Un tempo si diceva:
"Con la cultura non si mangia". Oggi, che finalmente si è scoperta la potenzialità del patrimonio in termini di indotto turistico, si assiste alla lotta per la compravendita di beni culturali da parte delle banche e dei privati. Giovedì 26 ottobre, alla conferenza/dibattito:
'Beni comuni e profitti privati', tenutasi nel corso della nona edizione del
Salone dell'editoria sociale, gli interventi di
Vezio De Lucia, urbanista e
Tomaso Montanari, storico dell'arte, hanno ritracciato le responsabiltà storiche di politiche culturali invasive e, spesso, dissonanti tra loro, confermando antiche problematiche accettate troppo passivamente dalla collettività.
Marina Forti, giornalista e moderatrice del dibattito, esordisce con il riferimento alla frase storica dell'ex ministro
Giulio Tremonti, decodificando l'idea che
"con l'arte non si mangia". Tale affermazione, infatti, cela una verità ben più pericolosa:
l'arte diventa 'business', prima per i capricci e le esigenze del singolo, come fu per
Mussolini e la
via dei Fori Imperiali, mentre oggi va a vantaggio dei molti, troppi, indegni volti della politica contemporanea. Il
'baratto della cultura' è in atto ormai da molti anni.
Montanari fissa l'inizio di questa nuova fase al
1985. E chiama in causa le iniziative di governi e amministrazioni in diverse
città d'Italia, con particolare attenzione a
Roma. Dal progetto grandioso e mai realizzato del
sindaco Petroselli su
via dei Fori Imperiali, al patrimonio finanziato con il gioco del
'Lotto' da
Veltroni, lo storico dell'arte parla di
"grande Luna Park della cultura", in cui i beni culturali sono destinati al
'totalitarismo' e alla
'dittatura' del presente. Uno sfruttamento spasmodico, che troverebbe motivazione nella paura che l'attenzione alla cosiddetta
'cultura alta' possa esser
'letta' a favore delle
élites. Tale concetto corrisponde perfettamente alla linea politica attuale, nel quale da tutti i fronti si calca
l'onda dei populismi e di una
cultura a 'portata di tutti', che
'condona' e, anzi, promuove attività di qualsiasi tipo all'interno dei musei.
Montanari inquadra la diffusione dello
"schiavismo dei lavori intellettuali" nella più generale mancanza di un collegamento tra
ricerca e
patrimonio, fortemente rivendicata nell'epoca
dell'Italia post-fascista. "Ci siamo dimenticati a cosa serve il patrimonio", ripete più volte lo storico dell'arte fiorentino, perché non si sceglie più di conservare, ma di
'capitalizzare' la cultura, con l'obiettivo di attrarre sempre più persone possibili. Non stupisce più di tanto che, a
Venezia, il
ministro Franceschini voglia attuare il progetto di scavo per un vasto passaggio per le grandi navi da crociera attraverso i bassifondi della laguna, la stazione marittima, con il mare aperto. Per non parlare del mancato dissenso davanti ai cambiamenti di musei e gallerie in aziende dal profitto in crescita, in virtù delle
strategie di marketing di sedicenti
manager 2.0, provenienti da altre imprese commerciali. Gli esempi sono innumerevoli: dalla
'zumba' davanti a
Ramesse II e la
Dea Sekhmet nel
Museo Egizio di
Torino, alle
sfilate di moda e
feste di compleanno nella
Galleria Borghese. A tal proposito, l'intervento di una dipendente del museo nella bellissima cornice della
Villa dei facoltosi e potenti
Borghesi, ha denunciato un problema di
climatizzazione che persiste, ormai, da tre mesi, nonostante gli
esposti a tutti i vertici del
ministero dei Beni e delle Attività culturali e alla
Asl per un danno ingente a una delle tele del
Caravaggio. Montanari, esperto dello scultore
Bernini, non si stupisce, perché il caso romano
"è sintomatico di una situazione di tracollo e di una privatizzazione selvaggia nella distruzione del materiale". L'emergenza del patrimonio equivale a difendere la
democrazia, nel rispetto della
dignità dei cittadini, contro le ormai palesi diseguaglianze e nella capacità dell'agire, puntando sulla
rigenerazione del territorio, per ricostruire quelle
professionalità che hanno fatto grande
l'Italia.