Clelia Moscariello e Andrea GiuliaDopo la recente - e meritata - vittoria dei fratelli Taviani al festival del cinema di Berlino con il film ‘Cesare deve morire’, girato insieme ad attori scelti tra gli ergastolani del braccio di massima sicurezza del carcere di Rebibbia, il mondo della cultura italiana è in attesa della prossima opera del Maestro Bertolucci, ‘Io e te’, che sarà presentata nel mese di maggio a Cannes. Per l’occasione, abbiamo dunque voluto dedicare un ‘tributo’ all’evoluzione poetica di questo grande regista italiano, già vincitore onorario della Palma d’Oro lo scorso anno, al fine di riassaporare il profondo valore intimista dei suoi film e proseguire una nostra specifica sollecitazione nei confronti del cinema italiano, che non vince Oscar ‘pesanti’ ormai da 13 anni e che appare un po’ troppo concentrato nella produzione di commedie commerciali tese esplicitamente a richiamare il grande pubblico

Bernardo Bertolucci ha iniziato il proprio percorso artistico nel mondo del cinema nel 1961 come assistente di Pier Paolo Pasolini, durante le riprese del film ‘Accattone’. L’anno seguente realizzò un primo lungometraggio, ‘La commare secca’, su soggetto e sceneggiatura sempre di Pasolini. Ma il suo stile si allontanò ben presto dall’epicedio straziato e dagli afflati mistici del poeta friulano, per inseguire un’idea personale di cinema basata sull’individualità di quelle persone che si trovano di fronte a cambiamenti imprevedibili del loro mondo e di quello circostante, a livello esistenziale e politico, senza riuscire a trovare una risposta di sintesi. Tale riflessione di fondo è presente in tutte le opere di Bertolucci, sin dal suo secondo film, ‘Prima della rivoluzione’, del 1964, dove essa viene già esemplificata nella storia di un giovane della borghesia agricola parmigiana il quale, incapace di reagire al suicidio di un amico e incerto sulla direzione da far prendere alla propria vita, si getta a capofitto in una relazione con una matura e piacente zia giunta da Milano. Entrambi, però, si rendono ben presto conto che la storia non può durare e, alla partenza della donna, al giovane non resta che sposare la fidanzata ‘storica’, una ragazza che non ama ma che fa parte anch’essa dell’alta borghesia, rassegnandosi a un matrimonio da sempre sollecitato dalla famiglia. Anche nei film successivi, Bertolucci continua il suo personale discorso intorno all’ambiguità esistenziale e politica. Soprattutto in ‘Partner’ del 1968, ne ‘Il conformista’ del 1970 e nel successivo ‘La strategia del ragno’. In ogni caso, il vero successo arriva solamente nel 1972 con un film ‘scandaloso’, che di fatto ha segnato un’epoca: ‘Ultimo tango a Parigi’, dove il sesso viene visto come unica risposta possibile, benché non definitiva, al conformismo della società. I protagonisti di questo film, come quelli che lo seguiranno, sono persone alla deriva, degli sbandati la cui unica via d’uscita è la trasgressione. Questo film, dopo la sua prima proiezione a New York, in Italia subì notevoli traversie censorie che, comunque, non impedirono alla pellicola di piazzarsi seconda nella classifica cinematografica della stagione 1972-1973. Ben presto sequestrata, l’opera venne ritirata dalla Cassazione il 29 gennaio 1976 e il regista fu condannato per offesa al comune senso del pudore, pena per la quale venne privato dei diritti civili per cinque anni, fra cui il diritto di voto. Dopo svariati processi d’appello, la pellicola venne dissequestrata solamente ‘all’alba’ del 1987. Bertolucci incrementò la sua notorietà con le opere successive: da ‘Novecento’, del 1976, epico affresco - a tratti ideologico - delle lotte contadine emiliane dai primi anni del secolo sino alla seconda guerra mondiale, a ‘La luna’, ambientato a Roma e in Emilia-Romagna, in cui il regista affronta lo scabroso tema della droga e dell’incesto, fino a ‘La tragedia di un uomo ridicolo’, del 1981, che segnalò un’eccellente interpretazione da parte dell’attore cremonese Ugo Tognazzi. Negli anni ’80, Bertolucci girò soprattutto all’estero. Nel 1987 dirige in Cina ‘L'ultimo imperatore’, un grande successo internazionale che si aggiudica ben nove premi Oscar, tra cui quelli per il miglior film e la migliore regia. Nel 1990 gira in Marocco ‘Il tè nel deserto’, tratto dal romanzo di Paul Bowles, mentre nel 1993 è la volta del ‘Piccolo Buddha’, ambientato in Nepal e negli Stati Uniti. In seguito, Bertolucci torna a girare in Italia riprendendo le sue predilette tematiche intimiste con risultati alterni di critica e pubblico, a partire da ‘Io ballo da sola’, per proseguire con ‘L’assedio’ e ‘The Dreamers’, del 2003, che ripercorre una vicenda di passioni politiche e rivoluzioni sessuali di una coppia di fratelli nella Parigi del ‘68. Qualche osservatore ha notato dei parallelismi tra quest’ultimo lavoro di Bertolucci e ‘Ultimo tango a Parigi’, soprattutto per la tematica della trasgressione sessuale come unica possibilità di evasione da un mondo conformista, ingrigito dall’opulenza consumistica. Vediamo allora di approfondire, sotto il profilo filmico, affinità e divergenze tra le due opere. ‘Ultimo tango a Parigi’, innanzitutto, è del 1972 ed è interpretato da Marlon Brando, Maria Schneider e Jean-Pierre Léaud. ‘The Dreamers’, invece, è molto successivo (2003) e ha visto l’interpretazione di Michael Pitt, Louis Garrel, Eva Green, Robin Renucci e Anna Chancellor. Nella prima opera, il 45enne Paul (Marlon Brando), un americano trapiantato a Parigi dopo il suicidio della moglie Rosa, vaga senza meta per la città e incontra casualmente la ventenne Jeanne (Maria Schneider). I due si ritroveranno a diventare amanti visitando per caso lo stesso appartamento e, incontrandosi lì ogni volta, impareranno a conoscere ciascuno il corpo dell’altro. L’unica condizione che Paul impone è che non si conoscano i loro nomi e le loro vite. Una volta usciti da quell’ambiente claustrofobico che custodiva il loro amore, i due protagonisti scoprono di non avere nulla in comune: l’amore era solo in quella stanza. Il film diede scandalo all’epoca e fu censurato per le scene di sesso giudicate, per quel tempo, scabrose. Tuttavia, il cinema di Bertolucci, al contrario delle apparenze, non è affatto ‘voyeuristico’: il sesso è solo uno stratagemma trasgressivo per sorprendere lo spettatore, come in ‘Io ballo da sola’, altro film che ruota solo formalmente attorno alla perdita della verginità di una ragazza, ma che in realtà tende a sottolineare altri temi scottanti quali quelli della famiglia, dell’affettività, della malattia e dell’estetica. Quest’ultima pellicola, nello specifico, è del 1996 e ha posto in evidenza le buone perfomances attoriali di Stefania Sandrelli, Jean Marais, Jeremy Irons, Carlo Cecchi e Liv Tyler. In ogni caso, ‘Ultimo tango a Parigi’ è stato giudicato, a posteriori, un capolavoro, una vera e propria pietra miliare nella storia del cinema. Nel film ‘The Dreamers’, invece, ambientato in pieno ‘68, è vero che Bertolucci cerca di ricreare lo stesso ambiente claustrofobico, inserendo anche l’ingrediente dell’amore incestuoso tra due gemelli, Isabelle e Theo, con l’americano Matthew, incontrato all’università di Parigi. Il menàge viene interrotto fatalmente da una pietra, che irrompe come un’improvvisa metafora nella casa dove i tre giovani si sono rinchiusi per amarsi e discutere di politica, filosofia, cinema e cultura in assenza dei genitori. La pietra rappresenta la rivoluzione studentesca, che i tre ragazzi sono costretti ad affrontare, abbandonando gli idealismi sterili, ciascuno nel modo che riterrà più opportuno: i due fratelli combattendo e l’americano pacifista facendosi da parte. In entrambi i film, Parigi è la città che fa da sfondo a questi personaggi smarriti e senza meta. Mentre l’amore morboso per il sesso rappresenta semplicemente un mezzo per esprimere la crisi esistenziale dei personaggi, senza molti riferimenti politici o valoriali. Tuttavia, ‘The Dreamers’ esprime un’ulteriore evoluzione ‘libertaria’ e liberatrice del cinema di Bertolucci, che diviene più matura ed evidente: come in un epilogo finale ed espiatorio, infatti, il grande regista pone fine al dilemma tra realtà e finzione, tra attivismo e idealismo, i quali sembrava non dovessero mai chiarire fino in fondo alcun dubbio. In conclusione, in ‘The dreamers’ il confronto con la realtà diviene inevitabile: non si può più rimanere chiusi in casa, bisogna uscire, non solo metaforicamente, dai propri schemi.




(articolo tratto dal sito www.periodicoitalianomagazine.it)
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