La
scuola è lo
specchio della
società e il luogo dove si registrano i cambiamenti di maggior rilievo. L'indagine su
'Integrazione delle seconde generazioni', condotta
dall'Istat nel
2015 e cofinanziata da
Unione europea e
ministero dell'Interno analizza la vita scolastica proprio degli
studenti nati da
genitori stranieri che si sentono
italiani, anche senza la cittadinanza. Per avere un'idea in cifre, questa la fotografia della situazione: in
Italia è nato il
30,4% degli studenti stranieri che attualmente frequentano le scuole secondarie, di primo e secondo grado; il
23,5% è arrivato qui da noi prima dei
6 anni; il
26,2% è entrato in Italia tra i
6 e i
10 anni; il
19,9% è arrivato a
11 anni e più. Inoltre, il
38% degli alunni dichiara di sentirsi
italiano, mentre il
33% continua a sentirsi
straniero e poco più del
29% non risponde. Alla luce di questi primi dati, risulta evidente come la presenza degli alunni di seconda generazione sia un fattore in
costante crescita nella vita scolastica, sollevando nuove e diverse questioni che investono non solo la sfera didattica, ma anche quella
culturale e
psicologica. In generale, l'indagine rivela una crescente consapevolezza della necessità di programmare strategie e mettere in campo metodologie quantitativamente e qualitativamente capillari. I docenti hanno il compito, delicato e cruciale, di
formare gli adulti di domani. Una responsabilità che passa prima di tutto dalle classi di scuola secondaria di primo grado - le vecchie elementari - e che coinvolge, oltre la sfera didattica, anche quella gestionale in senso stretto. Tra i compiti dei maestri c'è, infatti, il problema dello
scollamento esistente tra una
legislatura quanto mai
lacunosa e una
società scolastica che, velocemente e naturalmente, vive esperienze concrete di
integrazione. Dalle testimonianze raccolte tra i docenti, si evince una crescente esigenza di
normalizzare, sotto il profilo giuridico, una realtà in essere già da molti anni, in particolar modo nel mondo della scuola. La maggior parte delle volte, i bambini non si pongono nessuna domanda sulla nazionalità di provenienza, perché per loro gli stranieri di seconda generazione sono considerati dei compagni di classe
'italiani' a tutti gli effetti. Tale consapevolezza, seppur ovvia, non riesce a diventare patrimonio di tutti. Ed è ancora difficile per gli adulti riconoscere la ricchezza culturale di bambini con origini straniere. L'identità composita di questi minori
divisi tra due mondi può costituire il vero
'plusvalore' di una nuova e più dinamica società contemporanea perché, nella maggior parte dei casi, essi sono portatori di quel
'plurilinguismo' prodotto dai
matrimoni misti, sempre più diffusi. La stessa diversità si ritrova nella
religione: i genitori spesso appartengono a
credenze diverse e, quindi, capita che ci siano nello stesso nucleo familiare: una madre proveniente dallo
Sri Lanka di culto
buddhista; un padre
islamico di fede musulmana; un figlio, nato e cresciuto in
Italia, ormai quasi
'secolarizzato'. Pertanto, la mancanza di
sostegni economici non permette alla scuola di
valorizzare le differenze e di preparare i bambini a quel senso di
appartenenza che, in genere, contribuisce allo
sviluppo culturale della comunità. La promozione di una
civiltà 'plurilinguistica' e
'pluriculturale', necessità per il mondo, passa attraverso la formazione di questi
piccoli italiani. E anche con loro è possibile parlare di temi quali i
diritti e le
differenze tra i Paesi. Alle maestre non resta, dunque, che fornire gli strumenti necessari per permettere a tutti gli alunni di sfidare ed esplorare il mondo, preservando le proprie pecularietà. La didattica attuale punta alla
narrazione di storie attraverso
'personaggi-viaggiatori', capaci di far comprendere ai bambini i valori di
libertà e
universalità. Le fiabe sono metafore dell'esperienza umana, perché rappresentano i
'concetti-chiave' della vita, coniugando avventure, emozioni e difficoltà con quei valori condivisibili di
amicizia, solidarietà e
accoglienza. In molti istituti scolastici, le
favole si inseriscono in una programmazione didattica di tipo
inclusivo, secondo la quale, ogni bambino deve sentirsi parte del gruppo. Dunque, si predilige l'adozione di diverse
strategie comunicative, ricorrendo a un racconto tramite
immagini o fornendo, a volte, testimonianze delle
lingue 'madri'. Le maestre scelgono di mantenere un
doppio canale comunicativo che non privilegi eccessivamente una corrispondenza con una realtà soltanto
locale, ma lasci il giusto spazio a un immaginario favolistico di
Paesi differenti, legati all'origine dei bambini. In questo modo, le favole rispondono
all'urgenza di completezza, indispensabile quando le tematiche sono così complesse e rappresentano un segnale di
'apertura' contro ogni
resistenza culturale e
sociale, nella prospettiva di fare di questi
'italiani incompleti', i
'cittadini del mondo' di domani.