Vittorio LussanaIl populismo non è affatto una tendenza politica a favore del popolo. Al contrario, tale definizione si distanzia nettamente dal terreno teorico del 'popolarismo', per assumere un significato degenerativo, in cui una élite politica, generalmente 'movimentista', tende a declamare vuoti slogan, facilmente condivisibili dalla popolazione, senza alcuna intermediazione empirica o riscontro scientifico-culturale. In pratica, il populismo è solamente un metodo - e non una filosofia - in cui 'pochi' leader strumentalizzano le masse, per mere finalità di potere. E le masse, a loro volta, non si accorgono di essere sostanzialmente escluse dai processi di partecipazione democratica del potere. I successi, quasi sempre momentanei, dei populismi derivano non soltanto da tali forme di opportunismo politico diretto 'dall'alto', ma anche dal netto rifiuto del principio di responsabilizzazione, collettiva e individuale, di una parte dei cittadini. In sostanza, quasi tutti i fenomeni populisti palesano sempre, nelle loro basi di consenso, due diverse 'anime': una trascendente, che cioè nutre fastidio verso le procedure democratico-parlamentari, preferendo applicare delle metodologie totalitarie che confinano con lo Stato di Polizia; e un'altra che, pur considerandosi democratica, tende a delegare l'esercizio del potere a una rappresentanza univoca, affinché risolva i suoi problemi concreti. Nel primo caso, siamo ovviamente di fronte a un pericolo concreto per la democrazia, derivante da forze che non prevedono, né contemplano, alcuna forma di opposizione democratica, anche e soprattutto al proprio interno; nel secondo, invece, possiamo semplicemente constatare un'interpretazione puramente passiva e, spesso, parassitaria, della sovranità popolare. Ambedue queste facce del populismo sono, tuttavia, accomunate da un sentimento di scarsa fiducia nella politica in quanto 'scienza' basata su tradizioni precise, culturalmente radicate nel mondo e nella società, finendo col convergere nei cosiddetti 'paternalismi'. Quest'ultima categoria possiede diversi gradi e sfumature interpretative: vi è il 'paternalismo miracolistico', finalizzato soprattutto a rassicurare i cittadini a fini di mantenimento del consenso, come nel caso 'berlusconiano' dei decenni appena trascorsi; quello imperialista e coloniale, che abbiamo conosciuto nel XIX secolo; quello rivoluzionario, che sostanzialmente tende a instaurare forme di regime ben diverse da quelle democratiche, nella convinzione che un potere politico 'leggero', verticistico, ristretto nelle mani di poche persone, possa conseguire con maggior facilità alcuni obiettivi concreti. Nella situazione attuale e, più in generale, in quella europea, si sta tuttavia commettendo un errore in più, rispetto al passato: si sta facendo credere ai cittadini che, tra le dottrine di politica economica della Ue - improntate all'austerity - e quelle populiste dei Partiti cosiddetti 'sovranisti' non vi sia nulla in mezzo. Le cose non stanno così: i populismi riescono a conseguire alcuni obiettivi immediati, ma raramente dimostrano di possedere una bussola di orientamento di medio o lungo periodo; viceversa, le politiche di austerità cercano di gestire l'esistente e di mantenere lo 'status quo', nel tentativo di cristallizzare una condizione di potere 'elitario', che avvantaggi alcune classi sociali anziché altre. Insomma, sia le dottrine conservatrici di 'austerity', sia quelle populiste e sovraniste, in realtà professano il dominio di alcune 'élites' - borghesi nel primo caso, rivoluzionarie e deterministe nel secondo - ma nulla che abbia realmente a che fare con il popolo, con i suoi bisogni reali, con il suo avanzamento civile e sociale. Non vi è alcun 'cambiamento di civiltà' nelle prospettive politiche dei movimentismi populisti: non vi è 'spirito','anima'. E tutto ciò che vive al di fuori dello 'spirito', dei sentimenti, del 'cuore', non possiede effettiva realtà, poiché degrada ogni problema a semplice 'fatto', senza riuscire a individuare, né a combattere, la 'causa originaria' che ha prodotto quel medesimo fatto. Lo sviluppo e il progresso dei popoli può avvenire solamente attraverso una serie di azioni politiche riformiste, da attuare per gradi. E nell'alveo delle tradizioni riformiste, vi sono solamente alcune culture politiche e non altre: quelle liberali e quelle socialdemocratiche. Tutto il resto è pura astrazione: metodologie inattuali, che assumono significato in quanto forme ingannevoli, più o meno 'partenalistiche', nei riguardi dei popoli e dei singoli individui. Un po' come quando, nell'arte contemporanea, non si riesce a distinguere l'erotismo - il quale può esprimere tendenze artistiche di avanguardia, o specifiche esigenze di liberazione sessuale - dalla pornografia più squallida o di basso profilo. Il riformismo corrisponde a una semplice proposta, a una romantica 'dichiarazione d'amore' della 'scienza politica' per la pubblica felicità e in favore del popolo. Anzi, a favore di tutti i popoli, senza distinzioni etniche o di razza, secondo un progetto di vita da realizzare tutti insieme, 'mattone su mattone', giorno per giorno. Insomma, il populismo è la degradazione della politica a vuoto 'meccanismo': una sorta di 'stupro dialettico' della democrazia, nella becera convinzione materialistica che sia l'atto sessuale in sé a determinare la nascita di un grande amore. Sta dunque ai popoli cercare di comprendere se essi intendano rimanere ancorati alle vecchie culture repressive - e regressive - del passato, oppure se siano disposti a vivere, finalmente, un amore adulto, maturo, paritario e democratico. Un amore complesso e difficile, come lo sono tutti i grandi amori della nostra vita. Un grande amore chiamato Europa.

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Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)
(editoriale tratto dalla rivista mensile 'Periodico italiano magazine' n. 44 - dicembre 2018)

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Alessandro - Altopascio (Lucca) - Mail - sabato 5 gennaio 2019 0.18
Assolutamente d'accordo! Bel pezzo.


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