Nel mese appena conclusosi, giugno 2012, Israele ha bombardato la ‘striscia’ di Gaza 58 volte: 19 i palestinesi assassinati, 77 i feriti, gravissimi i danni alle proprietà. Negli attacchi, un ente indipendente palestinese ha incluso raid aerei e incursioni da parte dell’artiglieria israeliana. Si registrano, inoltre, aumenti nelle aggressioni ai pescherecci con 7 episodi di violenze, il sequestro di 16 pescatori e danni inestimabili di svariato genere e tipo. In Cisgiordania si denuncia la demolizione di 9 abitazioni palestinesi, la consegna di decine di nuove notifiche di abbattimenti e l’arresto di 231 cittadini arabi. Al-Quds, l’istituto di cultura italo-palestinese, sostanzialmente conferma i dati forniti da diverse fonti palestinesi, i quali confermano un’escalation nella costruzione di insediamenti illegali sul territorio palestinese, in particolare a Silwan. Per non parlare di quel che sta accadendo a sud di Gerusalemme, dove Israele ha già avviato la costruzione di 180 nuove unità abitative. Il conflitto israelo-palestinese è una guerra che sembra propri non voler vedere la parola 'fine', a meno che se non si trovi la formula 'magica' per una convivenza pacifica. A prima vista, appare impensabile che non si voglia raggiungere un accordo dopo tanti anni di violenze e stragi. Eppure, il luogo comune: “Volere è potere”, in Medio Oriente è totalmente illusorio, una pia ingenuità. Poco conta il fatto che, pochi giorni or sono, l’Unesco abbia inserito la Chiesa della Natività di Betlemme fra i patrimoni dell’umanità: in Palestina e nella striscia di Gaza ogni motivazione è buona per reagire con violenza ma, allo stesso tempo, nessun pretesto è valido per riuscire per lo meno a salvaguardare dei luoghi sacri al fine di impostare un nuovo dialogo basato sui princìpi di fratellanza, umanità, rispetto reciproco tra i popoli. Anche i siti della Natività di Gesù risultano minacciati dall’occupazione israeliana, poiché il Governo di Tel Aviv considera da sempre quei territori storicamente appartenenti allo Stato d’Israele. A ogni modo, tornando alla situazione di Gaza, chi cerca di fare il possibile per alleviare almeno un poco le condizioni della popolazione civile è il mondo dell’associazionismo e del volontariato. E’ di questi giorni la notizia dell’iniziativa dell’associazione ‘Music for peace’, presieduta da Stefano Rebora, che insieme agli amici e collaboratori Sonia Marucci, Fabio Palli e Valentina Gallo Afflitto stanno cercando di far giungere nella ‘striscia’ sei containers di medicinali e di generi di prima necessità. Si tratta di materiale da destinare agli ospedali - un ecocardiografo, una sala raggi toracica, una panoramica dentale, defibrillatori, sette ambulanze, un’autovettura, centocinquanta tonnellate di generi alimentari - raccolto durante l’anno sia attraverso un progetto sviluppatosi nelle scuole, sia per mezzo di un festival in cui, per poter assistere alla manifestazione, ci si deve presentare all’ingresso con un pacco di riso o una sedia a rotelle usata. La missione è iniziata nei giorni del sesto anniversario del blocco di Gaza: “Un triste compleanno” ha commentato il sottosegretario generale dell’Onu per gli Affari umanitari e coordinatore per gli Aiuti di emergenza, Valerie Amos. Tuttavia, stando alle ultime notizie, dopo 10 lunghi giorni di attesa in quel di Alessandria d’Egitto questa carovana di aiuti è ancora bloccata da pastoie burocratiche e diffidenze diplomatiche che il Consolato italiano e l’Ambasciata d’Italia in Egitto non sembrano riuscire a superare, nonostante il massimo impegno di tutto il personale. La volontà israeliana è infatti quella di stringere Gaza in una morsa totale, una sorta di embargo strategico, oltreché politico, geografico e militare, giustificato dai consueti lanci di razzi da parte di Hezbollah. Razzi che, il più delle volte, non solo non colpiscono nessun obiettivo, ma vengono strumentalmente utilizzati da Israele per continuare a tener fermo il discutibile principio: “Occhio per occhio, dente per dente”. Poco conta che ad andarci di mezzo siano, quasi sempre, civili che non c’entrano nulla con il conflitto in atto o, addirittura, donne e bambini innocenti.