Qualcuno si chiede come mai il popolo italiano, che sta vivendo un evidente momento di difficoltà su numerosi fronti, da quello economico a quello politico-sociale, non faccia come in Grecia e in Spagna: non protesti più di tanto per l’evidente condizione di povertà in cui è stato ridotto. A ben vedere, questa dovrebbe essere la vera ‘buona notizia’ degli ultimi mesi. Gli italiani, infatti, qualche qualità umana ce l’hanno: una saggezza ‘atavica’. Si tratta di un’antichissima forma di ‘pazienza’ e di senso del limite che deriva dalla secolare abitudine ad averne viste ‘di tutti i colori’. Qualcuno, in passato, disse: “Franza o Spagna, purché se magna…”. Il concetto è similare: perché gli italiani avrebbero dovuto mettersi a protestare, in passato, per le numerose invasioni straniere, quando il loro problema primario non era di carattere politico, bensì legato alla pura sopravvivenza? Magari, era vero che si trattava di una sopravvivenza soprattutto individuale (anche nei pregi abbiamo sempre avuto dei limiti…). Tuttavia, era una calma interiore, un ‘appiglio’ di forza morale che ci porta, da sempre, verso lo stesso principio: “Ha da passa’ la nuttata…”. Questa nostra caratteristica non sortisce da un dato politico, religioso, ideologico o culturale, bensì proviene da un profondo dolore. L’Italia, infatti, sino agli inizi del ‘900 è sempre stato un Paese con un altissimo tasso di mortalità infantile. E le famiglie italiane, per tradizione, al fine di poter sperare di vedere crescere la propria prole sino alla maggiore età dovevano mettere in conto la possibilità di dover assistere alla morte di un figlio, o di più figli, nel corso della loro vita. Per tubercolosi, per colera, per denutrizione, per la guerra. Per la ‘peste nera’, se vogliamo andare più indietro nei secoli. Spesso capitava che un medico visitasse un bambino che delirava per la febbre. Gli somministrava un tonico, gli faceva un salasso e lo sottoponeva a una serie di trattamenti. Poi dichiarava ai genitori di aver cercato di fare “quanto umanamente possibile: se il ragazzo riesce a superare la notte, nei prossimi giorni si riprenderà…”. Talvolta, questa cosa non accadeva affatto: era solo un modo per far vivere qualche ora di speranza a dei poveri contadini. Ma ciò poco importa. Quel che qui conta è quel grado di sincera religiosità, di autentica quanto antica ‘moralità popolare’ che, in verità, è alla radice delle caratteristiche umane degli italiani. Sì, è vero: noi di laici.it critichiamo spesso tanti modi di fare ‘sbagliati’ della nostra tradizione nazionalpopolare. Una forma di cultura che, infatti, non amiamo. Tuttavia, sappiamo anche riconoscere quali siano i tratti distintivi di valore di questo popolo. In genere, questi dati sono quelli che fanno meno notizia, o non la fanno affatto. E di fronte a un panorama di dilapidatori di danaro pubblico, anche noi siamo costretti a seguire ‘l’onda’ delle notizie che ci giungono dalle istituzioni. Ma gli italiani non sono così, non sono come molti loro rappresentanti politici. Gli italiani sono ingegnosi, scaltri, ‘canaglieschi’, ‘menefreghisti’, se vogliamo, ma non sono disonesti. Dunque, il compito della nuova classe politica che si appresta ad avvicendare quella che siamo ormai costretti a mandare ‘a casa’ dovrà esser quello di rispecchiare meglio il Paese e la società italiana, abbandonando la vecchia utopia della politica in quanto ‘cittadella avanzata’ della società. La classe politica di un popolo non ne rappresenta affatto la sua ‘avanguardia cosciente’: non è un ceto di ‘tuttologi illusionisti’, di apprendisti stregoni, o di filosofi improvvisati. La classe politica e dirigente di una nazione non deve mascherarsi dietro paraventi ideologici, moralisti o religiosi, bensì nutrire rispetto per il popolo che l’ha eletta, seguirne il ‘passo’, segnarlo insieme a lui, fermarsi con esso, se necessario. Questo è il principio di fondo della democrazia: è la società la vera ‘locomotiva’ della Storia. Tutto il resto segue di conseguenza. Tutto il resto è utopia.