"Essere o dover essere il dubbio amletico, contemporaneo come l'uomo del neolitico". La canzone vincitrice dell'ultimo
Festival di Sanremo sintetizza e attualizza la visione del
protagonista 'shakespeariano', in bilico tra dubbi etici e metafisici, tra sogno e realtà. Lo spettacolo diretto dal giovane
Gianluca Paolisso, andato in scena nel febbraio scorso, presso il
Teatro Tordinona in
Roma, è una rappresentazione che, al suo debutto, sembra cercare nel dramma
'shakespeariano' uno sguardo lucido e critico sul mondo e sulla frenesia del potere degli uomini di tutti i tempi. Tutti i personaggi, completamente vestiti di nero, hanno il volto truccato di bianco tranne
Amleto, Ofelia e
Gertrude. Ispirandosi al
teatro Kabuki, un tipo di rappresentazione sorta in
Giappone all'inizio del
XVII secolo, il re
Claudio, Polonio e i due
'scagnozzi', Rosencrantz e Guildestern, vanno in scena con il biancore in volto e, con ruoli diversi, innescano i più vili e violenti sentimenti umani. Il bianco rappresenta l'annullamento dei lineamenti del volto. Dunque, i quattro personaggi costituiscono, in realtà, un'unica essenza, uguale nella
bassezza, nella fragilità e nella condotta profondamente
amorale. Il sapiente uso dei riflettori può produrre su un volto bianco un'efficace
'focus' per catturare l'espressione del volto dell'attore. Accanto a tale utilizzo delle luci, c'è il gioco predominante con la
semioscurità, che invade contemporaneamente il palco e gli spettatori, quasi a voler inghiottire le colpe e i peccati dei
'cospiratori' del dramma. I momenti bui ricorrono spesso a scandire la narrazione e svolgono la funzione quasi di ammonimento sui protagonisti in scena: meglio non fidarsi di coloro che
tramano dietro le 'quinte', perché la loro coscienza è ormai divorata da quella rabbia che annienta qualsiasi indulgenza. Il
perdono cristiano lascia spazio alla
vendetta, che assume le sembianze del fantasma del padre, il quale assegna il ruolo
'dell'angelo carnefice' e artefice della
'legge del taglione' in una chiave salvifica:
"Vendica la mia morte e il mondo sarà salvo". Il padre di
Amleto vuole veder scorrere il sangue del fratello
Claudio, colpevole di averlo assassinato per occupare il trono. Attorno allo zio di
Amleto, interpretato dal convincente
Simone Bobini, ruota la trama di inganni, odio e soprattutto di morte che investe tutti coloro che sostengono
la dispotica reggenza, contribuendo nel progetto di eliminazione di
Amleto. La figura del
Re Claudio è preponderante sulla scena, come anche la sua ansia di potere, che diviene controllo maniacale della realtà e della debolezza altrui.
"Sottovalutare è sinonimo di perdere", ripete ad alta voce il sovrano, che costringe sua moglie
Gertrude a recitare gli articoli della
Costituzione in una
'litanìa perpetua', tanto solenne e celebrativa da assumere caratteri sacri. L'obiettivo, dichiarato fin dall'inizio, si traduce nell'uccisione del nipote come ultimo
'granellino di sabbia' rimasto a
'inceppare' il regno. Per realizzare questa cospirazione è necessario che
Amleto sia isolato da tutto e da tutti, in particolare da
Ofelia: "Chi siano l'uno per l'altra non serve". L'amore è per i
'puri', come i due protagonisti in scena, che cercano di resistere alla contaminazione di un mondo senza più speranze. La dolcezza e la violenza tra i due è sottolineata dal movimento, più che dai dialoghi: tra
Amleto e
Ofelia ci sono intensi
'passi a due' di danza, alternati nell'accompagnamento da una musica
psicotica e
sacrale. Nello spettacolo, vi sono anche numerosi riferimenti
all'iconologia cristologica e
mariana, che mettono in comunicazione il mondo terrestre con una realtà sovrannaturale. Il lirismo di
Ofelia e
Amleto si manifesta nella scena di addio, in cui la recita della filastrocca
"Essere o non essere" sembra un compianto sul
Cristo morto e si collega al momento successivo, in cui lei cade nelle braccia di lui quale moderna rappresentazione della
'deposizione' di stampo
'caravaggesco'. I monologhi sofferenti di
Ofelia e della regina
Gertrude costituiscono altri
spunti religiosi interessanti: la giovane su un piedistallo dedica un canto funebre al padre e ricorda alla mente le immagini delle
prime martiri cristiane, mentre a conclusione del dramma la regina si allontana dal palco con il capo coperto, accompagnata da canti liturgici.
Paolisso mette in scena un
'Hamletown' che si
'specchia' nel mondo di oggi, con il
'marciume' di una società che
'pasolinianamente' si tende a definire
'consumista' ed è, quindi,
una tragedia nella tragedia. Lo spettatore si trova di fronte a una
parabola esistenziale, nella quale si va in cerca della vita e dell'amore e si finisce per aspirare alla
"libertà assoluta che si esprime nel diritto a dominare del più forte", ha scritto
Camus.