Vittorio LussanaPer il ciclo di interviste ‘Vittorio Lussana incontra’, questa volta l’appuntamento è stato con due eccellenti professionisti del nostro panorama teatrale: gli attori Mario Antinolfi e Filippo Valastro della compagnia ‘Attori&company’, reduci dal recente successo ottenuto al teatro ‘7’ di Roma con la commedia in tre atti di Eduardo De Filippo e Armando Curcio ‘La fortuna con la EFFE maiuscola’. Tale rappresentazione, che ha ottenuto il tutto esaurito in ognuna delle serate di replica previste, proprio per l’exploit ottenuto sarà infatti riproposta anche al teatro Nino Manfredi di Ostia dal prossimo 10 al 15 gennaio e presso il nuovo teatro San Paolo di Roma dal 17 al 22 gennaio 2012.

Mario Antinolfi e Filippo Valastro, innanzitutto vorrei chiedervi: dove sta andando il teatro italiano?
Mario Antinolfi: “Il teatro italiano sta attraversando un momento molto difficile. Si tratta di una difficoltà che non riguarda solamente il teatro, bensì tutto il campo artistico, poiché il cosiddetto Fus, il fondo unico per lo spettacolo, come molti ricorderanno è stato in un primo momento tagliato e solo in seguito in qualche modo reintegrato. Tuttavia, la situazione nel complesso rimane complessa, anche perché la nostra compagnia contributi non ne ha mai ottenuti... Dunque, il panorama teatrale, soffrendo questa situazione, è costretto a ridurre le produzioni artistiche. Ciò determina, per diretta conseguenza, una riduzione dei contratti di lavoro, che a sua volta causa nuova disoccupazione, poiché un attore qualsiasi e anche le altre figure professionali previste nei vari cast, sono costretti a fare di tutto, a svolgere altri lavori, oppure a cercare nuove soluzioni per riuscire a finanziare uno spettacolo”.
Filippo Valastro: “Tutto questo è un peccato, poiché in realtà, sotto il profilo generale, il teatro italiano starebbe vivendo un momento positivo, in cui vi sono testi interessanti, nuovi autori emergenti e bravissimi giovani. La mano d’opera, insomma, ci sarebbe, per rilanciare il settore. Ma al fine di riavvicinare veramente il pubblico al teatro, bisognerebbe ridurre i prezzi. E per far questo c’è un solo modo: ricorrere alle sovvenzioni. Perché mettere in piedi uno spettacolo è un grosso sacrificio personale, umano e, soprattutto, economico, in cui spesso ci si rimette pure...”.

Non trovate contraddittorio che un Paese come l’Italia, ricco di un bagaglio artistico e culturale addirittura millenario, non riesca a soccorrere questo settore o, meglio, a investire su di esso come risorsa prioritaria?
Filippo Valastro: “Questa è la domanda per eccellenza, un quesito a cui pochissime volte segue una risposta realmente adeguata. Tuttavia, io ritengo anche che l’Italia - e Roma in particolare - si sia adagiata proprio sul fatto di avere un grande patrimonio artistico e culturale come se questo fosse un dato scontato, che impedisce la ricerca di nuovi spunti, di nuove rielaborazioni. Altri Paesi che sotto questo profilo si dimostrano molto più moderni, pur non avendo il nostro patrimonio e le bellezze che possediamo noi sostengono fortemente il mondo della cultura, spingendo il cittadino non solo a comprare e a leggere i giornali, ma anche ad andare a teatro e a vivere le capacità artistiche della propria terra come parte essenziale della vita dell’intera comunità”.
Mario Antinolfi: “A mio parere, qui da noi manca anche un vero e proprio ‘piglio’ imprenditoriale: l’Italia ha grandi potenzialità artistiche, ma sotto il profilo economico denuncia profonde lacune strutturali, poiché è molto difficile mettere in piedi uno spettacolo, soprattutto di un certo livello. Il teatro, infatti, in Italia si è sempre fatto e lo si fa: bisogna tuttavia vedere come lo si fa e a quale livello: dilettantistico, parrocchiale, amatoriale o professionistico. Ma la capacità imprenditoriale è un dato che va oltre quello del talento e della bravura attoriale: ci possono essere attori amatoriali molto preparati, dotati di grandi potenzialità, che purtroppo non riescono a porre le fondamenta per portare avanti la propria compagnia, così come ci sono attori di medio-livello che, invece, riescono, grazie ad aiuti ma anche all’abilità di saper trovare sponsor e sovvenzioni, a crearsi un pubblico e una loro ‘nicchia’. Quindi, qui parliamo proprio di imprenditorialità, di mancanza di una cultura della produzione artistica - di quella teatrale in particolare - che sappia anche rispettare il pubblico, che si reca a teatro e paga il prezzo di un biglietto, nel fornirgli uno spettacolo valido, artisticamente dignitoso”.

Non sarà che gli italiani sono diventati ‘allergici’ alla cultura, anche a quella imprenditoriale?
Mario Antinolfi: “Io penso che gli italiani dovrebbero essere sensibilizzati verso una maggior consapevolezza delle difficoltà che vive il mondo del teatro, di cosa significhi proporre uno spettacolo al pubblico, di quali sacrifici questa cosa comporta e quali ostacoli quest’impresa incontra...”.
Filippo Valastro: “Beh, diciamo anche che gli italiani vogliono soprattutto divertirsi, vogliono andare a teatro per riuscire, per qualche ora, a non pensare ai tanti problemi della loro vita quotidiana, soprattutto in questi ultimi tempi. In questo, noi che proponiamo delle commedie brillanti abbiamo persino ‘campo facile’ rispetto ad altri, per carità. In ogni caso, io ritengo che il pubblico preferisca un genere evasivo, divertente, ma non sguaiato e con qualche riflessione di sfondo, piuttosto che una certa concezione ‘pesante’ della cultura, che finisce solamente col richiamare gli stessi problemi che le persone già vivono ogni giorno. Io, per esempio, sono rimasto molto felice per il fatto che la nostra compagnia, la quale generalmente opera su Ostia, sia riuscita a ottenere successo anche a Roma, nello scorso mese di dicembre, ovvero su una ‘piazza’ che non era la nostra e con un pubblico assai ampio e variegato. Ebbene, io credo proprio che ci abbia favorito un testo come questo, di Edoardo De Filippo e Armando Curcio: una commedia che riesce a coinvolgere il pubblico in una sequenza cadenzata, quasi regolare, di battute e di risate lungo tutto l’arco della rappresentazione”.

Il teatro, anche sul fronte dei nuovi autori, non potrebbe aprirsi maggiormente ai giovani talenti emergenti, nel tentativo di fornire una risposta sul fronte occupazionale?
Mario Antinolfi: “Di entusiasmo nei giovani ce n’è molto, soprattutto quando escono dalle loro accademie o hanno da poco terminato i loro studi o le loro specializzazioni. Questa potrebbe – o dovrebbe - essere una risorsa su cui puntare. Io stesso, quando debbo selezionare un nuovo cast, ho bisogno di diverse figure, poiché non tutti nascono prim’attori e, nell’ambito di una commedia, vi sono tanti altri ruoli che sono comunque utili alla compagnia: costumisti, scenografi, direttori di scena, caratteristi, ‘spalle’. Debbo dire che, in genere, trovo giovani disposti a fare di tutto pur di far parte del mondo dello spettacolo, fin quasi a rimanere spesso sorpreso dalla loro grande volontà, dalla loro grinta. Tuttavia, bisogna anche renderli consapevoli del fatto che si tratta di un ambiente difficile, che ha i suoi problemi, che diviene necessario fare scuola approfittando dell’esperienza che si può fare sul campo, assaporando il mondo del teatro ma rendendosi anche disponibili all’apprendimento dei primi rudimenti del mestiere dai colleghi più esperti e di maggior esperienza, in una sorta di ‘work in progress’. Anche perché, come abbiamo già detto nei riguardi della cultura, è giusto puntare sui giovani, affinché essi rinnovino un panorama artistico che non può continuare ad adagiarsi su se stesso...”.
Filippo Valastro: “Tutti quanti noi abbiamo sempre molta voglia di fare di più per i giovani, ma spesso non abbiamo gli strumenti. Ritorniamo al solito ‘circolo vizioso’: le idee sono tante, la voglia di fare pure, ma se non si creano nuovi presupposti per concretizzare determinate idee, la creatività e il talento da soli non bastano...”.

Dunque, anche il teatro rimane, come altri settori, un ambiente chiuso, composto di conventicole e di lobbies che debbono rimanere sulla piazza ostacolando la nascita di altre realtà e di nuovi talenti?
Filippo Valastro: “Meno del cinema senz’altro, comunque lo è...”.
Mario Antinolfi: “Condivido. Anche perché il teatro è difficile per un motivo molto semplice: o sei veramente un attore, o non lo sei. Nel mondo del cinema e in quello della televisione, se anche commetti un errore o sbagli una battuta puoi ripetere la scena, puoi tagliare, montare, inserire nuovi elementi. Nel teatro tutto questo non esiste: quando sbagli, il pubblico se ne accorge immediatamente. In teatro puoi anche essere raccomandatissimo, ma se fallisci, sei praticamente ‘bruciato’ e la brutta figura, il ‘fiasco’, rimane un dato storico...”.
Filippo Valastro: “Anche perché, come dicono i grandi attori, in teatro devi sempre essere in tensione: una volta che ti siedi e che dai tutto per scontato è finita...”.


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