Silvia MattinaIn tempi di polemiche sullo 'ius soli' e di giudizi spesso distorti e strumentali intorno al progetto di una società multiculturale e interetnica, ci preme ricordare uno spettacolo teatrale molto importante, intitolato: '9841-Rukeli', scritto, diretto e interpretato da Gianmarco Busetto. Si tratta di un monologo che, nel 2016, ha vinto la V edizione del Roma Fringe Festival, ponendo all'attenzione del pubblico la vicenda di un pugile tedesco di origine sinti, Johann Trollmann, detto Rukeli. L'attore e regista Gianmarco Busetto ha descritto un atto d'amore e di dignità, in una Germania sfigurata dalla violenza del razzismo e dalla follia di un popolo che si era arrogato il diritto di uccidere in nome di un'ideologia di superiorità razziale. La vita del 'pugile-zingaro', riconsegnata alla Storia da questo spettacolo, fu segnata dal dolore, dalla discriminazione e dall'ingiustizia: una tra le più affascinanti e meno conosciute vicende del periodo nazista. Busetto ha messo in scena uno spettacolo poetico e realista al tempo stesso, attraverso il ricorso alle video proiezioni live streaming e al più tradizionale monologo civile, di grande impatto emotivo. La vittoria del 'match' contro il campione ariano rappresenta la messa in discussione pubblica dell'assurda ideologia nazionalsocialista. Ma non basta cancellare l'incontro, i tedeschi vogliono di più: lo vogliono far ammazzare, perché lui è diverso, lui è inferiore. Una storia di tutti e per tutti. Fin dai minuti iniziali, il regista/attore cerca il contatto con il pubblico e chiede di immaginare di ricoprire i panni di quel 'condannato a morte'. Una comunicazione empatica e di grande forza, che smuove i sentimenti universali di paura, solidarietà, crudeltà e coraggio. Busetto, con la sua personalità e presenza scenica, conquista l'audience e restituisce la biografia di un pugile che, prima di tutto, è un uomo. La vicenda di Rukeli è il prodotto di un crogiuolo di grandi temi, una finestra su tanti mondi: uno spaccato dell'epoca nazista, l'oggetto degli atti discriminatori della politica sportiva e il ritratto di un boxer considerato il precursore del pugilato moderno. Rukeli, infatti, non solo è stato il primo 'danzatore sul ring', anticipatore di Alì, ma un atleta che trova nella boxe la sua principale ragione di vita in un mondo che sta letteralmente 'cadendo a pezzi'. Il primo incontro è con Adolf Witt, il campione tedesco dei pesi medi e, dopo sei round, l'ariano Witt, una specie di grande salice, sta per essere abbattuto. Il ritmo incalza sempre di più e l'attore, come un danzatore, asseconda il pathos crescente con un 'passaggio di registro' nella voce minacciosa e nella postura impettita delle condanne dei comandanti nazisti. Rukeli è coraggioso e non si lascia corrompere da un sistema a premi che vuole comprare la sua sottomissione, in cambio della sua anima. Il messaggio è chiaro e ripetuto più volte dall'attore, come a convincersi che nessuno può privare del proprio valore un uomo e uno sportivo: "Volete che combatta come uno di voi? Adesso vi faccio vedere come combattono gli ariani". La finale nazionale dei pesi medio-massimi è storia. E Trollmann entra nella leggenda come uno dei più straordinari 'combattenti' della boxe. Sul palco, Rukeli sembra il ritratto di un eroe tragico dell'antica Grecia, non tanto nel senso tecnico e letterale, ma in quello enfatico, rivendicando la propria non appartenenza per far emergere la vera contraddizione del mondo tedesco: il razzismo. Il gesto provocatorio di combattere da 'ariano', cosparso di talco e con i capelli biondi tinti, segna la sua condanna definitiva. La rinuncia a colpire l'avversario è la protesta di un pugile che mostra la propria opposizione pacifica alla follìa del nazismo e, al tempo stesso, la personificazione di un 'popolo di conigli'. L'immagine di un corpo con i piedi legati e immobile al centro del ring trova un riferimento significativo nella dimensione del martirio: un moderno San Sebastiano trafitto dai pugni di una società che non lo accetta e lo rinchiude in luoghi di tortura come i campi di concentramento. Su un sottofondo di violino, l'attore sembra danzare sul palco mentre elenca le morti nel campo di concentramento 9841, dove Rukeli non è più il famoso e temuto campione, ma ormai un uomo denutrito, ridotto a poco più che uno scheletro dal peso di 42 chilogrammi. Il finale non può che celebrare le 'gesta' di Trollmann, con le immagini originali di uno dei suoi tanti 'duelli' sul ring, sotto le note del suggestivo e celebre singolo 'Karma Police' dei Radiohead. La tensione si scioglie e lascia spazio alla forza della riflessione, che parte proprio dal testo della canzone e il riferimento alla 'Psico-Polizia' del romanzo '1984' di George Orwell. Il messaggio si concentra sul potere di un regime totalitario, che intende omologare la civiltà e infondere convinzioni imprescindibili. Rukeli è una 'mina vagante' per Hitler: quest'ultimo, considera il nomadismo un pericoloso avversario per la realizzazione del proprio progetto di conquista, messo in atto in quegli anni. Gli zingari non hanno nulla da perdere, perché sono meno legati alle abitudini, al luogo e alle ricchezze, quindi potenzialmente indifferenti alla causa nazionale. Ancora oggi, i nomadi sono considerati dei 'diversi' da identificare secondo lo stereotipo del criminale, come dimostrato dalla schedatura delle impronte digitali proposta da Roberto Maroni durante la sua carica di ministro dell'Interno dal 2008 al 2011. Lo schematismo 'hitleriano' non può essere sovvertito. E uno zingaro come Rukeli non può avere una famiglia, non deve pretendere una vita normale, ma deve soccombere alla legge del più forte, in questo caso a Emil Cornelius, sconfitto sul ring. Morire per conservare i propri valori: Rukeli e Busetto si sono incontrati simbolicamente sul palco e ambedue hanno dovuto sacrificare una parte di se stessi. "Questo spettacolo mi ha aiutato a distruggere il mio ego attoriale", ha rivelato l'interprete al termine della rappresentazione.

Spettacolo:
https://vimeo.com/181664695


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