Si è tenuta di recente presso il
CE.S.P.P., il centro di psicologia popolare di Roma intitolato a ‘Lino Filipponi’, un interessante incontro contro la violenza sulle donne, un’iniziativa alla quale hanno partecipato numerosi personaggi del mondo politico e culturale italiano. Tra questi, la brava giornalista
Susanna Schimperna, scrittrice di saggi come
Piccolo dizionario dell’Eros (Cairo editore), Abbandonati e contenti (Leggereditore), Le amicizie amorose (Mondadori), nonché direttrice, in passato, delle interessanti riviste
‘Blue’ e
‘Cuore’. Susanna è nota anche per lo spazio dedicato all’astrologia nella trasmissione
‘Omnibus’, sulle frequenze televisive de
La7. Ed è autrice e conduttrice radiofonica di
Radio2, dove l’abbiamo ascoltata in programmi come
‘Sadalmelik’ e
‘Cattivi Pensieri’. Da sempre impegnata per le donne, proprio in merito a tale argomento ha cortesemente voluto rilasciarci quest’intervista.
Susanna Schimperna, in Italia, secondo i dati Istat, hanno subito violenza più di sei milioni e mezzo di donne, per la maggior parte dirigenti e laureate: lei pensa che sia questo il ‘pegno’ che si paga per l’emancipazione culturale raggiunta?“No, credo che soltanto in alcuni casi gli uomini violenti vengano “eccitati” dalla sfida rappresentata da una donna che avvertono in gamba, culturalmente e professionalmente superiore a loro. Penso invece che paghiamo il prezzo di tanti altri disagi, sia psicologici che sociali, e di pesanti retaggi che condizionano più di quanto si voglia ammettere, poiché non si cancellano in pochi decenni secoli e secoli di discriminazioni, abitudini, leggi, costumi e disprezzo”.
Lei è d’accordo su una legge che protegga in modo assoluto la donna e che ancora manca nel nostro Paese?“Io certamente vorrei una società in cui i deboli fossero protetti in modo assoluto, ma il problema è nella mentalità - e questa non si cambia con le leggi - e in tutti quegli strumenti che, comunque, dovrebbero aiutare a prevenire, a evitare, e che, invece, non ci sono, o sono pateticamente inadeguati”.
Lei crede che essere un Paese cattolico sia a vantaggio della cosiddetta cultura dell’omertà?“Invocando l’unità e il buon nome della famiglia sì, è vero: si sono fatti e si fanno danni incalcolabili. Tacere e sopportare, accettare tutto come una ‘croce’. Quanto è stato manipolato il messaggio cristiano, vero? Direi addirittura ‘snaturato’. Ipocrisia, invece di verità. E l’uomo signore e padrone? Il pater familiae con diritto quasi assoluto sui membri del proprio nucleo diventò, col cattolicesimo, il ‘padre-padrone’, quando invece la rivoluzione di Gesù Cristo fu quel mettere l’accento sull’uguaglianza di tutti gli esseri umani, a prescindere da ceto, età e sesso. E, naturalmente, non possiamo dimenticare l’evangelico, bellissimo: “La verità vi farà liberi”.
Rispetto agli altri Paesi, come si colloca l’Italia nella difesa dei diritti della donna? E’ solo una questione di mancanza di leggi o si tratta di un problema culturale?“È un problema culturale: le donne sono spesso le prime carnefici delle altre donne, magari dopo esser state a propria volta vittime. Troppe madri coprono i mariti violenti, fingono di non vedere, oppure impegnano le proprie energie a convincere le figlie - picchiate o stuprate dai propri padri, malmenate dai propri mariti - a stare tranquille, a non dare adito a scoppi di rabbia, insomma a ‘gestire’ l’orrore, piuttosto che combatterlo. E se parliamo di ‘stalking’, molestie, violenze da parte di uomini esterni alla cerchia familiare, è sempre presente il sospetto che lei, la donna, abbia ‘provocato’, che ‘se la sia cercata’, quando non addirittura che stia ‘esagerando’ o ‘inventando’. A volte, questo sospetto è platealmente trasformato in accusa, altre è solo adombrato. Ma basta un’occhiata scettica o un tono ironico a far precipitare in un abisso di disperazione una donna che è già fragile, colpita, impaurita”.
Quali sono, secondo lei, i motivi che spingono alla violenza sulle donne?“C’è la frustrazione sessuale, che si manifesta con varie modalità: rapina (stupro), negazione dell’esistente (uccisione della donna che abbandona), ritorsione (mobbing). E c’è una realtà di cui, purtroppo, dobbiamo tener conto sempre, valida in tutte le società e le epoche: è facile, è da vigliacchi e, proprio per questo, è così comune prendersela con chi è fisicamente più debole”.
(intervistra tratta dal sito www.periodicoitalianomagazine.it)