
Proprio nei giorni in cui la rivista
'Time' ha voluto dedicare la copertina di
'personaggio dell'anno' all'attivista svedese per l'ambiente,
Greta Thunberg, noi italiani ci ritroviamo, stando a quanto riferisce il
Censis, ancora una volta arroccati sulle antiche frontiere
dell'uomo forte e
decisionista. Sempre gli stessi siamo: fermi e inchiodati sulle medesime
suggestioni 'deleganti', forse per pigrizia o faciloneria. Ma il risorgere degli
autoritarismi tende anche a rimettere in discussione il
progetto di unificazione europea, concepito proprio per mettere la parola
'fine' a interi secoli di guerre combattute nel nome degli interessi nazionali.
L'Unione europea sta infatti attraversando una crisi alquanto preoccupante, percorsa da spinte centrifughe e minacciata dalla crescita di
Partiti populisti e
xenofobi, in cui frustrazioni individuali e sociali si mescolano assieme a una diffusa sensazione di
'scollamento' tra gli
'euroburocrati' di
Bruxelles e le specifiche esigenze dei
singoli Stati membri. D'altra parte, non possiamo neanche attendere che i
tempi lunghi della Storia seguano il loro corso, poiché abbiamo a disposizione solamente
pochi decenni per far sì che l'urgenza di cambiare il nostro
modello di sviluppo sia condivisa da più persone possibili, evitando che coloro i quali hanno raggiunto un certo benessere si sentano minacciati. Tali esigenze confermano, innanzitutto, come la
'green economy' non debba essere considerata un settore economico affiancato a quelli già esistenti, bensì una vera e propria
trasformazione dell'economia tradizionale in un'altra
'ambientalmente compatibile' con le condizioni climatiche del nostro pianeta. Una situazione di cui la società deve cominciare a possedere
piena consapevolezza. Ecco per quale motivo sono eticamente giustificate le diverse iniziative, comprese quelle di
Greta Thunberg, di sensibilizzazione della comunità internazionale intorno ai rischi che stiamo correndo. Ora, però, si tratta di cominciare a darsi un
'punto di partenza' nella
'lunga marcia' che dobbiamo metterci in testa di dover intraprendere: la transizione da un concetto di
'green economy' a quello di
'green society'. Un passaggio che comporta, innanzitutto, una riflessione in merito ai nostri
'stili di vita', ormai destinati a mutare. Entro i limiti delle contraddizioni insite nella natura umana, questo nuovo progetto dovrà presentare, come obiettivo, una società per quanto possibile più
equa, aperta e
inclusiva. Solo in base a questi princìpi fondamentali potremo cominciare a costruire un contesto più adatto a stimolare
nuovi modi di pensare e
di agire, nell'interesse della collettività. In secondo luogo, per fornire risposte vincenti a problemi globali come il cambiamento climatico, la
'green society' dovrà essere estesa a tutto il mondo, con l'obiettivo di
non escludere nessuno dalla partecipazione ai processi decisionali:
un'eguaglianza di fatto - e non solo di diritto - che implichi la parallela riduzione degli
squilibri retributivi e
sociali. In caso contrario, si creerà inevitabilmente una contraddizione fra
l'universalità dell'obiettivo e le
conseguenze regressive per chi ne risulterà escluso. È infatti realistico valutare il rischio che una parte del genere umano intraprenda la
'lunga marcia' verso la
'green society', mentre quella numericamente maggioritaria della popolazione ne rimanga
esclusa. Così come è puerile limitarsi a
ignorare i molteplici processi in atto che
'remano' nella
direzione opposta. Occorre, insomma, essere coscienti che una
riconversione ecosostenibile dell'economia e della
società non sarà una
marcia gioiosa, ma un percorso ricco di
ostacoli e di
'trappole'. E si dovrà pertanto saper agire di conseguenza, nella consapevolezza che
l'accelerazione dei cambiamenti climatici, avvenuta negli ultimi decenni, ci lascia
poco tempo a disposizione. Un'ultima considerazione, poco prima che si chiuda questo
secondo decennio degli anni duemila: ciò che vi presenteremo in questo nuovo numero di
'Periodico italiano magazine' era già
tutto scritto. La qual cosa significa che questi
anni '10 del
XXI secolo, attraversati da una
lunga fase recessiva dell'economia globalizzata, per un motivo o per un altro, sono andati
perduti. Ma noi vi chiediamo anche di
avere fede: una
fede laica, razionale, moderna e
adatta ai tempi che stiamo per affrontare. Tantissimi auguri di
felice anno nuovo ai nostri lettori, ormai sparsi in tutti i Paesi del mondo.
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(editoriale tratto dalla rivista mensile 'Periodico italiano magazine' n. 52 - dicembre 2019)