
Il
populismo non è affatto una tendenza politica
a favore del popolo. Al contrario, tale definizione si distanzia nettamente dal terreno teorico del
'popolarismo', per assumere un significato degenerativo, in cui una
élite politica, generalmente
'movimentista', tende a declamare vuoti slogan, facilmente condivisibili dalla popolazione, senza alcuna intermediazione empirica o riscontro scientifico-culturale. In pratica, il
populismo è solamente un
metodo - e non una filosofia - in cui
'pochi' leader strumentalizzano le masse, per mere finalità di potere. E le masse, a loro volta, non si accorgono di essere sostanzialmente
escluse dai processi di partecipazione democratica del potere. I successi, quasi sempre momentanei, dei
populismi derivano non soltanto da tali forme di
opportunismo politico diretto 'dall'alto', ma anche dal netto rifiuto del
principio di responsabilizzazione, collettiva e individuale, di una parte dei cittadini. In sostanza, quasi tutti i fenomeni
populisti palesano sempre, nelle loro basi di consenso,
due diverse 'anime': una
trascendente, che cioè nutre fastidio verso le procedure democratico-parlamentari, preferendo applicare delle metodologie totalitarie che confinano con lo
Stato di Polizia; e un'altra che, pur considerandosi democratica, tende a
delegare l'esercizio del potere a una
rappresentanza univoca, affinché risolva i suoi problemi concreti. Nel primo caso, siamo ovviamente di fronte a un
pericolo concreto per la
democrazia, derivante da forze che non prevedono, né contemplano, alcuna forma di
opposizione democratica, anche e soprattutto al proprio interno; nel secondo, invece, possiamo semplicemente constatare un'interpretazione puramente
passiva e, spesso,
parassitaria, della
sovranità popolare. Ambedue queste facce del
populismo sono, tuttavia, accomunate da un sentimento di scarsa fiducia nella politica in quanto
'scienza' basata su tradizioni precise, culturalmente radicate nel mondo e nella società, finendo col convergere nei cosiddetti
'paternalismi'. Quest'ultima categoria possiede diversi gradi e sfumature interpretative: vi è il
'paternalismo miracolistico', finalizzato soprattutto a rassicurare i cittadini a fini di mantenimento del consenso, come nel
caso 'berlusconiano' dei decenni appena trascorsi; quello
imperialista e
coloniale, che abbiamo conosciuto nel
XIX secolo; quello
rivoluzionario, che sostanzialmente tende a instaurare forme di regime ben diverse da quelle democratiche, nella convinzione che un potere politico
'leggero', verticistico, ristretto nelle mani di poche persone, possa conseguire con maggior facilità alcuni obiettivi concreti. Nella situazione attuale e, più in generale, in quella europea, si sta tuttavia commettendo
un errore in più, rispetto al passato: si sta facendo credere ai cittadini che, tra le dottrine di politica economica della
Ue - improntate
all'austerity - e quelle
populiste dei Partiti cosiddetti
'sovranisti' non vi sia
nulla in mezzo. Le cose non stanno così: i
populismi riescono a conseguire alcuni obiettivi immediati, ma raramente dimostrano di possedere una
bussola di orientamento di medio o lungo periodo; viceversa, le politiche di
austerità cercano di gestire l'esistente e di mantenere lo
'status quo', nel tentativo di cristallizzare una condizione di
potere 'elitario', che avvantaggi alcune classi sociali anziché altre. Insomma, sia le dottrine conservatrici di
'austerity', sia quelle
populiste e
sovraniste, in realtà professano il dominio di alcune
'élites' -
borghesi nel primo caso,
rivoluzionarie e
deterministe nel secondo - ma nulla che abbia realmente
a che fare con il popolo, con i suoi bisogni reali, con il suo avanzamento civile e sociale. Non vi è alcun
'cambiamento di civiltà' nelle prospettive politiche dei movimentismi populisti: non vi è
'spirito', né
'anima'. E tutto ciò che vive
al di fuori dello 'spirito', dei
sentimenti, del
'cuore', non possiede
effettiva realtà, poiché degrada ogni problema a semplice
'fatto', senza riuscire a individuare, né a combattere, la
'causa originaria' che ha prodotto quel medesimo
fatto. Lo sviluppo e il progresso dei popoli può avvenire solamente attraverso una serie di azioni politiche
riformiste, da attuare
per gradi. E nell'alveo delle tradizioni riformiste, vi sono solamente alcune culture politiche e non altre: quelle
liberali e quelle
socialdemocratiche. Tutto il resto è
pura astrazione: metodologie
inattuali, che assumono significato in quanto
forme ingannevoli, più o meno
'partenalistiche', nei riguardi dei
popoli e dei
singoli individui. Un po' come quando, nell'arte contemporanea, non si riesce a distinguere
l'erotismo - il quale può esprimere tendenze artistiche di
avanguardia, o specifiche esigenze di
liberazione sessuale - dalla
pornografia più
squallida o di
basso profilo. Il
riformismo corrisponde a una semplice
proposta, a una
romantica 'dichiarazione d'amore' della
'scienza politica' per la
pubblica felicità e
in favore del popolo. Anzi, a favore di
tutti i popoli, senza distinzioni
etniche o di
razza, secondo un progetto di vita da realizzare tutti insieme,
'mattone su mattone', giorno per giorno. Insomma, il
populismo è la
degradazione della politica a
vuoto 'meccanismo': una sorta di
'stupro dialettico' della democrazia, nella becera convinzione materialistica che sia
l'atto sessuale in sé a determinare la nascita di un
grande amore. Sta dunque ai
popoli cercare di comprendere se essi intendano rimanere ancorati alle vecchie
culture repressive - e regressive - del passato, oppure se siano disposti a vivere, finalmente, un
amore adulto, maturo, paritario e
democratico. Un
amore complesso e
difficile, come lo sono tutti i grandi amori della nostra vita. Un grande amore chiamato
Europa.
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Direttore responsabile di www.laici.it e della rivista mensile 'Periodico italiano magazine' (www.periodicoitalianomagazine.it)(editoriale tratto dalla rivista mensile 'Periodico italiano magazine' n. 44 - dicembre 2018)