Silvia MattinaLa scuola è lo specchio della società e il luogo dove si registrano i cambiamenti di maggior rilievo. L'indagine su 'Integrazione delle seconde generazioni', condotta dall'Istat nel 2015 e cofinanziata da Unione europea e ministero dell'Interno analizza la vita scolastica proprio degli studenti nati da genitori stranieri che si sentono italiani, anche senza la cittadinanza. Per avere un'idea in cifre, questa la fotografia della situazione: in Italia è nato il 30,4% degli studenti stranieri che attualmente frequentano le scuole secondarie, di primo e secondo grado; il 23,5% è arrivato qui da noi prima dei 6 anni; il 26,2% è entrato in Italia tra i 6 e i 10 anni; il 19,9% è arrivato a 11 anni e più. Inoltre, il 38% degli alunni dichiara di sentirsi italiano, mentre il 33% continua a sentirsi straniero e poco più del 29% non risponde. Alla luce di questi primi dati, risulta evidente come la presenza degli alunni di seconda generazione sia un fattore in costante crescita nella vita scolastica, sollevando nuove e diverse questioni che investono non solo la sfera didattica, ma anche quella culturale e psicologica. In generale, l'indagine rivela una crescente consapevolezza della necessità di programmare strategie e mettere in campo metodologie quantitativamente e qualitativamente capillari. I docenti hanno il compito, delicato e cruciale, di formare gli adulti di domani. Una responsabilità che passa prima di tutto dalle classi di scuola secondaria di primo grado - le vecchie elementari - e che coinvolge, oltre la sfera didattica, anche quella gestionale in senso stretto. Tra i compiti dei maestri c'è, infatti, il problema dello scollamento esistente tra una legislatura quanto mai lacunosa e una società scolastica che, velocemente e naturalmente, vive esperienze concrete di integrazione. Dalle testimonianze raccolte tra i docenti, si evince una crescente esigenza di normalizzare, sotto il profilo giuridico, una realtà in essere già da molti anni, in particolar modo nel mondo della scuola. La maggior parte delle volte, i bambini non si pongono nessuna domanda sulla nazionalità di provenienza, perché per loro gli stranieri di seconda generazione sono considerati dei compagni di classe 'italiani' a tutti gli effetti. Tale consapevolezza, seppur ovvia, non riesce a diventare patrimonio di tutti. Ed è ancora difficile per gli adulti riconoscere la ricchezza culturale di bambini con origini straniere. L'identità composita di questi minori divisi tra due mondi può costituire il vero 'plusvalore' di una nuova e più dinamica società contemporanea perché, nella maggior parte dei casi, essi sono portatori di quel 'plurilinguismo' prodotto dai matrimoni misti, sempre più diffusi. La stessa diversità si ritrova nella religione: i genitori spesso appartengono a credenze diverse e, quindi, capita che ci siano nello stesso nucleo familiare: una madre proveniente dallo Sri Lanka di culto buddhista; un padre islamico di fede musulmana; un figlio, nato e cresciuto in Italia, ormai quasi 'secolarizzato'. Pertanto, la mancanza di sostegni economici non permette alla scuola di valorizzare le differenze e di preparare i bambini a quel senso di appartenenza che, in genere, contribuisce allo sviluppo culturale della comunità. La promozione di una civiltà 'plurilinguistica' e 'pluriculturale', necessità per il mondo, passa attraverso la formazione di questi piccoli italiani. E anche con loro è possibile parlare di temi quali i diritti e le differenze tra i Paesi. Alle maestre non resta, dunque, che fornire gli strumenti necessari per permettere a tutti gli alunni di sfidare ed esplorare il mondo, preservando le proprie pecularietà. La didattica attuale punta alla narrazione di storie attraverso 'personaggi-viaggiatori', capaci di far comprendere ai bambini i valori di libertà e universalità. Le fiabe sono metafore dell'esperienza umana, perché rappresentano i 'concetti-chiave' della vita, coniugando avventure, emozioni e difficoltà con quei valori condivisibili di amicizia, solidarietà e accoglienza. In molti istituti scolastici, le favole si inseriscono in una programmazione didattica di tipo inclusivo, secondo la quale, ogni bambino deve sentirsi parte del gruppo. Dunque, si predilige l'adozione di diverse strategie comunicative, ricorrendo a un racconto tramite immagini o fornendo, a volte, testimonianze delle lingue 'madri'. Le maestre scelgono di mantenere un doppio canale comunicativo che non privilegi eccessivamente una corrispondenza con una realtà soltanto locale, ma lasci il giusto spazio a un immaginario favolistico di Paesi differenti, legati all'origine dei bambini. In questo modo, le favole rispondono all'urgenza di completezza, indispensabile quando le tematiche sono così complesse e rappresentano un segnale di 'apertura' contro ogni resistenza culturale e sociale, nella prospettiva di fare di questi 'italiani incompleti', i 'cittadini del mondo' di domani.


Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio