si chiamino
Sdi o repubblicani variamente aggettivati. Certo, in mancanza di meglio si cerca di sopravvivere, ma le elezioni europee presentano
l’occasione di un salto nella politica, quella vera. Si dia, per capire, uno sguardo ai consensi aggregati, nella quota proporzionale, alle ultime elezioni politiche, da gruppi come
la Lega o il Ccd. Se a quelli si affiancheranno
un tre per cento socialista, un uno per cento repubblicano, un due-tre per cento radicale, che cambierà? Non cambierà niente, perché queste poche cose, ottenute con gran fatica, non serviranno a
trattar meglio la propria collocazione elettorale futura (che comunque, è ben misero obiettivo). E, cosa ancora più importante, quei poveri risultati
non serviranno a disegnare una prospettiva politica, non conterranno (se anche saranno raggiunti) il germe di un disegno, lo sforzo di un’azione.
Ma che succede se, invece, quei gruppi politici, facendo appello non solo e non tanto alla
laicità, ma alla
serietà della politica, alla necessità che
i suoi protagonisti siano dotati di conoscenze e di passione, di professionalità; che succede se si ripropone il tema della
selezione del mondo politico, che non può essere affidato alla buona creanza di un capo elettore; che succede se a questo si è capaci di
dar forma politica ed elettorale? Si riesce o no a competere con, o a superare, formazioni che oggi detengono un grande potere, si giovano di ragguardevole esposizione, ma non raccolgono neanche un quinto dei voti che la democrazia laica raccoglieva un tempo? Per questo le elezioni europee saranno un
passaggio cruciale. Il mondo
cattolico, quel che resta della
diaspora democristiana, può attendere che si creino le condizioni per una riappropriazione del centro politico. Il nostro mondo
non può avere altrettanta flemma, giacché la sua forza deriva dalla capacità di leggere ed anticipare i tempi.